Il soldato e la scimmia. Una storia senza voce per troppo tempo.
di GIUSEPPE BOMBOI ♦
Antonio Sansolini detto Amerigo è morto a Civitavecchia troppi anni fa.
Forse alcuni lo ricordano perché aveva lavorato per “Catucci Mobili” e aveva un laringofono che rendeva difficoltoso l’ascolto della sua voce… Ma solo pochi lo hanno davvero conosciuto e hanno ascoltato i suoi racconti: Amerigo parlava con fatica, non ha avuto figli ed è morto il giorno di Capodanno del 1987. Così, per oltre trent’anni, molti dei suoi ricordi sono rimasti sepolti con lui.
Ma Efisio Bomboi era suo “amico”. E, nonostante il laringofono, aveva ascoltato le sue storie.
Efisio è un Radiomontatore dell’esercito ormai in pensione, ma da ragazzo era rimasto affascinato dai racconti di quel vecchio mobiliere che parlava con la voce di metallo.
Si erano conosciuti perché Efisio gli aveva riparato più volte il laringofono e Amerigo gli aveva narrato il suo “vibrante” passato.
Così Efisio ha voluto raccontarlo agli amici di SpazioLiberoBlog.
Amerigo era nato a Civitavecchia il 21 marzo del 1913 e, dopo essere cresciuto tra gli stenti della Prima Guerra Mondiale e il rigore del ventennio fascista, come molti ragazzi del suo tempo, si era ritrovato a passare i migliori anni della sua gioventù tra gli artigli della Seconda Guerra Mondiale.
Era stato spedito in Nordafrica nei primi anni ’40 e, vista la sua abilità nell’imparare le lingue, aveva iniziato a studiare l’arabo.
Obiettivo del Regio Esercito: trasformarlo in una spia di guerra.
Ed Amerigo ci era riuscito.
Così, vestito come un beduino, girava rischiosamente per i campi britannici in groppa ad un dromedario.
Finché un dardo inglese non gli portò via le corde vocali e la sua abilità linguistica.
Gli alleati lo fecero prigioniero, ma curarono la sua ferita al collo in un ospedale da campo.
E gli diedero un laringofono.
Fu quindi portato in un campo di concentramento insieme ad altri quattromila prigionieri italiani e tedeschi.
Qui Amerigo conobbe Giuseppe Franci, nato a Latera, classe 1916, valoroso caporale del Genio, che si era distinto nelle operazioni belliche di Barce nel maggio del 1941 per aver continuato a lavorare sopra ad un palo telegrafico nonostante fosse rimasto ferito ad un piede da una mitragliatrice inglese.
Tra Amerigo e Giuseppe nacque un’amicizia che sarebbe durata per tutta la loro vita.
Ma la prigionia era dura e la fame tremenda.
La solitudine e il senso di smarrimento, tipiche del prigioniero, erano aggravate da quella ferita alle corde vocali che aveva per sempre portato via la voce e la gioventù di Amerigo.
Una notte, ai bordi del campo di concentramento, Amerigo trovò una scimmia bianca.
Probabilmente una bertuccia, un tipo di macaco che si incontra a volte da quelle parti.
Tra i due Primati scoppiò quell’amore che non ha bisogno di parole e che Amerigo non avrebbe più trovato nella sua vita.
Amerigo dedicò tanto tempo ad “addestrare” quel meraviglioso animaletto: non poteva più parlare con facilità la lingua degli uomini, ma sapeva farsi comprendere intensamente dagli animali.
I soldati britannici sorridevano davanti a quello strano prigioniero senza voce con la scimmia sulla spalla, ignorando che il buffo animaletto la sera si intrufolasse nella mensa ufficiali e rubasse cibo in scatola e altre pietanze per Amerigo e il suo amico Giuseppe Franci!
Ma mancava l’acqua e mancava anche agli inglesi.
Un giorno, osservando un pendio dalla strana forma in mezzo alle dune, Amerigo fu certo che ci fosse acqua in quella zona.
Non è chiaro come un prigioniero italiano col microfono puntato contro la gola e una scimmia sulla spalla abbia convinto gli ufficiali alleati, ma ben presto i prigionieri italiani iniziarono a realizzare un pozzo.
Scavarono per molti metri, poi Amerigo chiese di essere assicurato ad una corda e di essere calato nel pozzo a circa trenta metri di profondità per proseguire lui il lavoro in prima persona. Saltò fuori insieme ad una gigantesca onda d’acqua e la sua fama si sparse per il campo.
Ad Efisio raccontò che vari ortaggi spuntarono in mezzo al deserto e che lui divenne una sorta di leggenda per gli inglesi.
Purtroppo, qualche mese dopo, durante un’avanzata degli italotedeschi, gli inglesi caricarono tutti i prigionieri su vari carri e Amerigo fu costretto da alcuni soldati a lasciare la sua scimmia: sarebbe stato portato in un altro campo di concentramento, insieme a circa quarantamila prigionieri.
Rimase per settimane solo, triste ed affamato in mezzo al campo finché una notte un batuffolo di peli non iniziò a leccargli il volto.
La sua scimmietta lo aveva ritrovato percorrendo chilometri nel deserto.
La storia d’amore tra Amerigo e la scimmia terminò nel maggio del 1943: la piccola bertuccia gli fu strappata dalla spalla e gli inglesi caricarono lui e Giuseppe Franci su una nave che li portò in un campo di concentramento in Inghilterra dove rimasero fino al loro ritorno in Italia.
Un triste ritorno da reduce per Amerigo.
Non gli fu mai corrisposta l’indennità di servizio bellico, in linea col trattamento riservato ai reduci di guerra e, derubato della voce e della “giovinezza”, restò soltanto uno dei tanti invalidi di guerra, della terribile guerra del deserto.
Così dovette iniziare a vendere mobili per campare e gli rimase soltanto quell’amicizia con Giuseppe Franci che aveva vissuto con lui quelle notti stellate tra le dune mentre il ghibli gli riempiva gli occhi di sabbia e le esplosioni delle bombe e delle mine anticarro gli entravano nella testa, segnando per sempre il suo futuro di reduce.
Dopo la morte di Amerigo, le sue leggende erano rimaste in Africa, avvolte dalla sabbia del Sahara, smarrite insieme alla sua voce e alla sua scimmia.
Finché Efisio, trovando assurdo che storie così belle andassero perse per sempre, non le ha riportate oggi a Civitavecchia insieme a questa vecchia foto conservata e protetta dal passare del tempo.
GIUSEPPE BOMBOI
Bel racconto, la memoria deve essere preservata. grazie
"Mi piace""Mi piace"
Bellissima storia di uomini e donne ai quali fu sottratto tutto : fanciullezza, giovinezza e età adulta.
La guerra purtroppo non risparmia nessuno.
È un gioco totalizzante.
Speriamo solo di non doverci giocare mai anche noi.
"Mi piace""Mi piace"
Bel racconto he denota l’umanità di persone semplici e l’arte di arrangiarsi in tempo di prigionia anche per la comunità.
Mio padre, classe 1920, di sicuro avrà conosciuto Amerigo ed Efisio, forse anche in Nord Africa nel ’40 o in un campo di prigionia in Inghilterra.
L’ ambiente è quello, gli indumenti “beduini” o addirittura in mutande, così come mi rimangono nelle foto.
Solo queste imprese umili ci danno il senso e la tragicità di cosa sia stata la seconda guerra mondiale.
E insistiamo ancora, caro amico, con la guerra.
Se vai con “Orme di Persefone” ad una visita al cimitero monumentale, troverai i nomi di” chi non c’è l’ha fatta ” in Africa appiccicati e soli su di una parete.
Con stima Paola.
"Mi piace""Mi piace"
Grazie per i commenti.
Efisio ha voluto raccontare questa meravigliosa storia che io ho soltanto messo per iscritto.
Purtroppo la guerra è sempre un dramma e genera morti, invalidi, orfani e distruzione. Ma, a quanto pare, fa parte della storia dell’uomo che sembra non riuscire a farne a meno.
E Marte continua a portarsi via tanta parte di “umanità”.
"Mi piace""Mi piace"
Bellissimo racconto misto di violenza e magiche risonanze.. È vero Marte imperversa, ma, come scrive Lucrezio, alla fine si abbandona a Venere trafitto dall’eterna ferita d’amore. Eros sconfigge Polemos. La vita sopraffa’ la morte. L’essere il non essere. Così sarà anche questa volta… Speriamo👏👏👏❤️
"Mi piace""Mi piace"
Bella storia. Grazie per averla tramandata
"Mi piace""Mi piace"
❤️
"Mi piace""Mi piace"