“PESCI, PESCATORI, PESCIVENDOLI E CONSUMATORI” DI GIORGIO CORATI – Cibo: alimento ed esperienza

di GIORGIO CORATI

Il cibo è fondamentale per l’uomo. Il cibo non è solo nutrimento, ma anche un “mezzo” utile ai fini della socializzazione, dell’autorealizzazione, dell’accettazione, dell’esperienza da vivere in solitudine o da condividere con altre persone.

I consumatori hanno punti di vista diversi tra loro e ciò è dovuto a motivazioni di tipo culturale e di tipo sociale. Molti consumatori spesso “valutano” l’utilità del consumo di un prodotto alimentare esclusivamente rispetto alla propria capacità economica. E del resto ciò è del tutto normale, non ci sono dubbi. Tuttavia, qualunque consumatore mosso da curiosità potrebbe giungere all’assunzione di consapevolezza che oltre all’atto di consumo in sé (inteso anche in termini di gratificazione personale), tendono a rivelarsi, per così dire, nuovi orizzonti da esplorare. Socializzazione e esperienza conviviale sono due aspetti correlati al consumo di cibo da poter essere associati a quell’”utilità” forse a volte non consapevolizzata o a volte ricercata da un consumatore “esploratore”. Viene in mente, a questo proposito, quanto sostenuto dall’economista Lancaster con il suo approccio alla teoria del consumatore (1966). L’economista sostiene che l’utilità deriva dalle “caratteristiche” possedute dal bene (vale anche prodotto) di cui il consumatore necessita. Si tratta di attributi tangibili e intangibili che permettono di rendere massima l’utilità in termini di soddisfazione, consentendo al consumatore di esprimere una propria preferenza.

Ora, poniamo il caso del consumo alimentare dei ricci di mare. Si tratta di un’attività di consumo che può essere caratterizzata, secondo Lancaster, sia da una singola modalità di consumo sia da modalità di consumo congiunte. In termini di singola modalità di consumo si pensi, ad esempio, a gustare dei ricci di mare per proprio conto, da soli. In questo caso, al di là del piacere personale, possiamo considerare il riccio di mare come nutrimento per il proprio sostentamento o magari anche come gratificazione. Tutt’altro discorso è il consumo in modalità congiunta. Poniamo ora di voler consumare i ricci di mare insieme ad altre persone, diciamo, come nella tradizione gastronomica civitavecchiese: si pensi, ad esempio, alla ricciata. Ebbene, tale attività può essere ritenuta una modalità congiunta di consumo “cibo-rituale”, perché generalmente si tratta di un evento che permette di gustare dei ricci di mare in compagnia e allegria, mentre ciascun commensale vive in termini soggettivi la propria esperienza che va oltre sia l’aspetto nutrizionale sia il gusto personale fino a tendere alla massima soddisfazione (utilità) che ciascuno trae dal proprio consumo di ricci associato all’evento.

È indubbio che nella modalità congiunta il consumo il cibo assume altri significati e maggior valore per il consumatore, oltre il mero aspetto nutrizionale. Dall’osservazione di una modalità congiunta di consumo, ad esempio, si possono rilevare condivisione, socialità ovvero “stati” particolari che scaturiscono da un atto semplice di consumo di cibo. Si rileva la maturazione di un’esperienza che può essere certamente caratterizzata da un livello di qualità diverso per ogni consumatore.

La riflessione che si può tentare è che a parità di utilità, derivante da quanto si è vincolati o disposti a pagare per l’acquisto di un alimento, il valore ricercato possa dipendere dal livello di qualità delle materie prime utilizzate nella produzione e dalla capacità del prodotto di esprimere “significati e legami” anche rispetto al luogo in cui è realizzato e con il quale è in stretta correlazione. Ciò, sembra essere aderente a quelle pubblicità che “presentano” un prodotto che diventa esso stesso parte integrante di un territorio ben definito o che si identifica perfettamente con il consumatore obiettivo del messaggio. Sembra addirittura che l’esperienza di consumo che si può vivere sia essa stessa il prodotto. Probabilmente la pubblicità sta testimoniando che il numero di consumatori orientati alla qualità e al consumo di prodotti prossimi al luogo in cui essi vivono è in costante aumento. Ciò vale per tutti i prodotti alimentari coltivati, allevati, pescati, lavorati e trasformati cosiddetti a “KM 0”, che forse, però, meriterebbero l’appellativo “di prossimità”. Sicuramente vi sono consumatori che in un prodotto alimentare “di prossimità” ricercano anche dei “valori” espressi da chi lo produce, soprattutto da quei produttori che sono in armonia con le persone che partecipano al processo, dalla produzione fino a soddisfare il consumo finale, e che sono anche in armonia con l’ambiente in una visione di sviluppo sostenibile e di riconoscimento del ruolo vitale dei servizi ecosistemici in termini di biodiversità e non da ultimo nel rispetto delle generazioni future.

GIORGIO CORATI

https://spazioliberoblog.com/