“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – GIOVANI E SPORT…..SEMPRE PIÙ LONTANI.
di STEFANO CERVARELLI ♦
Dopo gli esaltanti giochi olimpici di Tokyo e Pechino e le altre vittorie ottenute un po’ dovunque, l’Italia in questo primo scorcio dell’anno, scopre un’amara realtà.
Una realtà che prestigiose, meritate medaglie avevano nascosto, lasciandoci, al contrario, farci sperare in un futuro prodigo di successi, tenendo soprattutto conto che le nostre vittorie sono arrivate da un ventaglio di discipline alquanto ampio. In altre parole credevamo di trovarci all’inizio di un nuovo rinascimento del nostro sport: purtroppo questo non sembrerebbe.
Intendiamoci, non è che improvvisamente sia calato il sipario sulle nostre potenzialità sportive,(anche se non ci aspettavamo certo la sconfitta con la Macedonia del Nord e la conseguente eliminazione dai Mondiali), le nostre capacità di esprimere talenti rimane, a parere mio, inalterata, tenendo anche conto che siamo un Paese in grado di esprimere il meglio proprio quando maggiori sono l’avversità, quando nessuno scommetterebbe un euro sulla nostra vittoria.
Questa volta, a rendere “nuvoloso” il futuro non sono problematiche di carattere tecnico, non sono messe in discussione, fino a prova contraria, le nostre capacità tecniche-atletiche, no, questa volta a renderci pessimisti è la fredda, arida concretezza delle cifre che dice, guardando oltre gli attuali campioni (tanti dei quali peraltro in età non proprio “verde”), che non si intravede roseo.
In poche parole sta venendo meno il “materiale” umano, ossia sta calando paurosamente il numero dei giovani che si dedicano allo sport.
A dirci questo è un report di 54 pagine, a cura dell’Osservatorio di Banca Ifis, dal quale emerge che neanche un italiano su tre pratica sport; a calzare le varie scarpette sportive sono per la precisione 15,5 milioni di persone, con un incidenza del 27% sulla popolazione maggiorenne: questa è la prima amara realtà.
Ora, se 15 milioni possono essere la popolazione di un piccolo Stato, il dato, in percentuale, non è proprio catastrofico, ma diventa preoccupante rapportato al numero degli italiani, ma ancor più, se viene analizzato in prospettiva futura perché oltre della metà degli sportivi attivi ha più di 45 anni! I giovani fanno sempre meno sport.
Se poi si allarga il campo d’indagine alla fascia 35-44 anni, scopriamo che, ai precedenti, si aggiunge una fetta di praticanti che porta la percentuale al 72%, peccato che si tratti di sportivi un po’ troppo ”leggermente” maturi per avere ambizioni di alto (o anche semplice) livello agonistico.
Lasciamo dunque i trentenni e quarantenni alle loro tranquille “performance” sportive e andiamo a vedere quello che più interessa il nostro futuro sportivo: cioè la “fascia olimpica”, quella che dovrebbe rinverdire nel tempo i nostri successi o perlomeno garantire una rappresentatività onorevole.
Qui, l’amarezza aumenta perché, dispiace dirlo, la scoperta che facciamo è sorprendente: solo il 12% di praticanti ha un’età compresa tra i 18 ed i 24 anni!
Ora non è difficile immaginare che proprio a causa di una percentuale così bassa ogni nostra vittoria, specialmente nelle gare olimpiche, costituisca davvero un trionfo! Basta fare il confronto con le percentuali di risorse umane di tanti altri Paesi.
Segno questo che non è certo la qualità che manca, sia degli atleti che dei tecnici; il problema, come appare evidente, è la quantità, a pura, semplice quantità di materiale umano sul quale lavorare.
Ma non finisce qui: c’è ancora un altro mesto dato statistico che ci offre un ulteriore sorprendente punto di osservazione sul problema.
Dopo edizioni olimpiche, nelle quali le ragazze hanno letteralmente tenuto in piedi le spedizioni azzurre, scopriamo che poco più di sei praticanti lo sport su 10 sono uomini, ossia il 63%; nello sport più praticato, il calcio, la presenza femminile si ferma al 17% (1) mentre nuoto e pallavolo hanno raggiunto la parità. Questo avviene nonostante le donne, nella popolazione che ha più di 18 anni, rappresentino la maggioranza.
Questa dunque la fotografia fatta dall’Osservatorio di Banca Ifis di un settore che, comunque, produce ricavi per 96 miliardi contribuendo al 3,6 % del PIL e che ha lo scopo di “Monitorare nel tempo l’evoluzione del settore in Italia” come dice il vice presidente Ernesto Fuerstenberg Fassio.
Un rapporto questo che, nell’interpretazione di un progressivo allontanamento dallo sport, si integra, si salda con un altro report, quello uscito a cura di Ulisp, Svimez (Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno) insieme a Sport e Salute, l’azienda pubblica che si occupa dello sport in Italia producendo e fornendo servizi di carattere generale. Il suo azionista unico è il Ministero dell’Economia e Finanze del quale è una società in house.
Anche qui il dato che ne emerge è avvilente: avanza l’obesità giovanile, la sedentarietà, tra nord e sud si allarga la forbice riguardante gli indici sia della salute, sia dell’impiantistica. In cinque regioni del sud il numero dei sedentari supera quello di chi fa una qualunque attività sportiva.
L’analisi continua con un altro dato che va in tendenza contraria al passato. Le aree, dove maggiore è la disoccupazione e dove una volta lo sport costituiva motivo di rivalsa sociale, oggi sono quelle con minor possibilità di svolgere attività.
Pensate che basti ? No.
Ci sarà una spiegazione a questo? Assolutamente si. In attesa di risposte e riscontri di un lavoro d’indagine fatto a livello nazionale (non può non esserci) da parte mia avanzo un’ipotesi basata su un ulteriore dato statistico che contribuisce ancor più ad avvilirci.
Siamo il quinto Paese più sedentario d’Europa ma, quel che è più grave, siamo l’unico Paese del G7 che non ha neanche un’ora di educazione fisica nella scuola primaria! Davanti a questa situazione quello che facciamo è pure molto.
E il CONI? A quanto scritto nel report si trovano parole di consenso da parte del Presidente Giovanni Malagò, che non si dimostra certo dispiaciuto da quella che appare (ed effettivamente lo è) una velata critica nei riguardi di Sport e Salute; non si può negare infatti che questa società non goda delle simpatie del numero uno dello sport italiano, in quanto ritenuta responsabile, secondo Malagò, di aver riservato alle federazioni sportive un “minor supporto economico statale”.
Ma non credo proprio che nessuno, proprio nessuno, tanto meno il CONI, e con esso il Ministro della Pubblica Istruzione, possa sottrarsi dalle colpe, e dalle responsabilità dei gravi problemi che emergono dai dati emersi, né avanzare una qualsiasi giustificazione.
Appare chiaro, in conclusione, che in confronto al lavoro che ci attende, vincere negli stadi, nelle palestre, nelle piscine, è la cosa….meno difficile che si possa fare.
STEFANO CERVARELLI