“OLTRE LA LINEA” A CURA DI S.BISI E N. R. PORRO – I MILITI IGNOTI DELLA GUERRA UCRAINA
di SIMONETTA BISI♦
Volano i razzi nel cielo dell’Ucraina. Si apre uno squarcio nel muro di un palazzo. Ardono le fiamme e bruciano persone e cose. Cadaveri ingombrano le strade, in attesa di una mano pietosa che li raccolga per dare loro una degna sepoltura, ma non tutti hanno questa fortuna. Infastidiscono i militi russi quelle forme umane accartocciate per terra, segni inequivocabili della loro barbarie: meglio nasconderli, proseguire l’oltraggio scaraventando quei poveri resti in una buca profonda.
Nel cielo volano i droni: alcuni portano un messaggio di morte, altri registrano in tempo reale atrocità e gesti di umanità. Ecco quello che era un villaggio: cenere e morte. Qui c’era una scuola, oggi un cumulo di macerie, e là in fondo alla strada l’ospedale pediatrico… C’era una volta Mariupol, c’erano una volta pacifici villaggi, c’erano una volta i campi biondi di grano, c’era una volta un popolo che in quella terra viveva e mai avrebbe immaginato di essere costretto ad espatriare o a morire.
Lasciamo per un momento da parte le questioni irrisolti sul come e il perché, sul vero e sul falso, su chi ha ragione e chi ha torto. Fermiamo questo assurdo rimpallo tra gli opposti schieramenti, non siamo allo stadio, nessuno ha la verità in tasca, e discettare seduti in poltrona, commentando i talk show dove si cerca solo il contrasto e il litigio per fare audience, è troppo facile. Scendiamo con i piedi per terra, pestiamo almeno con l’immaginazione quella terra bagnata dal sangue, e guardiamoli, loro, il popolo ucraino. La gente comune, studenti o pensionati, donne o uomini, giovani e anziani, vivevano né più né meno come si vive in Italia: chi era a favore del presidente (eletto con il 72% dei voti, lo so… anche Hitler fu eletto), chi era contrario. C’erano i ricchi, i benestanti e i poveri, persone oneste e altre no. Insomma: una nazione con un assetto democratico conquistato a fatica. Questa gente, all’alba del 24 febbraio è stata svegliata dai bombardamenti, e solo allora ha saputo che la Russia, Paese considerato da molti un Paese amico, la stava invadendo. Non c’era stata una dichiarazione di guerra perché – questo penso sia accettato da tutti – secondo Putin tentare di occupare con le armi uno stato sovrano era cosa giusta: l’Ucraina andava denazificata (un po’ come gli Usa quando volevano esportare la democrazia).
Dice il professore Orsini: c’è troppa sproporzione di forze, meglio sarebbe stato arrendersi subito. Così come pensava l’autocrate russo, quando spiegava ai suoi soldati che in quella “operazione speciale” sarebbero stati accolti con entusiasmo come i liberatori.
Ma il popolo ucraino ha optato per il No.
Hanno scelto di difendere la loro nascente democrazia. La loro Ucraina non sarà cancellata dalla carta geografica, come vorrebbe Vladimir Putin. Ed ecco i soldati senza nome scendere in campo: sono le migliaia di ucraini – uomini donne civili o militari – che con tenacia e coraggio combattono contro le forze russe, sapendo che ai loro invasori è stato insegnato che non si deve avere pietà.
Non sono soltanto soldati dell’esercito regolare ucraino. Persone normali, famiglie con anziani e bambini, cercano in ogni modo di dare una mano. Non hanno paura. Conoscono il loro territorio. Quando vedono i carri armati russi nascosti nella foresta dietro le loro fattorie, usano i loro smartphone per inviarne all’esercito le coordinate. Si occupano dei più fragili, mettono in salvo, per quanto possibile, anziani e bambini, ma non si arrendono, anche quando subiscono la prepotenza dell’aggressore. Non cercano la notorietà, non vogliono essere eroi: vogliono combattere e morire anonimamente. Infatti, non conosciamo i loro nomi, nemmeno quelli dei generali ucraini (eppure ci sono). Sono consapevoli della loro possibile fine, ma insistono e ognuno cerca di fare qualcosa: anche le donne hanno un ruolo importante in questa guerra assurda. Tante sono le loro storie.
Come quella di Asya Serpinska, settantasette anni, che da vent’anni manteneva un rifugio per animali a Hostomel, città a nord-ovest di Kiev. Con la minaccia dell’occupazione russa, pensò, non c’era posto in Ucraina che avesse più bisogno di lei. Con tre colleghi, ha tenuto in vita la maggior parte dei 700 cani e 100 gatti – e ha persino salvato un leone – mentre le forze russe e ucraine si scambiavano bombardamenti sopra la sua testa, mentre milizie russe entravano ripetutamente nella proprietà e minacciavano le loro vite. Amici e parenti la pregarono di andarsene, ma lei rifiutò. “Il mio posto è qui. Da noi abbiamo un detto, ed è importante”, ha risposto Serpinska, mentre li guardava. “Per noi, salvare gli animali significa essere umani.”
Perché anche gli animali vanno protetti: tante le immagini di profughi con il loro gattino, o il cane, addirittura una donna ha minacciato di non allontanarsi dalla sua casa senza il suo… gallo.
Ho parlato di “consapevolezza”, e consapevole era il fidanzato di Liuba quando le ha telefonato per dirle: “Ho un giorno libero. Sposiamoci domani, prima che sia troppo tardi” e Liuba ha accettato (Corriere della sera, 27 aprile 2022, Marta serafini, Inviata a Kryvyjrih). Ricordo i tanti matrimoni di guerra da noi, durante la Seconda guerra mondiale. Molti non sono tornati, e hanno lasciato vedove e bambini senza padre. Perché si crede che l’amore venga prima di tutto, e non sarà la morte a sconfiggerlo.
Dove è possibile le donne rimaste a casa approvvigionano i soldati, aiutano a portare bidoni d’acqua dove serve, danno il primo servizio di cura ai feriti. E quando è necessario, prendono un’arma e vanno a combattere.
Resistenza è una parola a volte abusata, ma come possiamo chiamare in altro modo questa dedizione a salvare il proprio Paese, questa disposizione a difendersi ferocemente, questa consapevolezza che l’Ucraina è reale, molto reale, e loro, il popolo ucraino, non la abbandoneranno mai. Per queste ragioni ritengo sia necessario aiutare tutti quegli ucraini senza nome che lottano per la loro libertà.
Chissà se Svetlana Aleksievic fra qualche anno raccoglierà le testimonianze delle giovani donne ucraine che hanno imbracciato il fucile per difendere la patria e gli ideali della loro giovinezza contro uno spietato aggressore. La Aleksievic nel libro La guerra non ha un volto di donna, come sappiamo, narra le storie delle donne sovietiche che durante la Seconda guerra mondiale si sono armate e volontariamente hanno combattuto per la Russia, per Stalin. Anche allora ci fu un’invasione: il 22 giugno 1941 Hitler invase l’Unione Sovietica, l’esercito sovietico non si arrese e diede vita a un’accanita resistenza. Centinaia di migliaia di donne si mobilitarono per integrare i vuoti nell’esercito: la maggior parte erano giovanissime, tutte volontarie.
E sull’altro fronte?
Militi ignoti sono anche i tanti giovani russi mandati al macello da Putin, ragazzi a cui erano stati promessi stipendi e carriera in cambio di un glorioso ingresso in un altro Paese, dove sarebbero stati accolti con lanci di fiori. E invece, hanno trovato la morte, una morte senza pietà. Sulle ultime “risorse” dell’esercito russo rimando all’articolo di Selvaggia Lucarelli su Domani del 24 aprile: Putin manda al macello le minoranze che si arruolano per evitare la miseria. Così, tra i combattenti contro gli ucraini si trovano buddisti, mussulmani e appartenenti a quelle varie etnie disperse nell’immenso territorio russo. (La seconda ondata di guerra però vede in campo mercenari ceceni – e non solo –che seguono le loro leggi: distruggi, stupra, ruba). Nella prima parte della “operazione speciale” tanti erano i giovanissimi, diciottenni impreparati che forse non avevano voglia di uccidere: abbiamo visto le immagini di questi ragazzi catturati che chiedevano di telefonare alla mamma, piangevano smarriti. Questi sono i militi ignoti del fronte russo, perché di loro non si conosce il nome, non sono eroi e resteranno solo nel cuore dei loro cari.
Anche qui il dramma è delle madri che, instancabili, cercano di avere notizie dei loro figli. In telefonate intercettate si sentono chiedere notizie all’ufficio competente, e quasi sempre la risposta è: disperso. Probabilmente non avranno mai un corpo da seppellire, non avranno mai la certezza della fine del loro caro, alimenteranno forse l’assurda speranza che sia sopravvissuto, e chissà… forse un giorno potrà tornare.
A chi è stato consegnato un corpo, o confermata la triste fine, il governo dà un risarcimento: un pacco di rubli pari a circa 130 euro. Le foto pubblicate dal quotidiano “Domani” mostrano le immagini di queste madri, o mogli, o sorelle immortalate ufficialmente dalla propaganda russa come esempio di come lo Stato aiuta i caduti in guerra. Sono in posa, con un fascio di banconote fra le mani, mostrano i 10.000 rubli che il Cremlino ha dato loro per compensarle della perdita dei loro cari. Nei loro sguardi l’assenza, il vuoto, la pena.
Non dimentichiamo una importante voce del dissenso: le femministe russe, osteggiate dal governo, che anche in questi giorni cercano di manifestare senza troppo apparire – per evitare immediati arresti – contro la violenza, contro la guerra. Indossano vestiti celesti e gialli, depositano fiori su luoghi simbolici, scrivono sulle banconote per distribuire messaggi, scendono in strada in piccoli gruppi, depistando la polizia, protestano contro la guerra.
Ecco il loro appello: “Come cittadine russe e femministe, condanniamo questa guerra. Il femminismo come forza politica non può essere dalla parte di una guerra di aggressione e occupazione militare”.
L’immagine che segue mostra una manifestazione femminista del 2020. Inutile dire che oggi sarebbe impossibile.
SIMONETTA BISI
Opportuna e circostanziata testimonianza sui risvolti angoscianti di una guerra particolarmente sporca e disumana. Ottimo contributo, Simonetta.
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Cara Simonetta, hai reso onore e grazie a tutte le mani che salvano e curano mentre si distrugge , a tutti quelli che sognano di ricostruire il mondo col loro amore in mezzo alla rovina. Anche la pietas verso gli animali ha un suo valore profondo di umanità, come osserva la signora Asyal: mi ricordo uno straordinario prete di Roma, padre Mario Canciani, che apriva la sua chiesa agli animali (indimenticabili certi sorrisi beati di bambine che portavano in braccio lungo la navata il micio o il cagnolino di casa…). Una volta raccontò una leggenda russa di un malfattore a cui fu risparmiata la dannazione perché in una notte di gelo aveva scaldato nella sua tasca un gattino salvandolo dalla morte. Nessun gesto d’amore e pace col mondo dovrebbe essere dimenticato. Grazie
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Guerra sporca e disumana,per questo hanno valore le testimonianze.
A presto, Simonetta.
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