Lettera apocrifa di Fëdor Michajlovič Dostoevskij a Vladimir Vladimirovič Putin –
di ETTORE FALZETTI ♦
Mosca, gennaio 1868
Volodja, sappiamo che l’essenza della vocazione russa consiste nel rivelare al mondo il Cristo Russo, sconosciuto al mondo, il cui principio sta nella nostra Ortodossia. Chi crede nella Rus’, sa che essa tutto sopporterà e nella sua essenza rimarrà quella di prima, la nostra santa Rus’, quale fino ad ora è stata.
Nell’enorme maggioranza del nostro popolo, persino negli scantinati di Pietroburgo, persino nella situazione spirituale più misera, esiste comunque l’anelito alla dignità, una certa onestà, a un autentico rispetto di sé; si conserva l’amore per la famiglia, per i figli. La nostra madre Russia è minacciata in ogni suo confine, ma il nemico maggiore è l’occidente senza Cristo, con la sua modernità nichilista. L’Europa ha creato nobili tipi di francesi, inglesi e tedeschi, ma ancora non sa quasi niente del suo uomo futuro. E sembra che ancora non ne voglia nemmeno sapere. Ed è comprensibile: non sono liberi, mentre noi siamo liberi, mentre noi siamo liberi. L’idea del panslavismo è talmente colossale da potere senza dubbio terrorizzare l’Europa, anche per la sola legge di autoconservazione. In Europa, in questa Europa, dove sono state accumulate tante ricchezze, tutto è scavato di nascosto e, forse, già domani, crollerà senza lasciare traccia nei secoli dei secoli. In Europa c’è un clima di generale tristezza. Non all’Europa noi dobbiamo guardare, ma a oriente. Alla Russia tocca la missione universale di pacificare e civilizzare l’Asia.
Io credo nel regno totale di Cristo. Come si realizzerà, è difficile prevederlo, ma esso ci sarà. Io credo che questo regno si realizzerà. Anche se è difficile fare previsioni nella notte fonda delle congetture, i segni si possono comunque delineare almeno con il pensiero e io credo nei segni. E ci sarà il regno universale del pensiero e della luce, da noi in Russia prima che altrove. Vive con noi una grande forza, il nostro popolo, una forza che non dobbiamo e non possiamo dissolvere.
Chi perde il proprio popolo e l’anima popolare, perde anche la fede patria e Dio. Le parole “contadino” e “Rus’ ortodossa” sono le nostre radici fondamentali. Un russo che rinneghi lo spirito del popolo (e ce ne sono tanti) è immancabilmente un ateo o un indifferente..
A volte l’uomo è straordinariamente, appassionatamente innamorato della sofferenza, ma meglio sguainare una volta la spada che soffrire all’infinito. Una guerra combattuta per un nobile fine, per l’emancipazione degli oppressi, per un’idea disinteressata e santa: questo genere di guerra purifica l’aria infetta dai miasmi che vi si sono accumulati, risana l’anima, scaccia la vergognosa viltà e l’indolenza, dona e chiarisce l’idea alla cui realizzazione è chiamata questa o quella nazione. Tale guerra rinvigorisce ogni singola anima con la coscienza del suo sacrificio e lo spirito dell’intera nazione con la coscienza della reciproca solidarietà e dell’unità di tutte le membra che compongono la nazione.
.Fëdor Michajlovič
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La lettera è stata ricavata cucendo insieme testuali pensieri sparsi di Dostoevskij rappresentativi di quell’anima russa alla quale Putin suppone di richiamarsi. Ha detto Kissinger che per capire Putin bisogna leggere Dostoevskij: questo non significa tuttavia che oggi FMD sarebbe un sostenitore del nuovo zar. Non tragga in inganno il pensiero finale sulla guerra: la guerra di cui si scrive non appare affatto simile all’ operazione militare speciale in Ucraina, semmai ricorda la lotta antinapoleonica o preconizza la resistenza al nazismo.
Resta il fatto che Putin, seppur travalicando criminalmente il limite, si muove ideologicamente nel solco di una tradizione profondamente radicata e in un orizzonte valoriale che noi occidentali ancora stentiamo a capire. Da qui un consenso in patria che non passa solo o semplicemente attraverso la repressione.
ETTORE FALZETTI
Sofisticata e originale ricostruzione di una problematica aperta a interpretazioni variegate. Vorrei solo aggiungere che quello russo mi sembra un caso esemplare di rapporto irrisolto e tutto da indagare fra una grande cultura nazionale e il cosmopolitismo, tendenzialmente omologante, della modernità.
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davvero molto interessante, uno sguardo originale e colto
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Caro collega di storia (e filosofia), ammiro la scelta di sobrietà nel tuo testo, sintomo del bravo educatore e l’espressione del tuo pensiero onesto.
Sono illuminanti i vari passaggi storici, senza indulgere su posizioni di propaganda.
Mi interessano sia il clima di generale tristezza, collocabile in varie epoca della storia d’Europa ed il riferimento a questa grande forza spirituale e materiale(la spada).
Come hai precisato, se parli di guerra e di destini, il riferimento è certo al panslavismo nell’Europa orientale.
Nel contempo in “Occidente” tu richiami le lotte contro l’invasione napoleonica, che ci richiamano Fichte e la guerra di liberazione
contro Napoleone.
Anche Fichte richiama il popolo e i dotti ad una grande “forza”, è lo streben, per distruggere quel male radicale, che è l’inerzia. In tal modo possiamo dire che al panslavismo si avvicina il pangermanesimo, cambiando gli autori della storia.
Dall’erudito alla Nazione tedesca Fichte lancia il suo messaggio alla Prussia e a tutta la Germania: Berlino è occupata dai francesi e F. coraggiosamente pronuncia i Discorsi alla Nazione tedesca sotto gli occhi dell’invasore.
Se in seguito tale Dottrina avrà esiti che noi contemporanei considereremo nefasti, dobbiamo forse rinnegarla per la sua potenza storica in quel determinato contesto? ( I tedeschi guida spirituale dell’umanità e guida spirituale del mondo). Paola.
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