TRUCCHI DEL MESTIERE, 1. LO SPECCHIETTO DEGLI ALLODII

di FRANCESCO CORRENTI

Capita di frequente, passeggiando per un centro urbano (ma la stessa cosa può capitare in campagna), di avere urgente necessità di conoscere una certa misura, come, poniamo, l’altezza della facciata di una costruzione o anche, più semplicemente, quella di un lampione o di qualsiasi oggetto o persona. Prendere le opportune misure, del resto, è sempre raccomandabile in molti casi.

A questo punto, per introdurre il passaggio successivo del mio discorso, devo rammentare al lettore che, nel latino del Medioevo, si definiva allodium – derivato dal termine franco alōd – una proprietà libera da vincoli e da servitù, compresi i tributi feudali. La parola è passata nella nostra lingua italiana come allodio. Orbene, è normale che chiunque si trovi ad essere proprietario di uno o più allodii, abbia la curiosità di conoscerne l’altezza o qualunque altra misura. Molte persone di mia conoscenza, anche giovani non particolarmente esperti di antichi proverbi o di modi di dire, conoscono il nesso che esiste tra gli allodii e gli specchi. I cacciatori – in particolare quelli di doti (fisiche o morali non fa differenza) – i quali per loro natura sono di solito alla ricerca di allodii, o beni allodiali che dir si voglia, conoscono bene l’adagio, per cui, più che di specchi, si debba far uso di specchietti. Sono perfetti anche quelli retrovisori. Ma non bisogna essere pignoli, perché, ai nostri fini, perfino uno specchio d’acqua è utilissimo, purché sappia riflettere, dato che la riflessione è indispensabile, mentre la semplice flessione non serve a nulla ed anzi può essere pericolosa, tanto per le articolazioni quanto per i prezzi o per il consenso elettorale.

Nell’esempio che ho illustrato, ripetendo e adattando un disegno di molti anni addietro, tratto da un appunto preso dopo aver simpatizzato e chiacchierato a lungo con un’insegnante di disegno spagnola, o piuttosto catalana, incontrata casualmente nel magnifico monastero cistercense presso Tarragona chiamato localmente “Reial Monestir de Santa Maria de Santes Creus”, ho immaginato che l’allodio (ossia, in questo caso, una proprietà dei Padri di San Domenico) di cui voglio conoscere l’altezza sia la facciata d’una chiesa in tutto simile alla matrice di Santa Maria Assunta di Civitavecchia, come da me ricostruita nell’aprile del 1990 – ben trentadue anni fa – e come progettata dal padre Giovanni Battista Labat nel 1711, con le pietre demolite dalla doppia fontana che stava in Piazza d’arme, concesse al Convento da N. S. Clemente XI.

Allora (mai iniziare così una frase!), per determinare l’altezza dal selciato della Prima Strada al culmine del timpano triangolare del prospetto della chiesa, occorre poggiare a terra orizzontalmente lo specchietto ad una certa distanza dalla stessa, lungo un asse perpendicolare e centrale rispetto al suo piano ideale di giacitura, disporci poi lungo lo stesso asse nel punto in cui vediamo riflesso il vertice del timpano e conoscere tre dati, facilmente alla nostra portata: l’altezza dei nostri occhi (diciamo 180 cm, parlo per me, quindi 1,80 m) e la distanza dello specchietto sia dalla facciata sia dalla verticale degli occhi. A quel punto, il calcolo è semplice. L’altezza incognita H della facciata sarà pari al prodotto della distanza da essa del punto d’incidenza sullo specchietto del vertice del timpano per l’altezza da terra h degli occhi, diviso per la distanza d tra il predetto punto sullo specchio e la proiezione a terra degli occhi. Naturalmente, per misurare le due distanze occorre un metro o una fettuccia metrica o qualcosa del genere, oppure contare i passi, adeguandoli, uniformandoli e valutandoli per ricavare le due dimensioni che ci servono.

Nel caso esemplificato, tra le infinite possibilità che avevamo di porre a terra lo specchietto, avendolo posizionato in modo che il vertice della facciata capitasse a 18 metri dal prospetto ecclesiale, la distanza da quel punto, con la mia altezza degli occhi, è d’un metro e settanta (m 1,70), per cui il risultato finale risulta pari a metri 19,05 che in effetti era quella della facciata ricostruita in legno nel 1990 e, con una minima approssimazione, quella originale della chiesa, come l’avevo calcolata nella sua ricostruzione grafica, partendo dalle foto dei benemeriti e rimpianti Armando Blasi e Giuseppe Scotti, scattate dopo i bombardamenti e prima della scellerata demolizione.

FRANCESCO CORRENTI

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