Quello della fede non è un linguaggio universale
di PAOLO BANCALE ♦
Mentre il mondo intero vive in preda a una forte preoccupazione per i possibili sviluppi di un conflitto mondiale, vengono erette nuove barriere fra gli uomini e fra i popoli della Terra. L’unica realtà che non conosce muri è la comunità scientifica. Il solo linguaggio universale è quello della scienza, mentre gli uomini di fede parlano lingue diverse e spesso in contrasto fra loro.
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Gli uomini di chiesa, a tutti i livelli e di tutte le chiese, ripetono ai quattro venti di essere portatori di un messaggio universale. È difficile mettere in dubbio che siano universali i valori di cui essi sono portatori, amore e fratellanza, pace e solidarietà: valori che, peraltro, sono condivisi da milioni di persone prive del “conforto” di una fede religiosa. Nello stesso tempo, però, non è difficile constatare che numerosi credenti contravvengono quotidianamente, nei fatti e non solo a parole, al dovere di comportarsi in modo conseguente.
La relatività del linguaggio
Il problema che vorrei sollevare, qui, è però un altro. Proprio nel momento in cui, nello scenario della globalizzazione, il mondo avrebbe bisogno di trovare riferimenti universali per fronteggiare gli immensi ostacoli che è chiamato a superare, assistiamo a due verità contrapposte e in rotta di collisione fra loro. Due Chiese, entrambe impegnate sotto l’unico credo del Cristianesimo, si schierano sui fronti opposti di una guerra che si svolge vicino a noi.
Nell’omelia di Pasqua, Francesco ha parlato dell’Ucraina “così duramente provata dalla situazione insensata in cui è stata trascinata”. Poche settimane prima, nei giorni dell’invasione russa dell’Ucraina, Kiril -che dopo la morte di Alessio II, nel 2009, era stato eletto Patriarca di Mosca e primate di Russia- aveva definito “terribili” le sofferenze subite dai cittadini del Donbass e parlava di “Forze del Male” in riferimento agli avversari di Mosca.
Da anni la Chiesa di Roma e quella di Mosca avevano iniziato un dialogo che, secondo alcuni commentatori, era arrivato addirittura al più alto livello dallo scisma del 1054 fra cattolici e ortodossi. Ma dopo l’ascesa di Putin ai vertici dello Stato, Kiril ha sposato le tesi del nuovo Zar, indirizzate alla critica del modello occidentale, fino a meritarsi l’appellativo di “cappellano del Cremlino”.
Le difficoltà di papa Francesco si spiegano anche così. Interrompere il processo di avvicinamento tra gli spezzoni del Cristianesimo rende ancora più difficile il tentativo di accreditare come “universale” il linguaggio della Chiesa, tanto più che il cristianesimo è solo una religione fra le tante. E non si tratta di maquillage. L’universalità del linguaggio richiede un solido fondamento concettuale, che la religione non è in grado di offrire.
L’evoluzione del pensiero dell’uomo
Forse un giorno torneremo a parlare tutti una medesima lingua, come fanno gli animali. Sarebbe un grande passo avanti sulla strada dell’abbattimento delle barriere che ci separano, lungo una linea di evoluzione che si scontra con chi vorrebbe erigere sempre nuovi muri.
Intendiamoci: la varietà dei linguaggi è segno di ricchezza culturale. La declinazione dello sviluppo della nostra specie nelle diverse articolazioni che lo accompagnano deve sempre essere storicizzata. Quando confrontiamo i diversi percorsi, anche quelli delle religioni, anche quelli delle scienze, non dobbiamo mai dimenticare di relativizzarli, nella consapevolezza che le loro affermazioni non sono mai assolute, neppure quando pretendono di esserlo.
Dio è una creazione dell’uomo che, in quanto tale, si è manifestata in modi diversissimi nei quasi duecento millenni di storia dell’Homo Sapiens, nelle varie epoche e nelle differenti aree geografiche. Sulla definizione di questo termine sono stati scritti interi libri, e non solo da parte di teologi.
La scienza ha conosciuto un percorso evolutivo non meno tortuoso di quello della religione. Ha avuto diverse false partenze, fin dai tempi di Democrito, ed è riuscita a raggiungere l’età adulta solo con Galileo, da non più di quattro secoli. Oggi essa vive forse un periodo di grande popolarità, grazie a una serie di successi che in passato sarebbero stati impensabili. Ma ciò che la scienza è realmente non corrisponde al modo in cui essa viene percepita nell’immaginario collettivo.
La scienza: che cosa è e che cosa non è
Un modo di interpretare la scienza, tanto diffuso quanto errato, la vede come un generatore di verità assolute e inoppugnabili. Questa è una visione profondamente errata. L’attività scientifica procede per tentativi, raccogliendo la sfida di trovare risposte a domande sempre nuove. Lo scienziato raccoglie il guanto e propone ipotesi, che richiedono di essere verificate come vuole la ricetta galileiana.
Può capitare, ed è capitato spesso, che un intero capitolo della scienza venga considerato valido per molti secoli, prima di rivelare i propri limiti. La geometria euclidea è sembrata inattaccabile per oltre due millenni, prima di essere affiancata da altre geometrie: iperbolica, ellittica, e il capolavoro di Bernhard Riemann, quella geometria sferica che, oltre mezzo secolo dopo, avrebbe costituito la base matematica su cui si è fondata la teoria della Relatività Generale.
Dal 1919, la Relatività ha avuto numerose verifiche sperimentali. Alcuni anni fa qualcuno credette di averla colta in fallo, ma venne presto smentito dalla scoperta di un connettore difettoso. Non è da escludere, e forse è probabile, che anch’essa possa rivelarsi un giorno il caso limite di un’altra teoria più generale, come avvenne con la legge della gravitazione universale di Isaac Newton. È questo il modo di procedere della scienza. Ci sono campi che credevamo inaccessibili, come lo studio della vita. Oggi ne sappiamo molto e, entro un tempo ragionevole, anche questo mistero non sarà più tale.
Quello dell’origine della vita è, peraltro, l’esempio che meglio di ogni altro mette a nudo il confronto fra scienza e religione. Il compito della ricerca è avanzare ipotesi, che poi vengono passate al vaglio della verifica. La scienza non potrebbe mai affidarsi a narrazioni di fantasia, ancorché suggestive. Talvolta, gli scienziati si possono schierare a favore o contro una specifica teoria. Accade anche questo, ma… ci sono dei ma.
Il primo è che quando, tra uomini di scienza, si scatena un dibattito (o uno scontro), dobbiamo capire prima di tutto se siamo su un terreno scientifico o su quello dell’epistemologia. Se sono in discussione i fondamenti della scienza (o di una scienza), tutte le posizioni in gioco sono, entro certi limiti, ammesse. Prima o poi, arriverà il momento in cui la storia proclamerà i vincitori.
Il secondo riguarda il terreno propriamente scientifico. Nel confronto su una teoria sono possibili opinioni diverse, fino a quando le verifiche sperimentali non avranno sgomberato il campo da ogni possibile dubbio. Quando la teoria viene accolta dalla comunità scientifica, ciò non avviene per approvazione di un’autorità costituita, ma solo sulla base del pensiero razionale.
Chi sono i nemici della scienza
I sostenitori del terrapiattismo non si affidano a una teoria scientifica coerente e verificabile, ma a un’idea semplice e tutto sommato condivisa in epoche lontane. Difficilmente troverete da parte di costoro un tentativo di spiegare i fondamenti del loro credo. In origine ne esisteva uno, peraltro facilmente smontabile: l’osservazione di immagini a lunga distanza mediante un binocolo non si potrebbe spiegare in presenza della curvatura terrestre. Simili stupidaggini, che non meritano certamente di essere definite teorie, si pongono fuori dalla cultura e non possono essere prese in considerazione da nessuna persona di buon senso.
Più diffuso è l’atteggiamento di quanti si schierano contro la scienza in nome delle sue applicazioni negative, quando non addirittura catastrofiche. Chi punta il dito contro la conoscenza scientifica, di solito, invoca il ritorno all’ignoranza, non essendo in grado di distinguere fra sapere e imperativi etici.
Si tratta di forme di neoluddismo, che possono affascinare solo chi confonde le cause con gli effetti. Per costoro, il solo fatto di sapere che l’energia nucleare può avere effetti disastrosi comporta la certezza che qualcuno la utilizzerà per questi obiettivi. Certamente, dobbiamo essere tutti preoccupati dei rischi che corriamo. Ma ciò non giustifica il passaggio da un sano realismo all’affermazione che sia meglio essere ignoranti che conoscere la realtà. D’altronde, chi lo sostiene è l’erede diretto, in termini culturali, di quanti pensavano che la diffusione di una cultura di massa fosse un grave rischio per la stabilità dell’assetto sociale.
Una simile concezione nasce da un estremo pessimismo sulla natura dell’uomo. Il vecchio detto “l’occasione fa l’uomo ladro” serviva solo a giustificare ogni genere di malefatte. In realtà, è vero proprio il contrario: una più completa conoscenza della realtà può essere necessaria per raggiungere una maggiore consapevolezza sul terreno dell’agire pratico, il che -peraltro- si può tradurre in un comportamento saggio, solo a condizione di accompagnarsi a saldi principi etici.
Un tentativo storico di introdurre una spaccatura fra diverse identità della scienza fu quello di screditare la teoria della Relatività, tacciandola di “scienza ebraica”: una definizione di pura fantasia, oltre che di parte e priva del benché minimo fondamento. Fu subito evidente a tutti l’assenza di ogni presupposto su cui suffragare una simile assurdità, e anche questa vicenda passò alla storia come uno dei tanti soprusi di un’ideologia ormai fuori dalla storia.
Scontro o confronto?
Quando uno scienziato critica una teoria, lo fa sulla base di osservazioni che verranno vagliate dalla comunità scientifica. Quando un confessore giudica l’operato di un fedele, lo fa in base a quelli che secondo lui dovrebbero essere i principi fondanti della confessione religiosa alla quale appartiene.
La comunità scientifica parla ovunque lo stesso linguaggio. Le diverse confessioni religiose hanno principi differenti. A parte ciò, dovremmo sempre avere presente che la scienza e le religioni intervengono in campi diversi.
Il problema del loro rapporto è complesso ed è stato a lungo oggetto delle riflessioni dei filosofi. I diversi approcci potrebbero per semplicità essere così raggruppati:
Scienza e religione
– operano in campi differenti e non hanno aree comuni di contatto;
oppure
– si complementano a vicenda;
oppure
– sono fra loro in conflitto (e, per alcuni, l’una escluderebbe l’altra).
Chi opta per la prima opzione non vede alcun motivo di contrasto fra religione e scienza. Gli altri parlano invece di un confronto o di scontri. Nella storia, questi ultimi sono stati moltissimi e cruenti, anche se per la verità la religione ha costituito spesso il pretesto per nascondere motivazioni differenti. Oggi, almeno nel mondo occidentale, prevale una sorta di contrapposizione dialettica, e sono in aumento i libri e gli articoli dedicati al confronto fra esponenti di spicco dei due campi.
Non intendo entrare più di tanto nel merito della questione, se non per affermare il mio convincimento che i motivi di contrasto siano essenzialmente di ordine pratico, in quanto l’evoluzione della società civile tende a farci considerare superato un antagonismo di natura filosofica. Ho voluto invece sottolineare il tema delle caratteristiche di un linguaggio universale, allo scopo di evidenziare che la pretesa universalità del linguaggio di una religione non ha il minimo fondamento, come dimostrano le recenti vicende che ho richiamato. E questo, non solo per il semplice fatto che esistano numerose religioni diverse fra loro, ma soprattutto perché i valori universali di cui alcune confessioni si considerano portatrici, vedi il buddhismo, hanno il loro fondamento nell’etica e non nella religione.
PAOLO BANCALE
Il linguaggio universale si chiama solo AMORE
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Caro amico. Ti ho conosciuto da poco ma subito ho apprezzato la tua vasta. E’ certo un piacere dialogare con te. Che importa avere idee diverse. Ciò che conta è poter avere dialogo. Di questi tempi non è poca cosa.
Dunque, veniamo all’oggetto della tua osservazione.
Togliamo subito di mezzo la religione in quanto espressione storica che ci conduce alla lotta, allo schieramento, alla tradizione relativa e tentiamo di parlare in termini generali: la fede e la scienza.
La verità della scienza, come tu ben affermi, non può essere statica. Assomiglia più al concetto di limite in matematica: una tendenza verso qualcosa che non può essere mai raggiunto. La scienza è falsificabile , ovvero il concetto scientifico deve essere espresso in modo tale da contenere la possibilità di essere smentita. La gravitazione di Newton sembrava teoria assoluta ma è stata superata dalla gravitazione generale e forse domani avremo approssimazioni “più vere”. Il bosone di Higgs è un punto di arrivo al Cern? niente affatto, necessita andare oltre.
Ma anche le verità di fede non sono statiche. Quando lo sono entriamo nel fondamentalismo delle religioni storiche, nel dogma incontrovertibile. La certezza non può albergare nella fides come ben aveva chiarito Pascal con il suo esprit de finesse. Dunque per tutti e due gli ambiti siamo difronte al mistero (inteso in senso alto e non nell’uso triviale). Esiste, allora, piena omogeneità? No! La differenza è sul metodo. La scienza pone al mistero della Natura il “come”. La fede pone al mistero della Natura il ” perchè”.C’è una connessione fra i due metodi: lo stesso è il soggetto che pone la domanda. Inoltre c’è altra connessione: il mistero è compagno dell’intelligenza e nemico della stupidità.
Ed ancora, scienza e fede hanno in comune l’intuizione. Il mistero della Natura non è soltanto un “qualcosa che non si conosce”e che col tempo si illuminerà tramite la ragione. Il mistero implica un salto oltre la razionalità, c’è qualcosa di inesauribile che conduce all’infinito.
Tutto il positivismo, il determinismo, la pura razionalità è stato sottoposto ad una grande rivolgimento attraverso la fisica dei quanti. Noi non osserviamo la realtà. noi possiamo solo intuire perchè “la realtà non è come appare”.
Nel contempo, la fede intesa come ricerca della causa prima non può essere una “fede positiva”, ovvero conoscenza di qualcosa. Questo perchè la realtà ultima non è come vuole la ragione.La sola via , in questo caso, è la via apofatica : la ragione, il logos, le parole, servono per le cause seconde mai per la causa prima.
Vedi quanto spazio esiste per il dia-logo?
Lasciamo ai sommi sacerdoti la guerra poichè il tempio è ancora colmo di mercanti.
Osserva, iI crepuscolo è ancora da venire.
Dunque, amico stimato, ancora ci è concesso un pò di tempo per sperare e pensare a quale sia il destino e perchè del nostro affanno..
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H
⁰⁵stimatissimo Carlo Alberto tu dici che il mistero è compagno dell ‘intelligenza ?
Amicus Carolus Albertus sed magis amicus dubius! Ma ti sono grato per la tua apologia del dia-logo possibilmente euristico. Sono quiippp
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