LA LUCE

di MARINA MARUCCI

“ Gli aerei chiamati  fortezze volanti continuavano a rombare sulle loro teste, prima o poi i colpi di mortaio o  missili sarebbero arrivati a schiantarsi sulla loro casa. L’unica protezione era una piccola cantina scavata  nella roccia , sotto terra, che in tempi di pace custodiva vino, formaggi, salumi ed altre cibarie. Era umida ma rappresentava un riparo, così almeno credevano. Tutto era accaduto rapidamente: l’invasione dei carri armati, le bombe, l’escalation, parola usurata e temuta ed infine la minaccia nucleare.  Non c’era stato tempo per costruire i rifugi antiatomici, avrebbero richiesto un iter burocratico troppo lungo, così in molti erano intrappolati nelle loro case, in attesa del fracassarsi dell’ultima bomba termonucleare tattica. Nelle interminabili ore di angoscia trascorse in quel seminterrato Lucio chiedeva a Marina:

“Se ti fosse data la possibilità di sopravvivere all’apocalisse, che faresti, cosa e chi salveresti? ” quella domanda per lui era diventata un’ossessione, la rivolgeva a tutti, indistintamente, cercando di esorcizzare l’ala di morte che lo opprimeva e tentare di  desiderare  un giorno in più. Marina lo guardava con dolcezza, cercava di  rassicurarlo con le carezze, poiché il rumore continuo, martellante dei bombardamenti soffocava ogni parola. Un figlio adolescente reagisce come può di fronte all’abisso dell’animo umano nel vedere quelle devastazioni, nel toccare il dolore e la propria impotenza. Nelle pause concesse dagli attacchi aerei  Marina, negando il presente, gli parlava di voler trascorrere i giorni della sua vita futura correndo insieme nei prati, tra i molteplici colori e respirare quell’aria cristallina dove gli uccelli volano liberi, loro sì verso altri cieli, fuori dall’incubo. Ma lui insisteva, sicuro  di  dire la verità  ed essere nel giusto, come  spesso rivendicano  soltanto i giovani ed i bambini :

“Non parlare del futuro mamma, non ci sarà. La razza umana è destinata ad estinguersi e questa guerra ne è la prova. Dimmi, dimmi del presente: cosa faresti oggi, quali sono i libri, la musica, le persone che vorresti portate con te!”. Di fronte a quelle richieste Marina sembrava stordita, lei che aveva sempre creduto nel positivismo, traendo certezze dalla conoscenza dei fatti reali e dall’osservazione delle scienze sperimentali  come garanzia di un futuro migliore per l’umanità, ora toccava con mano quanto  fosse stata ingenua ad  affidarsi a tale filosofia, mentre suo figlio dava per scontato la sparizione dell’umanità, forse senza alcun rimpianto. Allora per compiacerlo gli diceva:

“Uno dei libri che porterei via con me, per sottrarlo alla  distruzione è quello di Tiziano Terzani:” Un mondo che non esiste più”, senti che titolo indicativo: racconta dell’Indocina,  dell’ antica  Cina  e come nel XX secolo  il  partito comunista cinese abbia distrutto interi quartieri di Pechino, quelli che dopo aver  resistito ad ogni invasione erano riusciti a mantenere, di fronte alle case, dei piccoli giardini in comune, salvando così la condivisione, per essere poi sostituiti da palazzoni  grigi ed opachi. E’ una caratteristica dei regimi totalitari, togliere ogni  confronto, ogni sfumatura di pensiero e quindi di colore al mondo.”

“ A te è sempre piaciuto  il  colore del tramonto,”

“Già, lo  porterei  volentieri dietro di me, ma non nel momento di maggior  abbaglio, solo nell’attimo in cui tutto diventa arancione e scolora  dentro  al mare e dietro ad una montagna .   E’l’annuncio della notte ma anche di un nuovo giorno ancora”.

“Si va beh! Ci fai pure la poesia… e la musica. Quale salveresti mamma?”

“Oltre al il Bolero di Ravel, il notturno di Chopin opera 9 …..”

“ Ma no.. mi riferivo alla musica contemporanea, moderna, non ai classici”

“ Quella moderna non saprei, mi sembrano  tutte molto simili, però una canzone la vorrei ricordare e cantare ancora: “Se io fossi un angelo” di Lucio Dalla, è dal nostro amore per lui che  io e tuo padre ti abbiamo chiamato Lucio” ed iniziò a canticchiarne il motivo sottovoce”.

“Ma qual’è l’azione che faresti mamma, dove vorresti andare, chi vorresti salutare per ultimo?”

“Questa è una bella domanda, non……”

Un boato l’interruppe. Lucio, seduto sulla panca, mise le mani sulle orecchie per proteggersi del ruomore, poi  chinò la testa in mezzo alle gambe.  Marina sentì tremare le pareti di roccia della cantina ma fortunatamente intorno a loro tutto era rimasto intatto. Quell’antro  un po’ angusto ancora riusciva a difenderli.  In tempi migliori  era stato frequentato da amici e commensali  che avevano  trovavano refrigerio nelle giornate estive troppo calde o nel freddo inverno,  riscaldandosi davanti al camino. Marina si allontanò verso l’uscita.

“Dove vai ? Dove vai , non andare! Non c’ è nulla là fuori per noi!” le gridò il ragazzo terrorizzato.

“ Prima o poi la smetteranno di bombardare”.

“Credi? Ma non lo hai ancora capito che oggi è l’ultimo giorno della nostra vita? Moriremo qui, incastrati come topi, ma perché noi poveracci dobbiamo pagare per tutti?  Perché non c’è mai a  comandare uno che la pensa come noi, che non vuole la guerra. I nostri governanti sono degli ottusi, dei nazionalisti  stupidi!”

“Calmati ora, vedrai tuo padre arriverà e ci porterà via”.

“Mamma,  papà ci ha lasciato tre anni fa! Se ne è andato con quella scema della sua segretaria, pensa che banalità, vive da un’altra parte,  anche loro sono sotto le bombe! Ma come fai ad avere ancora fiducia nel genere umano, io no! Non posso più. “

“ L’ho sentito alcuni giorni fa, si preoccupava di noi, di te in modo particolare ed ha detto che sarebbe venuto a prenderci”

“Ne sei sicura? E per andare dove?”

Marina lo fissò, le ritornò in mente il giorno in cui  suo marito  se ne era andato lasciandola  per quell’altra, più giovane e bella. Ricordò che aveva giurato a se stessa di farcela, di continuare a vivere per suo figlio, malgrado lui. Ma gli ultimi anni della  sua vita non erano andati esattamente come aveva sperato. Il  suo legame con l’ex marito era ancora forte  ed in quei momenti di paura e terrore  si  aggrappava ad una flebile speranza, così  azzerava ogni fatto precedentemente accaduto, rimuoveva ogni avversità  e ripeteva che lui li avrebbe salvati, cercando di  convincersi. Attesero ancora del tempo, stavolta in silenzio. I rumori esterni erano terminati. Ad un tratto udirono battere alcuni colpi sulla porta di metallo che li separava dall’inferno. Marina  guardò il figlio, si alzò e disse:

“Vado a vedere , potrebbe essere tuo padre”.

Sentirono nuovamente bussare, stavolta in modo insistente. Lei si diresse verso l’uscita, spinse con forza la porta che si spalancò  verso l’esterno: una radiazione luminosa, abbagliante la investì, fece appena in tempo a vedere un’ombra dentro quel lampo, poi più nulla.  Lucio si voltò verso la madre: fu trascinato fuori dalla potenza di quel fascio di luce e risucchiato verso il cielo.”

Ho scritto questo racconto  di fantascienza perché con il suo finale incredibile ed irrazionale  non ha nulla  a che fare con la nostra esistenza. Fa riferimento alla realtà contemporanea ma tenta la costruzione di una  realtà parallela, nella quale inserisco ipotesi  di  catastrofi atomiche ,viaggi in altre dimensioni, o poteri paranormali. Non voglio fare ipotesi sul futuro.  Ma  continuo a vivere  aggrappata a quei  gesti  ripetitivi e per questo rassicuranti che mi confermano ogni giorno di esistere. Mi nascondo come una lumaca  dentro un guscio, cercando protezione da uno scenario inquietante, composto da sconvolgimenti  climatici, pandemie da Covid 19,  “operazioni militari ”, potenziali guerre mondiali, ascoltando  esimi immunologi, incapaci  strateghi geopolitici,  pensatori vacui  di un’umanità senza più visione, accecata dall’inutilità del sovraconsumo.  

MARINA MARUCCI