UNA TESTIMONIANZA – Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza di Olga Kostanchuk.
di OLGA KOSTANCHUK ♦
UN MESE
Poco più di un mese dall’inizio di questa guerra.
L’essere umano è pur sempre un animale, e come tutti gli animali abbiamo un istinto di sopravvivenza che ci fa adeguare a tutte le situazioni, anche a quelle peggiori.
Parlo con mio padre tutti i giorni. Oggi mi ha mandato un video dicendomi “guarda, è primavera, c’è il sole, ci stiamo abbronzando”, in verità scorgo dietro alle sue spalle un fucile, ma continuo a sorridere, perché nulla può e deve toglierci il sorriso. Gli mando i meme con Lukashenko e ci scriviamo su Telegram, prendendo in giro i politici russi.
La mattina mi lavo i denti e guardo canali internazionali sempre più tecnici, dove spiegano le differenze fra un carro armato e l’altro e le varie strategie di guerra.
A pausa pranzo scorro le foto dei cadaveri dei soldati russi ormai a migliaia e ascolto le loro chiamate intercettate per capire a che punto deve arrivare la disperazione umana prima di decidere che forse è meglio la galera della morte.
Sul treno, quando torno dal lavoro, controllo lo stato della (non) avanzata russa e gioisco ad ogni singola vittoria dell’esercito ucraino.
Questa è diventata la normalità per me.
E per quanto possa sembrare assurdo, entrarci dentro mi aiuta a stare più tranquilla. Vedere e sapere è meglio che immaginare. La distanza a volte crea mostri, e io non li voglio, mi bastano quelli reali. A me serve speranza. E l’unione, il coraggio e la forza del mio popolo me ne danno tanta.

Mariupol – immagine da un drone.
Ci sono cose però che mi fanno emozionare parecchio, e sono i video di ragazzi e ragazze prima della guerra, le foto di Mariupol prima della distruzione.
Sono i video delle persone comuni che mi colpiscono di più, nonnine e nonnini che cucinano per i soldati. Civili che protestano e si mettono a schiena dritta davanti ai fucili dei soldati invasori.
Pompieri che lavorano giorno e notte rischiando la vita per salvare ogni singola vita, anche i gattini e i cagnolini intrappolati sotto le macerie.
Donne che si buttano sotto ai carri armati per fermarne l’avanzata.
Un semplice reel di un’adolescente intitolato “voglio tornare a casa” oggi mi ha fatto piangere, non so perché.
E se nella vita dei miei conoscenti e dei miei amici ora le cose importanti sono altre, per me, da un mese, la cosa più importante è che questa ragazzina possa ritornare a casa.
OLGA KOSTANCHUK
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