IL TEATRO TRA VERITÀ E DENUNCIA: MARIO TRICAMO – 11. il teatro di denuncia
di GIULIA MASSARELLI ♦
La poetica del regista teatrale, messinese di nascita ma civitavecchiese di adozione, la si può racchiudere in un enunciato minimo: “La realtà è sempre più emozionante e drammatica di qualsiasi astrazione”.
Poche parole, semplici ma affilate come una lama. E, affilato era il suo teatro, un teatro di documenti, incardinato sulla forza delle carte processuali degli eventi più clamorosi della storia italiana: un teatro di denuncia. Un teatro al quale Mario Tricamo si era applicato con il fuoco passionale che animava i suoi spettacoli.
Il suo esordio da autore di spettacoli di denuncia è stato anticipato da Sindona, per esempio e Cantata per la festa dei bambini morti di mafia in cui Mario ha preso parte in qualità di regista. Il primo è del 1994, presentato al Todi Festival, su testo del giornalista Maurizio De Luca (1943-2014). Il secondo, del 1995, vede il testo dell’ex vicepresidente della Camera, Luciano Violante (1941).
Lo spettacolo Sindona, per esempio racconta la torbida vicenda del finanziere, morto in carcere in circostanze misteriose; i fatti vengono ricostruiti rigorosamente sulla base di testimonianze (quelle di Lucio Gelli, Monsignor Marcinkus, Roberto Calvi), documenti ufficiali e giudizi della magistratura e del Parlamento.
Il giornalista De Luca, in merito a questo spettacolo, ha spiegato: “Non è un vero e proprio dramma teatrale, ma un racconto giornalistico strettamente legato ai fatti. Non c’è spazio per la fantasia: sarebbe assolutamente inutile, visto che è superata ampiamente dalla realtà”[1].
Proprio così, la realtà supera la fantasia. Si tratta di un’azione parlata che evoca tutti i particolari in cronaca di una vicenda costata molto cara all’Italia: miliardi, processi, delitti eccellenti, pubbliche infamità. Gli attori non recitavano figure immaginarie, leggevano le parole dette dai personaggi veri. Ma Sindona non era in scena.
Maurizio De Luca, ha portato in scena un saggio sulla vita del banchiere scritto praticamente su atti e testimonianze ufficiali, come tentativo di dare voce agli atti giudiziari, alle deposizioni, alle testimonianze raccolte negli anni dalla Magistratura e dalle Commissioni parlamentari.
In un’intervista rilasciata per «Il Messaggero», l’autore racconta che a spingerlo a realizzare la sua opera-prima è stata la lettera con cui l’avvocato Giorgio Ambrosoli, liquidatore delle banche di Sindona e del Banco Ambrosiano di Calvi, spiegava alla moglie il suo lavoro: “In questa lettera trovata dopo il suo omicidio, Ambrosoli raccontava alla moglie la sua determinazione a lavorare non per i partiti ma per il paese e la voglia di non tirarsi indietro in nome della comunità”[2].
Maurizio De Luca ha affidato il palcoscenico a cinque attori – tra i quali c’è anche il regista Mario Tricamo – che hanno impersonato i vari protagonisti della vicenda.
Il giornalista ha scavato sul personaggio di Sindona, denunciando senza guardare in faccia nessuno, facendo nomi e cognomi.
L’intento dichiarato della proposta di Maurizio De Luca – che poi si è dimostrato essere il medesimo obiettivo di Mario Tricamo – è di ridare al teatro il ruolo di impegno civile e raccontare, rappresentare le vicende più scottanti della vita di tutti i giorni.
Si tratta di teatro-verità che presenta alcune delle vicende che hanno travagliato il nostro Paese affinché non cada il silenzio, non finiscano ad ammuffire in un archivio, per tramandare alla memoria storica atti e deposizioni.
Il secondo spettacolo di impegno civile, Cantata per la festa dei bambini morti di mafia[3], in cui Mario Tricamo si è occupato dell’elaborazione drammaturgica e della regia, scritto in versi da Luciano Violante, tratta il tema dell’attesa: l’attesa dell’ultimo morto di mafia, l’ultimo per sempre. L’attesa di tanti bambini che aspettano di poter riposare e che vegliano come una coscienza superiore sulla grande città terrena ancora insanguinata e brutalizzata dai crimini mafiosi.
Questo spettacolo ha riproposto la questione mafia da un’angolazione del tutto particolare. Infatti, il testo di Violante, affronta il tema della strage dei bambini uccisi, affidandosi alla poesia che è la sola che possa far leva sul lettore e sull’ascoltatore suscitando, a seconda dei brani, orrore e pietà.
Quello di Cantata per la festa dei bambini morti di mafia è un testo necessario, urgente, che ripropone una poesia civile libera da scorie ideologiche, e il Teatro si presenta come strumento di una nuova coscienza civile.
Nella cantata, il discorso politico e l’indignazione civile ritrovano la pienezza del loro significato e le loro radici profonde nei sentimenti elementari: l’amore, la sofferenza, la solidarietà e il senso di giustizia. Un viaggio quello affrontato da Violante, finalizzato a una presa di coscienza forte dei palermitani, dei siciliani in genere, affinché non si sentano più sudditi di padroni e padrini.
Quella del regista siciliano è stata una carriera densa e appassionata, prima come attore, aiuto regista, poi come regista e autore. Mario Tricamo, oltre ad aver avuto l’onore e il merito di lavorare con artisti di alto calibro come Giancarlo Sepe, Mario Missiroli, Luigi Squarzina, è stato un uomo che credeva fortemente nel teatro come luogo di riflessione sul presente.
Il suo teatro era di una coerenza straordinaria, non si è mai piegato alle mode. Non ha mai tentato di indulgere verso gli altri, ha sempre seguito la sua strada: è stato un teatro di forte impegno sociale e politico.
I suoi testi teatrali risultavano scomodi – dalla chiara connotazione ed una scelta di campo esemplari – o meglio, i suoi testi trattavano di vicende scomode, spesso rimaste solamente interrogativi. Anche in questo caso la scelta del drammaturgo fu coraggiosa. Dunque, decise per un teatro di denuncia, un teatro dell’impegno, capace di parlare delle vicende emblematiche della nostra società; un teatro d’inchiesta che indaga la realtà per coglierne le problematiche della vita civile: pone domande, lancia appelli per arrivare a far luce su verità occultate.
Il teatro di denuncia di Mario si posiziona a metà strada tra narrazione e cronaca giornalistica. Infatti, è un teatro che sa emozionare, e emozionando, informa e forma.
Mario non è mai stato un giornalista, ma per i suoi spettacoli si documentava approfonditamente, e, come ricorda l’attrice Caterina Casini, era solito circondarsi da avvocati, o meglio, lavorava accanto a degli avvocati per non incorrere in problemi con il testo che scriveva. Le cose che trattava dovevano essere notizie confortate da documenti, quindi il lavoro che il drammaturgo svolgeva sul testo era molto impegnativo e approfondito.
Tutto questo affinché l’informazione portata in scena fosse il più accurata possibile. Il teatro di Tricamo è un teatro civile nel senso che porta sulla scena teatrale tematiche di attualità politica e sociale, con spettacoli che spaziano per e fra il pubblico e con testi di denuncia mai definitivi. Infatti, l’autore messinese, nel fare nomi e cognomi, mette a conoscenza di tutti i fatti che a distanza di anni non hanno avuto soluzione, ne denuncia la mancate risposte, le incongruenze, i dubbi.
Si può considerare il suo teatro di denuncia come un mezzo per mettere in allerta e svegliare le coscienze e, per la sua accurata indagine, il teatro di Mario Tricamo può essere assimilato un certo giornalismo d’inchiesta.
GIULIA MASSARELLI (continua)