“PESCI, PESCATORI, PESCIVENDOLI E CONSUMATORI” DI GIORGIO CORATI – Approcciando il concetto di sostenibilità dei prodotti della pesca.
di GIORGIO CORATI ♦
Curiosando in internet, ho letto di un interessante progetto di ricerca scientifica internazionale i cui risultati sono stati pubblicati nel 2005. Si tratta del “Millennium Ecosystem Assessment” (MEA, 2005)1 che ha posto l’attenzione sullo stato degli ecosistemi, sulle implicazioni in termini di benessere umano connesse al loro cambiamento e sulla formulazione di azioni necessarie all’uso sostenibile degli ecosistemi stessi. Leggendo la lunga dichiarazione finale, in particolare, mi hanno incuriosito due frasi che riporto: […] “Le attività umane hanno condotto la Terra sull’orlo di un’estinzione di massa di innumerevoli specie ed al contempo hanno minacciato il benessere stesso degli individui” […]. […] “È più probabile che le misure intraprese per la conservazione delle risorse naturali abbiano successo se le comunità locali ne saranno direttamente responsabili, ne condivideranno i benefici e saranno coinvolte nel processo decisionale” (p.2). Considerate insieme, le due frasi indubbiamente hanno il carattere di una dichiarazione forte, impressionante che, tuttavia, appare anche rassicurante per certi aspetti. Possono essere interpretate, ad esempio, come un’esortazione alla riflessione rispetto agli impatti che producono le attività di produzione e di consumo dell’uomo sugli ambienti naturali e l’invito ad assumere consapevolezza e senso di responsabilità in merito. Nella nostra attualità, tuttavia si tratta di temi ormai noti. È risaputo che dalle attività umane possono derivare pressioni o impatti anche negativi sull’ambiente e sulla biodiversità, che ad essi a volte non corrispondono adeguate compensazioni in termini economici o in termini di ripristino del danno causato e che, sebbene le conseguenze non siano intenzionali, l’equilibrio degli ecosistemi naturali risulta minacciato. Un esempio in tal senso è il cambiamento climatico a cui è connessa l’acidificazione di mari e oceani che a sua volta minaccia o è in parte causa della perdita di biodiversità marina (intesa come l’insieme delle varietà di specie di tutte le specie ittiche, nonché altre specie viventi in mare, flora e areali marini e che appartengono alla collettività in qualità di beni comuni). Siamo ormai testimoni dell’esistenza del dilemma focalizzato sulla capacità del Pianeta di poter fornire le risorse di cui l’uomo necessita per vivere. È il problema, sempre più pressante, sulla sostenibilità dell’uso e dell’utilizzo delle risorse naturali (anche per la sussistenza alimentare) e sulla tenuta di un buono stato degli ecosistemi. Quotidianamente, notizie e informazioni pongono in evidenza criticità in merito e utilizzano termini come, ad esempio, “transizione energetica”, “resilienza”, “transizione dall’economia lineare”, “economia circolare”. In particolare, il concetto di “transizione dall’economia lineare” al paradigma dell’“economia circolare” – come pure il concetto di sostenibilità – potrebbe essere comunemente considerato come cambiamento verso un modello di sistema produttivo basato sull’innovazione energetica e tecnologica. L‘“economia circolare” potrebbe essere invece vista banalmente come una “modalità” per recuperare materie prime e soprattutto i rifiuti. Inoltre, ciò su cui sembra esservi poca risonanza è il ruolo del consumatore nella “transizione” verso il cambiamento ovvero sull’importanza del comportamento di consumo in termini di minimizzazione dell’utilizzo e in termini di possibilità di recupero di parte delle risorse consumate, nonché della possibilità data di recuperare gli scarti. In tal senso potrebbero certamente risultare lusinghieri gli esiti sulla sostenibilità sia attuale sia intergenerazionale così viene auspicato da più parti. La pubblicità in genere sembra averne compreso l’importanza. Attraverso azioni di marketing pubblicitario orienta sempre più l’attenzione sulla traiettoria della sostenibilità ambientale e sociale in termini sia dei processi produttivi sia dei prodotti proposti. Senza dubbio il comportamento del consumatore orientato lungo la traiettoria della sostenibilità tende ad assumere valore. Ogni azione di consumo “in transizione” basata su consapevolezza e prosocialità e coerente con la sostenibilità attuale e futura delle risorse consumate tende a incidere sul cambiamento auspicato e al raggiungimento di modalità di consumo sostenibile, supportando il successo della “transizione” che è, senza dubbi, il successo di tutti. Ed è indubbio che delle “buone pratiche di consumo” possano risultare utili così come accade rispetto alle “buone pratiche di produzione” (“best practices”, in inglese). Nel merito del consumo dei prodotti della pesca, ad esempio, la “stagionalità del pesce” può essere definita una “buona pratica di consumo” orientata verso la sostenibilità. Si tratta di una scelta di consumo che ricade su di una specie ittica che in quel dato periodo è al di fuori del proprio periodo di riproduzione. Una decisione in tal senso è importante in termini di mantenimento della biodiversità, perché tende a supportare la riproduzione, l’accrescimento, il reclutamento e il consumo di individui “maturi” di quella specie, consentendone anche la disponibilità futura. Tende anche ad alleviare la “pressione di cattura” su specie ittiche definibili maggiormente “note”, nonché ampiamente utilizzate e conseguentemente a orientare un consumo verso specie cosiddette “minori” o considerate “di scarto” che spesso sono anche valide sostitute. Inoltre, tende a ridurre la frequenza dei trasporti e i costi ambientali connessi e ciò a maggior ragione se si prende in maggiore considerazione il valore del pescato locale e, non da ultimo, a mantenere in vita le tradizioni gastronomiche legate al pescato stesso. Per fare un esempio, una specie meno “nota” di altre è il Pesce serra Pomatomus saltatrix, chiamato anche semplicemente Serra, che è raramente presente sul mercato locale sia come prodotto della pesca locale sia anche di origine lontana. Si tratta di un pesce predatore, molto aggressivo che talvolta alcuni pescatori considerano un “nemico” anche durante le bordate di pesca. In genere il Serra vive in branchi lontano dalla costa, ma vi si avvicina nel periodo di riproduzione che generalmente è compreso tra marzo e agosto. È annoverato tra quelle specie definite “pesce bianco”, le cui carni sode sono considerate gustose da alcuni consumatori e prelibate da altri. Il Serra può essere servito in tavola utilizzando varie tipologie di cottura come, ad esempio, la cottura al sale o in crosta di sale, in umido, all’acqua pazza, al forno o in tegame o gratinato, grigliato, arrostito. Può essere un’ottima alternativa al Branzino o Spigola Dicentrarchus labrax al quale, alcuni sostengono che tenda a somigliare. Una specie che in genere non gode dei favori del mercato locale in termini commerciali è il Gambero bianco Pasiphaea sivado, da non confondere con il Gambero rosa Parapenaeus longirostris con il quale condivide qualità nutrizionali e organolettiche simili e del quale è un valido e gustoso sostituto. Si tratta di un crostaceo molto interessante, che risulta molto pratico da preparare come frittura (anche da asporto, tipo “cibo di strada”) e che vive in acque molto profonde, in genere riproducendosi nel periodo compreso tra giugno e settembre. Suo malgrado, può essere definito una specie “minore” o addirittura “di scarto”. La sua “dignità” in termini di capacità di soddisfare il consumo umano è messa alla prova anche dal fatto che mentre su alcuni mercati è ritenuta interessante su altri viene considerata quasi esclusivamente una buona esca per catturare specie ritenute più “importanti”. Se da un lato, una minaccia tendenziale alla biodiversità è sostenuta da “pratiche di consumo” considerate genericamente non sostenibili (definite anche “di consumo indiscriminato”) su alcune specie molto “note”, una ulteriore minaccia alla biodiversità è data dalla presenza delle cosiddette specie aliene invasive. Le specie aliene sono state definite dall’Unione europea (Reg. 1143-2014)2 stabilendo anche delle “norme atte a prevenire, ridurre al minimo e mitigare gli effetti negativi sulla biodiversità causati dall’introduzione e dalla diffusione, sia deliberata che accidentale, delle specie esotiche invasive all’interno dell’Unione” (Art.1). In estrema sintesi sono considerate aliene quelle specie non originarie, non autoctone, delle quali è dimostrata la presenza al di fuori della loro area marina naturale. La loro introduzione in un ambiente marino può essere involontaria, come accade a quelle specie il cui “trasferimento” è connesso, ad esempio, al sistema dei traffici marittimi o a quelle specie che hanno raggiunto e possono raggiungere il mar Mediterraneo attraverso lo stretto di Gibilterra e il Canale di Suez. Sembra certo, ad esempio, che il Tonno a pinne gialle o Albacora Thunnus albacares, che non è considerata specie aliena, nei mesi estivi penetri in Mediterraneo dal Canale di Suez e rimanga per poco tempo lungo le coste che dividono la Grecia dalla Puglia prima di tornare “indietro” (ndr.). Una specie aliena, invece, può rappresentare una minaccia e diviene tale se comporta un impatto negativo sulla biodiversità e sui cosiddetti servizi ecosistemici3 associati. È il caso della macroalga Caulerpa cylindracea entrata in competizione con la flora e la fauna locale nel Mediterraneo. Un recente studio scientifico condotto lungo gli areali marini della costa “civitavecchiese” da un gruppo di ricercatori (delle Università della Tuscia, di Trieste e di Catania e della Stazione Zoologica Anton Dohrn – Istituto Nazionale di Biologia Ecologia e Biotecnologie Marine nell’ambito del Progetto CAR del CURSA – del Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l’Ambiente)4 ha confermato il nesso tra il fenomeno del “sarago di gomma” (si tratta del Sarago maggiore Diplodus sargus) e la Caulerpa cylindracea. In sintesi, alimentandosi della microalga il Sarago maggiore Diplodus sargus subisce delle conseguenze sia fisiologiche sia comportamentali che determinano effetti che possono essere inaspettati sulle sue carni. A seguito della loro cottura possono evidenziare una consistenza “gommosa”. Si tratta di un effetto per l’appunto conosciuto con il termine di “sarago di gomma” o, scientificamente, come Abnormally Tough Specimen (ATS). Tuttavia, la prelibatezza del Sarago maggiore Diplodus sargus ha pochi eguali!
Una considerazione ulteriore, che può risultare sostanziale rispetto al concetto di sostenibilità, può essere posta in merito alla capacità di una specie di essere sostituta di un’altra. Si tratta di conoscere le caratteristiche organolettiche e nutrizionali delle singole specie di cui di volta in volta si ha interesse a conoscere e decidere magari per quelle da cattura locale meno “note”, utilizzandole in preparazioni e ricette che valorizzano anche la tradizione gastronomica locale. Per di più, quella della “sostituibilità” può essere considerata una “buona pratica di consumo sostenibile” a maggior ragione se viene implementata nella consapevolezza che può essere in grado di rispondere […] “alle necessità del presente, senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie”, così come nell’ottica del concetto di Sviluppo sostenibile (WCED, 1987).5 In merito e non da ultimo è d’obbligo sottolineare l’introduzione nella Costituzione italiana (8 febbraio, 2022) del nuovo comma 3 dell’Art.9 con il quale viene riconosciuto il principio di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi “anche nell’interesse delle future generazioni”.6
GIORGIO CORATI
Sarebbe interessante una ricerca statistica sul consumo di pesce dalla quale si possa capire quanto il consumatore sia artefice di un eccessivo consumo di specie specifiche. Dopo di che andrebbe compreso quanto l’offerta sia condizionata dalla richiesta ed in quale misura possa invece condizionare. Certo il consumatore ha la sua bella fetta di responsabilità… ma è pur vero che il consumatore andrebbe fatto crescere, com’è pur vero che il pesce senza spine é più comodo. Insomma.. non è facile, chi verrebbe a mangiare aguglie nel mio ristorante, ammesso che ne avessi uno, invece di una bella orata? Forse una strategia percorribile sta nel far crescere in qualità gli allevamenti. Di sicuro, comunque, una corretta informazione è necessaria per l’obiettivo del “consumatore consapevole”.
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