ALMANACCO CIVITAVECCHIESE DI ENRICO CIANCARINI – La marchesa fata.
di ENRICO CIANCARINI ♦
Il 16 febbraio 1874 il marchese Giacinto Guglielmi sposa la contessina Isabella Berardi di Roma. Per l’occasione è stampata dalla Tipografia di Arcangelo Strambi la Raccolta delle poesie pubblicate per le nozze tra il signor marchese Giacinto Guglielmi e la signora contessina Isabella Berardi, una rara pubblicazione che custodisco gelosamente nella mia biblioteca.
Ad accompagnare all’altare la giovane e nobile sposa è suo padre, il marchese Filippo Berardi. Originario di Ceccano, Filippo ha sposato Leopolda, la figlia di Angelo Galli, il ministro delle Finanze di Pio IX, e nipote del cardinale Giuseppe Galli. Filippo si rivela ben presto un abile e spregiudicato imprenditore, specializzato nelle costruzioni ferroviarie. Con l’entrata delle truppe italiane a Roma il 20 settembre 1870, Filippo inizia la sua carriera politica diventando membro del Consiglio provinciale e del Consiglio comunale di Roma. Stringe amicizia ed ospita nel suo palazzo in Piazza del Gesù il chiacchierato ministro Giovanni Nicotera che lo aiuta a diventare marchese nel 1877, e deputato nel 1880, a cui segue la nomina a senatore nel 1882 ed infine l’elezione a presidente della Provincia nel 1889. Il 9 marzo 1895, durante una visita al manicomio provinciale, un folle lo aggredisce e assassina (Bruno Di Porto, Dizionario Biografico degli Italiani DBI, 1966).
Un almanacco parlamentare ricorda così Filippo Berardi: “Era povero, adesso è ricco, ricco sul serio, ricco a milioni della buona specie, di quella, che, come le galline l’uovo, fa tutti i giorni il biglietto da mille e qualche volta il milioncino” (Telesforo Sarti, 1896). Fra le sue tante proprietà, sul lungomare di Civitavecchia c’è il Villino Berardi (oggi Hotel San Giorgio), sua dimora al mare.
Nel primo Consiglio provinciale di Roma siedono oltre al Berardi, Felice Guglielmi, esponente della ricca e potente famiglia civitavecchiese originaria di Norcia, e Achille Gori Mazzoleni. Quest’ultimo è un ricco mercante di campagna e futuro deputato per Subiaco. Sua figlia Enrica nel 1872 sposa Giulio (1845), fratello maggiore di Giacinto (1847), i nipoti di Felice rimasti orfani del padre Benedetto nel 1856. Loro madre era Carolina Torti di Roma.
È nell’ambito del Consiglio provinciale, che Felice tesse la sua ragnatela sociale per accasare adeguatamente i due nipoti. La sua strategia matrimoniale si orienta verso gli ambienti sociali a lui più confacenti: il ceto imprenditoriale di recente fortuna e in special modo quei mercanti di campagna che nella prima metà del XIX secolo si sono arricchiti con audaci iniziative in campo agricolo e commerciale, lesti a placare l’insaziabile fame di Roma. Ora con l’avvento degli italiani i ricchi borghesi del Lazio capiscono che devono variegare il loro campo d’azione imprenditoriale. Tutti accusano una debolezza: aspirano all’elevazione nobiliare, a pubblico suggello del loro successo conquistato negli affari. Già la sorella di Benedetto e di Felice, Rosa, aveva sposato un mercante di campagna, Antonio Cortesi.
I Guglielmi acquistano il titolo di marchesi di Vulci dai Candelori con Breve di Pio IX nel 1862.
Felice affida il “compito di occuparsi della cosa pubblica” al nipote Giacinto. Ipotizzo che anche il suocero lo deleghi a rappresentarlo nel campo d’affari di suo maggiore interesse: la ferrovia. E così Giacinto è chiamato a sedere nel Consiglio d’amministrazione delle Ferrovie Romane, e il Governo lo nomina membro del Consiglio delle tariffe ferroviarie. Il 4 dicembre 1890 è designato senatore per la ventunesima categoria: “le persone che da tre anni pagano tremila lire d’imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria”.
Il giornalista parlamentare Telesforo Santi scrive che “alla famiglia dei marchesi Guglielmi, un seggio nel Senato italiano era assegnato da tempo … da quando il Re Vittorio Emanuele ne visitò le vaste ed ordinate aziende agricole e ne restò ammirato”.
Su internet (Galleria Omnia Francesco D’Antonio) sono pubblicate alcune lettere che Giacinto scrive nel 1873 quando chiede ed ottiene la mano di Isabella, la figlia prediletta di Filippo. Il loro fidanzamento ufficiale suggella l’alleanza imprenditoriale e politica fra le due famiglie.
Purtroppo, non possediamo le lettere che Isabella invia al suo fidanzato civitavecchiese.
La prima lettera di Giacinto è indirizzata a Filippo: “ora non mi resta a desiderare se non che giunga presto quel tempo in che, rendendo pienamente felice la sua dilettissima Figlia, io sia di piena consolazione anche alla sua intera Famiglia”.
Il 31 luglio invia queste parole ad Isabella: “Il piacere che mi ha prodotto quella lettura è stato molto, anzi moltissimo, mio diletto Bene, poiché nella lontananza non vi è cosa che sollevi l’abbattuto spirito quanto il ricevere notizie della persona a cui uno ha consegnato perpetuamente il suo affetto. Io sono sicurissimo che tu mi ami e che mi amerai sempre di quel puro ed imperituro amore, col quale io amo la mai carissima Belluccia, come più sono certo che tu nella mia assenza non farai nulla che mi possa causare dispiacere, come io mi guardo assai bene non solo di far cosa che a te sia dispiacente, ma finanche cosa che a te non sia gradita”.
Anche il capofamiglia dei Guglielmi, Felice, scrive ad Isabella il 31 agosto di quell’anno: “Questi miei auguri sono tanto più cortesi e sinceri in quanto che, entrando ella fra non molto a fare parte della nostra famiglia, non può esistere per noi felicità alcuna che si disgiunga dalla tua”.
Il 23 dicembre, da Montalto, Giacinto indirizza appassionate parole al suo amore: “Sempre più, Belluccia mia Carissima, desidero ardentemente che giunga presto, quel momento che noi non potremo mai più dividerci nemmeno per un solo istante, poiché io nel trovarmi lungi da te soffro non poco”.
Le nozze con Giacinto, conducono Isabella a Civitavecchia, a vivere nel grande palazzo di Corso Centocelle. Ben presto si guadagna il ruolo di “first lady” grazie alle smisurate ricchezze della Famiglia Guglielmi, al consistente patrimonio che eredita dal padre, e ai ruoli di sindaco e di senatore che Giacinto ricopre in quegli anni.
Nel 1895 la giornalista Emma Parodi pubblica il volume Cento Dame Romane. Profili in cui schizza il profilo delle dame più in vista della Capitale, in cui i lettori e soprattutto le lettrici di allora s’imbattevano leggendo le cronache di “Vita patrizia” dedicate al Gotha della nobiltà romana che trascorrono le loro giornate in ricevimenti a palazzo e in battute di caccia, in cui emergono i Guglielmi e le loro tenute a Montalto di Castro.
Una delle cento dame ricordate dalla Parodi è la “Marchesa Guglielmi-Berardi”:
“In famiglia chiamano la marchesa Isabella Guglielmi col dolce nome di “Belluccia”, un nome da fata benefica. Ed elle lo merita, perché delle buone fate ha il dolce aspetto, ha la bontà dell’animo e l’acume della mente.
Per molti anni la marchesa Isabella si è fatta vedere poco a Roma, ove ora ella abita al palazzo Berardi. Il dovere che s’era imposta di allietare gli ultimi anni dello zio del marito, che era stato per l’attuale marchese un vero padre, la faceva soggiornare a Civitavecchia, lontana dalla società, nella quale avrebbe potuto brillare lei bella, ricca e intelligentissima.
In quegli anni di volontario esilio la marchesa Isabella spese la sua attività, e l’intelligenza, nell’ordinare la beneficienza nella piccola città con criteri veramente alti, così che adesso ella può starsene a Roma, sicura che i poveri non avranno a patire per la sua assenza. Ma quei poveri le fanno una vera festa quando ella torna a Civitavecchia per i bagni, e si può dire che là il suo nome sia benedetto da tutti.
Né meno benefica è la sua presenza per i contadini delle vaste tenute dei Guglielmi fra Montalto e Orbetello né per gli abitanti dell’Isola Maggiore sul Trasimeno, né per i poveri di Cortona. E mentre con signorile cortesia ella esercita l’ospitalità con gl’invitati alle sontuose cacce di Montalto, e nel bel castello circondato dal Trasimeno, ove passa l’autunno, non v’è caso che trascuri gl’indigenti; anzi pare che ogni festa le suggerisca il dovere di un nuovo atto benefico.
Molti e atroci dolori hanno contristato l’animo di questa donna esemplare; essa ha veduto morire tre dei suoi figli, la madre, che venerava come una santa, ed ha veduto uccidere il padre, che aveva per la sua Belluccia, in cui sentiva di aver trasfusa la propria intelligenza, una vera predilezione. Eppure è rimasta forte nello strazio, e anche nei momenti più dolorosi ha saputo farsi sostegno e consolatrice della famiglia, che è il suo regno, la sua gloria.
Madre affettuosa, moglie devota e illuminata, la marchesa Isabella è una compagna ideale per il senatore marchese Guglielmi, e se tutte le donne avessero un cuore pari a quello di lei, e una mente altrettanto illuminata, il mondo camminerebbe un po’ meglio, poiché il cuore della marchesa è capace dei più gentili affetti e della più alta pietà, mentre l’intelligenza è forte e virilmente serena”.
(Un grazie alla Fondazione Marco Besso di Roma per avermi messo a disposizione queste pagine).
Nell’ottobre 1881 il Comune di Civitavecchia e la Famiglia Guglielmi (con altri cittadini) istituiscono l’Asilo infantile Opera Pia “Regina Margherita”. La scuola ha per scopo l’insegnamento e l’assistenza ai bambini poveri della città e vi si utilizza il metodo frobeliano, basato sul gioco come espressione della libera attività creatrice del Bambino.
Due anni prima, il 17 aprile 1879, Isabella e Giacinto hanno avuto Giorgio, futuro senatore come il padre e il nonno materno. È bello pensare che la nascita dell’erede, abbia ispirato i Guglielmi nell’essere ben disposti a finanziare l’asilo infantile la cui nascita era già stata proposta in Consiglio comunale nel dicembre 1875. Alla sua morte, Felice lascia un legato di 54.000 lire all’asilo. Un altro lascito di lire 150.000 è destinato all’assistenza dei vecchi inabili al lavoro da cui sorge l’Opera pia “Felice Guglielmi”, di cui oggi resta testimonianza nella Casa di riposo “Villa Santina”. A leggere le pagine della Parodi si può credere che Isabella, negli anni in cui assiste l’anziano zio Felice, sia riuscita a convincerlo a destinare in beneficienza parte dei suoi beni per i più deboli fra i civitavecchiesi: gli anziani e i bambini.
Ogni fata che si rispetti ha il suo castello. Sull’Isola Maggiore del Lago Trasimeno Giacinto crea un castello da fiaba per sua moglie: il “Castello Isabella”, ispirato al gusto neogotico del Castello di Miramare a Trieste e ai fiabeschi castelli bavaresi di Ludovico II. Nel 1887 acquista un ex convento francescano e fa realizzare una fastosa dimora. L’inaugurazione del maniero avviene quattro anni dopo. È qui che la figlia Elena nel 1904 avvia la lavorazione del merletto a punto Irlanda (la peculiarità di questo pizzo è che, invece che con l’ago e i fuselli, era realizzato all’uncinetto, con l’utilizzo di un filato sottilissimo dalle mani abili di rammagliatrici di reti, armate soltanto di filo e un microscopico uncinetto, creando dei fini accessori, sedute accanto al focolare nei freddi mesi d’inverno o fuori dall’uscio di casa quando arrivava la bella stagione da internet).
Sull’isola è aperta una scuola in cui le figlie dei pescatori imparano la tecnica e i loro prodotti sono venduti in tutta Italia. La produzione dura fino al 1930 e poi viene ripresa nel 1963. Oggi sull’Isola si visita il Museo del Merletto, a ricordo di quelle ragazze e dell’intuizione di Elena Guglielmi.
Parte della loro produzione è acquistata dalle Industrie Femminili Italiane di cui Isabella è socia fondatrice e finanziatrice. La società è nata per far conoscere all’estero i pizzi, le trine e i tessuti italiani. I Reali ne sono soci benemeriti, come la Banca d’Italia e la Cassa di Risparmio di Roma.
Isabella Berardi rimane vedova di Giacinto il 4 gennaio 1911. Vive a Roma a Palazzo Berardi su Corso Vittorio Emanuele II ma continua ad interessarsi alle vicende di Civitavecchia come attesta una corrispondenza del Messaggero apparsa il 27 luglio 1930:
“Sempre di animo elevato, generoso, consapevole del momento difficile delle famiglie, nei suoi stabili in Civitavecchia ha mantenuto le pigioni in misure modeste, senza aumenti per la libera contrattazione; e ciò al contrario di certi proprietari, i quali hanno soverchiamente esagerato nelle norme volute dal Governo. Gli inquilini della nobile donna, riconoscenti di tanta bontà, ringraziano”.
La marchesa fata si spegne nel 1937.
Si narra che nel palazzo-castello dell’Isola Maggiore il mio bisnonno, Giulio Cesare Guglielmotti, in visita alla marchesa Isabella, visse un’esperienza ai limiti del paranormale in linea con lo stile neogotico dell’edificio.
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Ma che ascendenti luminosi potete vantare!! Povera me che non so nulla delle vostre famiglie e fatico a ricostruire le vicende della mia! Ma certi cognomi risuonano forti e altisonanti nella mia mente.. Piano puano costruusco il puzzle. Grazie della precisione del contributo.. Noblesse oblige. 🥰
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Oche bella favola!
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Le oche non sono previste… Errore del correttore…, 🙏
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Marchese: Carro Giulio è tardi. Ti ho fatto preparare su nella torre una camera.
Giulio Cesare. Grazie Marchese , buonanotte.
Si avvia Giulio su per le scale fin in cima al torrione. Apre la porta “Ma c’è qualcuno che ivi giace sul letto. Il Marchese si sarà sbagliato.” Lentamente ridiscende e si accomoda in un divano alla meglio. L’ora è tarda e tutti dormono.
L’indomani mattina il risveglio.
Marchese: Caro, hai ben dormito?
Giulio: Marchese debbo confessarle che …insomma c’era qualcuno che già occupava il letto. Ma, mi creda, ho dormito qui, su questo divano, va tutto bene, mi creda.
Marchese: Oh mio Dio| Ma allora è vero. Io non volevo credere. Io mi rifiutavo. Io non pensavo. Ascoltavo voci ma non volevo prestar fede. Ma ora!!
Ora che sei tu, solo tu mi dai certezza.
Io debbo credere. Giulio non so chi sia ma mai ospiti hanno trovato albergo in quella stanza. Mai, comprendi? Mai!!
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non conoscevo questa storia. il castello, per anni abbandonato, è sta acquistato per essere trasformato in un lussuoso resort. chissà se in fantasma è rimasto lì.
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