“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – SOGNI SPEZZATI

di STEFANO CERVARELLI


Poteva questa Agorà non rendere omaggio alla Giornata della Memoria celebrata recentemente?Assolutamente no. E come poteva farlo? Nella maniera più attinente alla sua natura, parlando di sport, e in questo caso parlare di sport vuol dire narrare della netta e fiera opposizione che gli atleti e atlete (non proprio tutti per la verità) della comunità ebraica contrapposero alle richieste del governo nazista affinché partecipassero alle Olimpiadi Berlino del 1936, pagando, per questo in caro prezzo.

La storia  che ho deciso di raccontare è ancora una storia al femminile in quanto si parla di tre giovani nuotatrici ebree che ebbero il coraggio di rifiutare la convocazione nella nazionale austriaca nonostante questo significasse porre fine al loro grande sogno: partecipare alle Olimpiadi.

Per la precisione a rifiutare furono in due, la terza, già maggiorenne, accettò ma….le andò peggio.

Il 22 Luglio 1936  un’agenzia di stampa ebraica pubblica la notizia che due nuotatrici di 15 anni, Ruth Langer e Judith Deutsch sono state squalificate per due anni per non avere accettato la convocazione nella squadra olimpica austriaca per le Olimpiadi di Berlino.

Judith Deutsch  accompagnò il rifiuto con la seguente dichiarazione: ”Come ebrea non posso prendere parte alle Olimpiadi di Berlino perché la mia coscienza me lo impedisce. Chiedo che il mio punto di vista sia compreso e che non venga sottoposto ad alcun tipo di ritorsione”. Più osservatori fecero notare che la squalifica era illecita, in quanto non c’è nessun regolamento che la preveda in caso di rinuncia ad una qualsiasi competizione.

La terza nuotatrice, Lucie Goldner, già diciottenne, come detto, non rifiutò la convocazione e andò a Berlino, ma di lei vedremo dopo.

Adesso è bene precisare che diversi altri atleti nel mondo, non solo ebrei,  si erano rifiutati di partecipare alle olimpiadi senza subire “vendette“ da parte delle loro federazioni.

In Austria però la situazione era molto più complicata. Il partito nazista, già forte in quel Paese all’inizio degli anni ’30, dopo vicende politiche e storiche che in un primo tempo videro l’Austria in opposizione alla Germania, accentuò la sua presenza in Austria diventando sempre più invadente e, nonostante la firma apposta in un accordo con il quale si riprometteva di non interferire nelle questioni interne austriache, in realtà  numerosi furono gli inserimenti  di politici filo-nazisti nel governo austriaco che vide così la fine della sua sovranità.

Essere ebrei in Austria dunque era diventato pericoloso più di quanto già non lo fosse ed ancor più lo era per gli ebrei resi  famosi dalle vittorie sportive.

Un giorno all’ingresso delle piscine  comparve il famoso, tragico, cartello: ”Vietato l’ingresso ai cani e agli ebrei “. Non  tirava quindi una buona aria per le ragazze che cominciarono a prendere seriamente in considerazione l’invito della Federazione Sportiva Ebraica Internazionale a non partecipare alle imminenti olimpiadi e gareggiare in quegli impianti dove erano considerati alla pari dei cani; così Ruth e Judith, pur con grande dolore, perché non si rinuncia a cuor leggero ad un Olimpiade, decisero di non andare.

Lucie che aveva già, come detto, diciott’anni, pensò che per lei non ci sarebbe stata un’altra possibilità di andare ai giochi olimpici e di conseguenza decise di correre il rischio e andò a Berlino.

Però…però non aveva ben fatto i conti con il suo amore per il proprio popolo e anche, diciamo, con se stessa;  infatti  durante la cerimonia d’inaugurazione, mentre si trovava a passare sotto il palco nel quale si trovava Hitler, rifiutò di fare il saluto nazista, come invece le era stato chiesto; quel gesto non passò inosservato.

Lucie fu mandata via dai giochi e squalificata a vita, anche se poi la squalifica venne ridotta a due anni. L’austriaca era una dorsista dotata di grandi capacità, aveva stabilito il record sui 100 metri che resistette per vent’anni! Non ebbe occasione di tentare di migliorarlo perché non ebbe più modo di  gareggiare.

Accadde che quando l’Austria fu annessa alla Germania, Lucie venne arrestata; grazie all’aiuto di alcuni complici riuscì a fuggire, si tinse i capelli, buttò via la stella gialla e partì con il treno verso l’unico posto dove pensava non l’avrebbero certo cercata: Berlino. Da lì raggiunse Londra, si sposò con Henry Gordian, arruolato nell’esercito cecoslovacco in esilio e inquadrato come ausiliario in quello britannico. Una volta cessato il conflitto raggiunsero l’Australia  dove Lucie morì due settimane prima dell’inizio delle Olimpiadi di Sidney (2000) mentre sua madre era morta in  un campo di concentramento.

Delle tre nuotatrici la più forte era indubbiamente Judith Deutsch. Deteneva quasi tutti i record austriaci ed era considerata in assoluto tra i migliori atleti  austriaci, compresi i maschi.

Il suo gesto di ribellione contro il regime, la ferma presa di pozione nei confronti della politica  razzista costarono anche a lei la squalifica e la cancellazione di tutti i record.

Capì, abbastanza in tempo, che per lei  presto ci sarebbero stati momenti “bui“; decide allora di trasferirsi con la famiglia in Palestina, precisamente ad Haifa, dove rimase fino alla morte, sopraggiunta nel 2004.

Ruth Langer, dal canto suo, era il talento più precoce; a quattordici anni era già primatista nazionale dei 100 e 400 stile libero. Anche lei, ovviamente, venne squalificata e privata dei suoi titoli.

Quando ci fu l’annessione dell’Austria alla Germania si convinse che era giunto il momento di lasciare il Paese. Grazie a dei documenti falsi si nascose per qualche tempo a Milano, ma visto che anche lì le cose non promettevano bene, nel 1939 lasciò l’Italia per raggiungere l’Inghilterra; qui riprese l’attività agonistica. Rimase a Londra fino a quando morì, nel 1999.

Tre ragazze, tre campionesse, tre giovani amiche accomunate dalla passione per il nuoto e dal sogno delle olimpiadi; ci pensò il nazismo a separarle  ed a spezzare i loro sogni, che però non ha potuto evitare che si ritrovassero sempre accomunate lungo il tempo, nello spiegare il loro rifiuto: ”Noi non stiamo boicottando le olimpiadi, stiamo boicottando Berlino”.

A distanza di anni Ruth ebbe occasione di ribadire quel concetto: ”Andare ai giochi olimpici è un’opportunità che capita una volta nella vita ma, da ebrea, era fuori discussione gareggiare nella Germania nazista dove il mio popolo veniva perseguitato.”

Di fronte a questi avvenimenti quale fu la posizione del CIO? Risposta: non la pensava certo così, non difese le nuotatrici;  ad iniziare dallo stesso Avery Brundage. Questi, dopo pressioni internazionali, acconsentì ad andare nella capitale tedesca per verificare personalmente se la situazione fosse veramente critica come detto da moltissime parti.

Naturalmente il presidente del CIO si mosse” guidato” da persone scelte dal regime e ancor più naturalmente dichiarò che le accuse al governo di Hitler se non completamente infondate erano, però, esagerate: ”Garantire continuità al movimento olimpico era più importante della situazione  di conflitto createsi tra nazisti ed ebrei”. Queste furono le parole del Presidente del CIO.

La sua simpatia  per le posizioni filo-nazista, d’altronde,  non era certo una novità. Egli si era già apertamente dichiarato antisemita, mentre, all’interno del Comitato Olimpico Internazionale, Hitler godeva di non poche altre ammirazioni; uno dei  dirigenti del Comitato,Sifrid Edstrom, scrisse una lettera dai toni agghiaccianti: ”………………Per quel che riguarda la persecuzione degli ebrei in Germania, io non sono affatto favorevole alla suddetta azione, ma comprendo che era veramente necessario introdurre un cambiamento. In quel paese gran parte della nazione era guidata dagli ebrei e non dai tedeschi stessi. Perfino negli Stati Uniti potrebbe venire il giorno  in cui  dovrete porre fine alle attività degli ebrei”.

Dunque aspettarsi grande sostegno da parte delle autorità sportive era impresa pressoché impossibile se non proprio utopistica; le tre giovani austriache dovettero combattere da sole in un ambiente e clima  inevitabilmente ostile, con l’appoggio di pochi amici.

Ma, come si dice? il tempo è galantuomo, anche se purtroppo non ti ridà quello che hai perso.

A distanza di sessant’anni,  nel 1996, le tre atlete furono invitate dalla Federazione austriaca ad una cerimonia di riabilitazione e riconciliazione, durante la quale vennero ripristinati i record cancellati a suo tempo.

Nessuna delle tre accettò l’invito; solo Judith rispose con una lettera: ”Sono felice di accettare le vostre scuse e il ritiro delle sanzioni, ma in nessun modo mi pento di quello che ho fatto sessant’anni fa”.

La storia che ho narrato è tratta dal libro “NESSUN VIETCONG MI HA MAI CHIAMATO NEGRO” di Ivan Vaghi (People storie) nel quale sono raccolte numerose vicende di sportivi che nel corso del tempo si sono resi  protagonisti di proteste  anche eclatanti contro ingiustizie, sopraffazioni e discriminazioni di ogni tipo, episodi davanti ai quali il mondo dello sport non è rimasto a guardare, facendo sentire forte la sua voce: dai conflitti per l’indipendenza irlandese, all’appoggio dato alle rivendicazioni degli afroamericani per i diritti civili, alle proteste  contro la guerra ne Vietnam (il titolo riporta infatti una frase pronunciata da Cassius Clay) fino alla lotta contro le discriminazioni di genere.

Primo fra tutti comunque rimane il prezzo di vite umane pagato dagli atleti ebrei per la loro decisa opposizione al nazismo, persecutore del loro popolo, e della quale ho riportato una “semplice” storia: una delle tante che  meriterebbero di essere raccontate.

Chiudo rivolgendo un pensiero anche a tutti gli atleti  che, sia in Germania che in altri paesi europei, hanno rischiato la vita, per aiutare gli ebrei.

STEFANO CERVARELLI