“BENI COMUNI” A CURA DI FRANCESCO CORRENTI – 3. ACQUE E MUSEI…
di FRANCESCO CORRENTI ♦
La nostra fortuna di abitanti della penisola chiamata Italia è di vivere in un museo, cioè in un paese che è ancora – nonostante le infinite distruzioni subite o operate volutamente – un insieme armonico e straordinariamente ricco di bellezze naturali e di bellezze create, con ingegno e talento artistico, dalle popolazioni che qui hanno germogliato, costituendo nei secoli un patrimonio storico originale e peculiare della propria memoria culturale, a formare un bene comune tra i più celebrati dell’umanità. Questo dato di fatto rappresenta indubbiamente un vantaggio per quanti, come me, si trovano a proprio agio in un museo. Non è un merito né una colpa, solo un modo di essere, in parte probabilmente istintivo e molto indotto dalle abitudini. Sono cresciuto in una casa-museo, vedevo un grande e celebre museo romano dalla finestra della mia scuola, che poi è diventata essa stessa sede di museo, la mia fidanzata abitava in un museo, i nostri primi lavori hanno riguardato la realizzazione di nuovi musei o la sistemazione di musei preesistenti, anche l’attività successiva ha avuto sempre a che fare con i musei (compresi i settori connessi dello studio e del restauro di architetture e del progetto e allestimento di mostre) e visitare musei e mostre è una delle cose più divertenti che possiamo fare adesso, oltre al mestiere di nonni, cioè di amati oggetti da museo per i nostri nipoti…
Dopo l’interruzione forzata provocata dalla situazione sanitaria che ha riguardato, anche in questo caso, l’intera umanità ma quale male comune, il ritorno nei noti luoghi delle “Aquae Patavinae” non poteva prescindere, come sempre, dalla visita alle tante mostre temporanee del momento, a Padova, Verona, Rovigo, Treviso, Conegliano – per non citare quelle di Venezia – ed alle novità riguardanti i musei locali, una ventina, solo per limitarsi a quelli più vicini, ai quali voglio aggiungere la Casa delle Farfalle, un museo “vivente e volante” della bellezza della natura davvero stupefacente, da lasciare ammaliati Trilussa e la sua “Vispa Teresa”.
In questo contesto, abbiamo accolto con dispiacere la notizia della chiusura del Museo internazionale del vetro d’arte e delle terme (MAAV) di Montegrotto, con le centinaia di pezzi artistici di vari maestri, tra i quali i muranesi Ceccocilli, Cedenese, Giuman, Masciarelli, Venini e i fratelli Toso, con opere di Scarpa e, tra l’altro, la collezione dei contenitori della Luxardo. Una chiusura che ha preceduto lo spostamento, ancora non avvenuto, del capolavoro di Umberto Del Negro, la grande installazione degli “Alberi metallici”, elementi scultorei in vetro policromo, nella bella piazza Roma, davanti al municipio, inaugurata nel 2003 insieme alla sistemazione della stessa piazza intorno al Monumento ai Caduti, con la simbolica pavimentazione in trachite dei Colli, il sinuoso ruscello e la vasca a ricordo dell’antico lago termale, in cui si rispecchia la chioma infuocata d’un acero, su progetto dell’architetto Gloria Negri.
In compenso, l’avvenuta sostituzione del Museo del vetro, nella barchessa di Villa Draghi, con il Museo del termalismo antico e del territorio, e quindi la visita al nuovo allestimento hanno rappresentato un motivo di compiacimento, di lieta sorpresa e, al tempo stesso, di riflessione e rimpianto, nel confronto con le occasioni perdute di altre realtà che avrebbero potuto essere analoghe e non lo sono. Curato dall’Università degli Studi di Padova, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, dalla Regione Veneto, dal Comune di Montegrotto Terme, dalla Arcus S.p.A. (ora Ales, arte lavoro e servizi) e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
Le sale del Museo offrono al visitatore una documentazione ricca di ottime ricostruzioni sul termalismo nella storia e nell’attualità, sulle località italiane – con la riproduzione d’un lungo segmento della “Tabula Peutingeriana” –, sui rapporti tra le acque e il sacro, attraverso un viaggio nel tempo che illustra la vita quotidiana, l’uso e il culto delle acque, per poi approfondire i temi del territorio euganeo e delle Aquae Patavinae, delle terme e delle ville, mostrando nel dettaglio e con suggestive ipotesi ricostruttive i siti dell’area archeologica di viale Stazione e della Villa di via Neroniana. Una pregevolissima Guida, edita dall’Università, riporta con assoluta completezza iconografica l’ineccepibile apparato didattico esplicativo, corredato da ampie ed esaurienti appendici documentarie sulle fonti, le iscrizioni e la bibliografia.
Gradita sorpresa è stata trovare qui esposti, nella quarta sala, alcuni reperti di due siti particolarmente familiari: la copia in grandezza naturale dell’altare, con iscrizione dedicatoria, scoperto presso le Aquae Tauri di Civitavecchia, dedicato da Alcibiade, liberto dell’imperatore Adriano, e la copia dei famosi quattro bicchieri “itinerari” d’argento, a forma di pietre miliari, ritrovati nel 1852 a Vicarello, sul lago di Bracciano, le Aquae Apollinares Novae. Databili al I secolo d.C. e oggi conservati a Palazzo Massimo a Roma (la mia ex scuola), i “pocula” votivi recano incisi i nomi delle 104 località – le mansiones di tappa – nel lungo percorso da Gades (Cadice, in Spagna) fino a Roma, lungo 1840 miglia romane, pari a circa 2.723 chilometri.
Con le dottoresse Chiara Destro e Tiziana Privitera, curatrici e animatrici del Museo e, rispettivamente, presidente e vicepresidente dell’associazione Lapis che (come al Museo Sanpaolo di Monselice) ne organizza i laboratori didattici e gli eventi, abbiamo parlato a lungo delle intenzioni che hanno mosso gli enti sopra ricordati a realizzare il Museo, in una zona che vede, certo, una abbondanza di sorgenti non paragonabile a quella nostra ed una ben diversa realtà ricettiva: 124 strutture ricettive alberghiere specialistiche che offrono 18.353 posti letto e 311 strutture ricettive complementari che ne offrono 2.981 (e tuttavia al momento con vari segni di crisi).
Come abbiamo parlato appunto delle Aquae Taurinae, a loro ben note e visitate – per quanto possibile – al momento della preparazione dei materiali documentari, rimanendo colpite dallo stato di abbandono e dall’interruzione dei lavori di costruzione dello stabilimento, dallo squallore estetico del suo aspetto, dalla mancanza di iniziative per la fruizione e la valorizzazione coordinata delle diverse strutture e attrezzature presenti o addirittura mai poste in essere, il tutto aggravato dalla scomparsa dell’acqua dalle vasche del complesso archeologico principale, dalla palese inesistenza da molti anni di interventi di manutenzione e dal degrado generale di tutta la località.
Molte domande mi sono state poste dalle mie gentili interlocutrici sul passato, sul presente e sul futuro del termalismo nelle due zone laziali in questione ed ho dovuto chiarire che le mie risposte potevano riguardare solo il primo dei tre momenti temporali, sia per l’una sia per l’altra zona.
Quasi che un male oscuro e comune – a parte ogni altra considerazione sulla pandemia in atto che riguarda questo ultimo biennio – abbia posto ostacoli imprevisti e imprevedibili ai tanti progetti ed alle iniziative avviate, sembrava di poter costatare soltanto l’assenza di fatti concreti e di decisioni ufficiali su nuovi programmi.
E invece, finalmente, qualche elemento nuovo e confortante è giunto a riaccendere le speranze. L’ho appreso volentieri e ne parlo volentieri, avendo potuto conoscere proprio da fonti ufficiali le linee essenziali di un primo intervento ed anzi – attraverso i canali informativi in rete e sui social (“Civitavecchia informa”) – dalla stessa voce della persona responsabile del progetto, collega iscritta al mio stesso Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Roma e Provincia, che posso dire di conoscere molto bene, una conoscenza davvero famigliare, “già da prima” (della sua laurea), l’architetto Enza Evangelista. Che tra l’altro è anche stata, il 15 maggio 2019, fra i cortesi relatori, nella Sala delle Colonne di Palazzo Patrizi Clementi – sede della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale – alla conferenza di presentazione della mostra sulla mia attività di studioso, ricercatore, architetto e urbanista “Sessant’anni di disegni al vento: l’anima di Civitavecchia, tra il Campanile di Santa Maria e la torre quadrata della Rocca”. Una conferenza per me molto gratificante per quanto espresso dalla Soprintendente arch. Margherita Eichberg, dal prof. arch. Giovanni Carbonara, dall’arch. Gloria Galanti, dal dott. Flavio Enei, dalla dott.ssa Rossella Zaccagnini e dall’arch. Claudio Mari, oltre ai numerosi studiosi e professionisti intervenuti al dibattito e poi al successivo convegno di studi “L’antico Campanile di San Giulio e Sant’Egidio a Civitavecchia e gli interventi finanziati dal PRUSST nella Tuscia: buone pratiche e sinergie interregionali”, tenutosi nello stesso prestigioso Palazzo il 28 maggio, con l’intervento dei rappresentanti dei cento enti pubblici (tre regioni, quattro province, 92 comuni e comunità montane) e delle diverse centinaia di soggetti promotori e proponenti del programma approvato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed attuato dall’Ufficio Consortile Interregionale della Tuscia a partire dal 1998.
Non si tratta della ripresa dei lavori interrotti ma, comunque, è previsto un intervento di notevole importanza, che rappresenta effettivamente un segnale di attenzione verso una delle risorse – appunto la presenza di sorgenti termali e di importanti preesistenze storiche ad esse connesse – sulle quali si è sempre puntato nella programmazione dello “sviluppo economico alternativo” della città e ritenuta tra i principali punti di forza, nelle considerazioni poste a base della pianificazione ed estrinsecate in forma schematica ma significativa nella cosiddetta analisi SWOT, introdotta da diverso tempo nei progetti degli interventi pianificatori e che, con le sue iniziali fa riferimento proprio a tali punti di forza (“strenghts”), a quelli di debolezza (“weakness”), alle opportunità di sviluppo (“opportunities”) ed ai pericoli di recessione (“threats”).
“La Ficoncella di domani” è stato l’evento presentato, nello stesso luogo dove sarà realizzato presto il progetto, dal sindaco avv. Ernesto Tedesco e dall’assessore all’Urbanistica avv. Leonardo Roscioni nella serata-spettacolo del 10 settembre dello scorso anno, con l’illustrazione degli elaborati grafici da parte della progettista incaricata, il tutto disponibile in rete attraverso un video.
Gli obiettivi qualificanti del progetto evidenziati da Enza Evangelista sono:
- il recupero dell’identità originaria di un paesaggio naturale;
- lo spostamento del parcheggio all’esterno in area meno visibile, unico anche per Aquae Tauri;
- lo spostamento del volume dei servizi in un’area dedicata;
- la creazione di un’area verde accessibile e di una terrazza panoramica a servizio del bar;
- la creazione di un ingresso ben identificabile.
Sicuramente, dobbiamo compiacerci di questo progetto di riqualificazione ambientale di un luogo molto frequentato, anche e soprattutto dai cittadini, che si collega in modo diretto ai resti archeologici conosciuti ed a quelli che le ricerche svolte già per iniziativa della precedente Amministrazione fanno presagire come un grande santuario di cui non si sospettava l’esistenza. Nel “Progetto Acheloo”, la Soprintendenza ha chiamato a collaborare le Università di Bologna e di Roma Sapienza, grazie al contributo del Comune, in sinergia con gli enti e le associazioni locali, in primo luogo la Società Storica Civitavecchiese con i suoi volontari, protagonisti della rimessa in luce della grande vasca a forma di rettangolo stondato con gradoni arrotondati, da anni sepolta da crolli e da piante. Non siamo in presenza di un intervento imponente – se il “parco”, come leggo, si estende su 3500 metri quadrati – ma è effettivamente un “punto di ripartenza” (vedo le dichiarazioni del Vicesindaco con delega ai Beni culturali Manuel Magliani), se ad esso seguiranno le altre fasi previste dagli strumenti urbanistici e dai programmi approvati, a cominciare dallo studio e dai rilievi per l’acquisizione e il recupero del nostro amatissimo Campanile di San Giulio e Sant’Egidio.
N.B.: Al fine di fornire un utile servizio ai lettori (comprendendo chiunque voglia accedere al Blog per approfondire argomenti o svolgere ricerche sui temi trattati) questa rubrica, dalla prossima settimana, conterrà un fondo di documentazione archivistica e bibliotecaria sul tema “BENI COMUNI”, con un catalogo illustrato via via aggiornato, che terrà conto anche degli atti allegati ai miei articoli pubblicati su SpazioLiberoBlog (serie Notizie dalla Preistoria, Ultimissime dal Medioevo, Fonti inedite per un’altra storia) dal marzo 2016 ad oggi. Sarà un modo di contribuire, nello spirito della sussidiarietà, ad una iniziativa fortemente promossa dal Blog.
FRANCESCO CORRENTI
Avremo un giorno qualcosa di degno? Abbiamo una ricchezza maltrattata ed un cumulo di progetti mai avviati. Salvo le iniziative dei volenterosi della Società Storica.
Acque termali di valore terapeutico e Terme romane: un binomio che altri avrebbero sfruttato in modo efficace.
Caro Francesco quante occasioni perse. Speriamo. Che altro possiamo fare alla nostra età!
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Mi rendo conto sempre di più che nulla è mai cambiato a questo mondo e già nelle grotte di Altamira o di Lascaux, guardando quei dipinti e vedendo che non portavano alle novità che si speravano, qualcuno avrà sospirato le cose che ci diciamo noi adesso e qualcun altro avrà detto che nonostante tutto la speranza è l’ultima a morire
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