FORTUNE E SFORTUNE DI UN UOMO (E DEL SUO STRUMENTO)

di GIORGIO LEONARDI

 

All’inizio della seconda metà del Settecento Bordeaux era uno dei principali centri di diffusione dell’Illuminismo. Tuttavia, a dispetto della montante onda laica e libertina che attraversava la nazione e il continente, il locale collegio dei gesuiti si vantava ancora di essere il luogo dove veniva educata una pia gioventù mossa da intenti umanitari, anime buone destinate a diffondere il seme della carità e della rettitudine in un mondo traviato dal vizio. Tra loro vi era uno spirito pragmatico, così pragmatico che finì per rendersi conto che curare il corpo non era meno importante che salvare lo spirito. Decise quindi di lasciare il convento, di rinunciare ai voti e di iscriversi alla Facoltà di Medicina a Parigi.

A venticinque anni era un neolaureato assai motivato, tanto da offrire gratuitamente le sue prestazioni mediche a chi non poteva permettersele. La sua fama di progressista si diffuse tra i circoli politici cittadini. Gli offrirono una candidatura, e lui la accettò. Venne eletto deputato e, dagli scranni parlamentari, condusse battaglie per le classi più povere.

Nella seduta del 10 ottobre del 1789, nel pieno del tumulto rivoluzionario, prese la parola e pronunciò un discorso storico: la giustizia non è giusta – disse – e c’è un sistema per migliorarla e renderla più moderna. Un macchinario, un po’ ingombrante, a dire il vero, ma estremamente efficace. L’aveva inventato lui e garantiva che, nella malasorte della colpa, era in grado di offrire persino una sensazione di autentico benessere, di dolcezza e «di freschezza». Testuali parole. Dagli spalti dell’assemblea si sollevarono reazioni contrastanti al cospetto di quel deputato così determinato, ma dal viso simpatico e dall’espressione bonaria. Aveva poco più di cinquant’anni, e si chiamava Joseph-Ignace Guillotin. Garantiva che la macchina funzionava: l’aveva testata abbondantemente su cani, gatti e altri animali. Ma sull’uomo?

Qualche tempo dopo, nella notte del 14 ottobre del 1791, un malvivente facente parte di un manipolo di banditi, aggredisce un passante in un’oscura via di Parigi. Forse ci scappa il morto, o forse no (non si sa con esattezza), di sicuro c’è in ballo il furto di un portafogli. L’uomo viene acciuffato immediatamente, è un semplice ladruncolo che risponde al nome di Nicolas Jacques Pelletier. Ecco l’occasione che molti stavano aspettando. Un tribunale condanna Pelletier alla pena capitale, e così viene chiesto a Monsieur Guillotin di sperimentare finalmente sull’uomo il suo fantastico metodo. Il condannato, sbattuto in carcere, attende i tre lunghi mesi necessari per la costruzione dell’innovativo macchinario.

Quando tutto fu pronto, il trabiccolo venne installato nella piazza del Comune. Un bando municipale aveva già annunciato la data dell’evento. Quel giorno (alle 15,30) una gran folla di curiosi scalpitava davanti a quello strano arnese. Le guardie portarono Pelletier, lo sistemarono a dovere, poi il boia tirò una corda. Prima ancora che gli astanti se ne rendessero conto, una lama precipitò sulla sua nuca, la testa del malcapitato venne recisa di netto, e tutto finì quasi prima ancora di cominciare. Gli spettatori si guardarono in faccia sbigottiti. Dunque tanto clamore per così poco? Inaccettabile. In piazza molti si lamentarono di aver rinunciato ad altri svaghi per assistere a quello spettacolo. Avevano quindi atteso ore in piedi per quella roba di pochi secondi? Montò immediatamente una protesta spontanea: urla, invettive contro i rappresentanti della giustizia, lancio di pietre. I presenti sul palco del supplizio (compreso il deputato Guillotin, che forse si aspettava una plateale acclamazione) dovettero darsela a gambe levate per sfuggire alla folla inferocita.

«Ridateci la vecchia forca!», gridarono voci rabbiose da un lato all’altro della piazza.

Si sa, il popolo diffida sempre delle innovazioni. E la storia allestisce spesso delle beffe memorabili. Ci andò vicino anche Guillotin che, durante il cosiddetto “regime del Terrore” in cui rotolarono più teste che gomitoli di lana, fu a un passo dal finire a sua volta sotto la lama del medesimo macchinario che aveva inventato. Riebbe la libertà dopo il colpo di stato del 9 Termidoro. A lui e al suo mirabolante strumento sarà garantita la fama postuma ma fortune contrastanti.

Nacque, grazie al suo ingegno, il mito patibolare della letteratura moderna: pagine che sollazzano il compiacimento di noi lettori romantici e un po’ morbosi. Dalla decapitazione di Julien Sorel (ne “Il rosso e il nero” di Stendhal) alle snervanti attese del Lacenaire (ne “L’ultimo giorno di un condannato”) di Victor Hugo, dal tripudio grottesco de “L’asino morto” di Jules Janin all’ingegnoso intreccio de “Le menzogne della notte” di Gesualdo Bufalino. E via narrando.

La ghigliottina, dopo il suo esordio burrascoso, continuò comunque gloriosamente a spiccare teste fino al 1977, mentre il suo inventore venne sepolto nel 1814 con il capo ben piantato sul suo collo nel cimitero monumentale di Père-Lachaise, in mezzo ai grandi della storia di Francia, ma in una tomba di cui si persero quasi subito le tracce. I registri ci dicono che venne spostata per fare posto a un monumento dedicato ad Abelardo ed Eloisa, i due celebri e scandalosi amanti, quindi mai più ritrovata. La storia della sepoltura perduta di Monsieur Guillotin è complessa e ha avvinto gli appassionati di tumulazioni. Molti l’hanno cercata, fatto calcoli, imbastito rebus, tracciato mappature e, nel corso degli anni, hanno formulato diverse ipotesi sulla sua ubicazione. Insomma le illazioni si sprecano ma il mistero rimane. E a voler provare a capirci qualcosa, in assoluta coerenza con il personaggio, ci sarebbe proprio da perdere la testa.

GIORGIO LEONARDI