LE STRADE NEGATE: INGIUSTIZIA TOPONOMASTICA
di ANNA LUISA CONTU ♦
La recente apposizione della targa ad Irma Bandiera, partigiana ed eroina della Resistenza, mi ha spinta ad approfondire la toponomastica cittadina e farne un breve studio. Uno studio empirico, sia ben chiaro, senza nessuna pretesa di scientificità e senza alcun ausilio informatico, solo il calcolo aritmetico fatto contando e ricontando il numero delle strade, scorrendone i nomi e su di essi cercare di avere uno sguardo da bird’s eye view, diremmo oggi una visione dal drone. Le informazioni le ho tratte dall’elenco strade dell’Ufficio Demanio del comune di Civitavecchia aggiornato al 2020, ma in cui mancano le titolazioni recenti sulla marina, piazza Betlemme, piazza degli Eventi, Escrivar de Balaguer. Ma si tratta solo di un elenco di strade e la loro collocazione , non c’è un quadro storico sulle amministrazioni né sugli anni in cui le strade sono state titolate. Sarebbe stato interessante anche per seguire l’espansione cittadina e la creazione dei nuovi quartieri.
Io non ho alcuna competenza in materia urbanistica, ma scorrendo l’elenco di quelle vie mi vengono in mente le considerazioni che seguono.
Il numero delle strade, piazze, larghi, della nostra città è di 616 ad un primo conteggio. Di queste strade solo 10 portano un nome di donna più altre 10 tra regine e sante.
A parte la serie dei musicisti al quartiere di Aurelia, il nome dei personaggi storici o degli scrittori, artisti cui sono intitolate le vie sono tratti dalla cultura nazionale. E certo, a parte Stendhal, gli amministratori delle varie epoche esprimono, nelle scelte fatte sulle varie titolazioni, una cultura che possiamo definire provinciale, senza grandi voli a spaziare in una realtà cosmopolita. Ho parlato di cultura nazionale, ma nella nostra città non c’è una via o una piazza dedicata a Dante Alighieri n<è tantomeno a Giovanni Boccaccio o Petrarca. E infatti ad uno sguardo superficiale sembra che la cultura nazionale che vi si esprime sia la conoscenza di un alunno di quinta elementare o al massimo di terza media, una delle poche donne é Ada Negri, le cui poesie imparavamo a memoria alle elementari, o Vincenzo Monti, il traduttore dell’Iliade.
Non so quando siano state fatte queste scelte, ma nello stradario abbondano i nomi geografici, nomi di fiumi, monti, città , regioni come se nella loro oggettività gli amministratori volessero esprimere un desiderio di rimanere neutrali, di non schierarsi in una contesa politica e ideologica. A questo proposito i nomi della Resistenza e della Repubblica sono, per fortuna, ben rappresentati: Parco della Resistenza, viale della Repubblica, viale della Liberazione e i nomi delle persone che espresse quell’epoca storica, Lungoporto Gramsci, via Fratelli Cervi, via Nenni, via Pertini, ecc.
Poi alcuni vie con i nomi astratti: via della Fedeltà, via dell’Immacolata, quasi a voler compensare un pensiero troppo ardito.
Ben rappresentati sono anche i nomi di fiori e piante, un intero quartiere ne è addobbato e sono il triplo di quelli dedicati alle donne. Così come i nomi che nascono spontaneamente dall’uso popolare nel tempo, via del Gazometro, via del Lazzaretto, via dei Bastioni. Una strana cosa è l’esistenza di nomi che hanno più vie a loro intitolate e se si può comprendere un viale Garibaldi e una Galleria Garibaldi, o una piazza Pietro Guglielmotti e una via Pietro Guglielmotti, che senso hanno due vie Pascucci Felice o via Monti Cimini e largo Monti Cimini nello stesso rione, con grande sconcerto di chi mi viene a trovare per la prima volta?
E adesso vediamo alle strade dedicate alle donne. Lo scopo di questo studio empirico è sottolineare un’ingiustizia abnorme nella toponomastica cittadina, che non è stata certo sanata negli ultimi venti anni in cui sono sorti nuovi quartieri e le amministrazioni hanno fatto la scelta di intitolare le nuove strade a semplici cittadini civitavecchiesi. Dottori, avvocati, commercianti, persone comuni, brave e rispettabili persone senz’altro, ma il cui solo merito è stato quello di esistere. Ebbene tra questi cittadini comuni, non c’è una donna, non un’insegnate, una politica, una poetessa, un’infermiera , una casalinga madre di dieci figli. Non é un merito questo? Oppure per avere la titolazione di una strada le donne devono scendere in terra a “miracol mostrare “ ? Via Santa Barbara, via Santa Costanza, via Santa Fermina, via Santa Lucia , via Santa Maria, via Madre Teresa di Calcutta, via De Mattias. E poi le regine, Elena e Margherita.
Tolte queste che rimane delle donne? Via Irma Bandiera, per la quale solo la tenacia delle donne, recentemente, ha chiarito il senso di quella titolazione, apponendo, grazie all’ Anpi e all’Ater, una targa che spiegasse il suo sacrificio per la libertà di tutti.
Ringrazio chi, in una lontana amministrazione, propose Grazia Deledda, l’unica donna italiana ad aver vinto il premio Nobel per la letteratura e i cui legami con Civitavecchia sono nei suoi libri. E poi la già citata poetessa Ada Negri, la compositrice Emma Bianchini, Annita Garibaldi e Piccolomini Anna che da ragazza faceva Menotti e fu la progettista e architetta della città giardino d’Aurelia, lei sì con sguardo e cultura cosmopolita. Non sapevo niente di lei, poi ho letto il lungo testo del 2016 dell’architetto Correnti proprio su Spazio Libero Blog e penso che la sua strada sia più che meritata. Poi altri due o tre donne i cui nomi non ho trovato da nessuna parte.
Concludendo: tutte le amministrazioni comunali, di destra o di sinistra, hanno cancellato le donne dalla toponomastica cittadina. Le donne lavoreranno perché questa ingiustizia sia sanata.
ANNA LUISA CONTU
Qui su SpazioLiberoBlog, il 30 agosto 2016, ho ripubblicato (Storie di toponimi nella storia di Civitavecchia) la vecchia relazione fatta ad un sindaco e prima ancora in parte uscita in vari articoli su “O&C” di Costantino Forno (“Toponomastica bigiarda”), in cui ho cercato di storicizzare le varie intitolazioni. Poi, proprio quando abbiamo cercato di stabilire qualche regola, è scoppiato il caos, con l’intitolazione pure di rampe condominiali e simili (non mi stupirei di qualche nome dato “prematuramente”, se mi capite…).
Tanto che l’8 settembre di quell’anno rispondevo ai commenti: “Quella è stata la categoria della sregolatezza (senza genio) seguita a quel tentativo di riordino e “messa a norma”. Poi c’è il problema evidenziato da Rosamaria della scarsità di intitolazioni femminili (e altre lacune ci saranno), cui ho tentato di ovviare, barando, con una Leandra – non smentibile – e con un ritocco realizzabile col pennarello da Saffi a Saffo.” Per Anna Piccolomini e le altre “Grandi Donne” ricordate a proposito di Aurelia, che Anna Luisi ha citato, abbiamo iniziato un lavoro di aggiornamento. Vorrei ricordare che nella città di un tempo vi era una “Via delle Gaetane” che aveva – forse senza intenti celebrativi – un legame diretto con la storia di quelle persone, non nominate personalmente ma come categoria di persone che, con la fatica quotidiana e il sudore della fronte, nella storia della città un posto lo avevano avuto e come! Il lavoro di aggiornamento può essere fatto con metodo e criterio. Mi permetto solo di suggerire: con il buon senso e rispettando per quanto opposrtuno quei criteri che ci si era dati.
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Cara Annalisa, concordo con te sulla scarsa presenza femminile nell’odonomastica cittadina e hai fatto bene a rilevare che alcune titolazioni a personaggi cittadini solo perché localmente noti sono segno di un imbarazzante provincialismo. Lamenti tuttavia l’eccessiva presenza di titolazioni geografiche o botaniche: io invece preferirei incrementarle proprio perché neutrali, non storicamente pedagogiche; farei insomma la scelta che fecero i giacobini quando riformarono il calendario in senso laico per non dare connotazioni ideologiche giacché l’ideologia esprime scelte valoriali discutibili e soggette a revisioni per l’orientamento politico di chi ha volta per volta il potere.
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Silvio Serangeli
D’accordo con Ettore sulle intitolazioni neutrali. Ricordo che a Bologna la questione per le nuove scuole venne risolta con i numeri romani progressivi. Per CV, fatta eccezione per le illuminate scelte di Fernando Barbaranelli, ha prevalso la logica clientelistica: dottori, commercianti, ingegneri sono stati premiati con una stradina di campagna, un vialetto buio per far piacere a quelle parte alla quale appartengono i loro famigliari. Per non scontentare nessuno si arrivati alle doppie intitolazioni per i luoghi dello sport. Ho assistito con molto imbarazzo, come gli altri pochi famigliari presi a forza, all’intitolazione di una stradina di campagna a San Liborio a mio zio caduto in guerra, voluta da una giunta combattentistica e nostalgica di destra con contorno di labari di chi aveva organizzato la messa in scena. Meglio dimenticare i lutti e lasciare il ricordo a chi lo sente. Le donne? Cara Lisa, sempre un po’ nascoste e in terza fila.
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Ringrazio per questi commenti , in particolare Francesco Correnti per aver spiegato il tentativo di storicizzare le varie titolazioni
(che è la cosa che mi è mancata in questo mio studio) e dare ad esse um metodo per sottrarle anche al “ clientelismo” della politica.
Silvio e Carlo, mi date dunque ragione quando parlo di provincialismo perchè senza arrivare all’assurdo di un via Shakespeare, gli amministratori avrebbero dovuto usare la fantasia se la cultura mancava. Penso, poi, che anche i luoghi siano politici e l’esclusione delle donne dalle titolazioni è il nodo più politico che c’è, non un tenerle in terza fila ma escluderle perché non si vede la ragione o il motivo per cui dovrebbero avere una strada.
Grazie , Anna Luisa Contu (lo scrivo per Correnti che mi ribattezza Luisi, un cognome quasi nobiliare)
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E io sbaglio Ettore con Carlo. Sorry
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Anna Luisa (Conti), non mi permetterei mai di “ribattezzare” alcuno, ma questi commenti sono una via di mezzo tra il diabolico e il birichino. Non li si dovrebbe mai (ma lo sto facendo anche adesso) scrivere direttamente e pubblicarli senza rileggerli. Il fatto di farlo con il cellulare aggiunge i rischi del dito che digita i tasti in modo approssimativo. Conto che Marcello esaudisca il mio appello per avere la possibilità di correggere gli errori. E comunque mi scuso e ringrazio del ringraziamento.
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Volevo essere un pò birichina!
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Giuro: a “nobilitare” il cognome “al quadrato” e addirittura con cognomi “presidenziali” è stato il telefono!
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Anna Luisa,
grave è il ritardo ma giungo al fine comunque.
I nomi delle strade cittadine sono i nomi propri essendo il cognome il nome della città. E’ come se l’urbe parlasse e si volesse far sentire e riconoscere dall’altro.
La città è come un corpo organico con i suoi organi, i suoi tessuti, il sangue, le fibra. La città vuol essere nominata nei suoi spazi differenti, nei suoi luoghi.
Se si accetta questa metafora allora i nomi delle vie vogliono rappresentare la voce dello spirito di quel luogo. Ogni luogo ha una storia, umile o eclatante che essa sia.
Dunque, prima regola aurea: il nome della strada esprime il “genius loci”. Ardua ricerca? In molti casi è solo pigrizia e stoltezza di chi amministra ignorando che cosa amministra. La storia non è solo documentale, è reperto archeologico, è toponomastica dell’area ante edilizia. La fatica del cercare!!
In seconda battuta i nomi della storia: quanti nomi della storia cittadina non hanno riconoscimento alcuno? La storia cittadina si rappresenta attraverso le sue vie. Prendere il Calisse in mano destra, sfogliare l’Annovazzi in mano mancina, consultare il Guglielmotti, assaporare il Toti, gioirsi del De Paolis, apprendere dal Correnti ,interessare il Ciancarini ed il suo sodalizio. Porre la mordacchia al burocrate comunale o al politicante di turno.
Terzo momento della nostra via crucis: campane a gloria per i nomi certo gloriosi del Paese, per le guerre guerre, pei martiri, per gli scienziati, per gli “ottimi”, per gli eventi epocali della Nazione. Tuttavia, in questo caso sarebbe rilevante un consenso quasi unanime del Consiglio per non incorrere nella “forzatura” politica del momento.
Non abbiamo ancora esaurito il numero delle vie?Davvero no!!Sicuri che abbiamo sfogliato con accortezza ed analizzato con scrupolo? Non siamo Roma, badate!!!
Rimane ancora del lavoro, dunque?
E va bene, diamolo per ammesso.
Che rimane?
Quello che rimane dovrebbe essere rimembranza della natura che ospita l’urbe: fiumi, monti fossi, pietre, animali terrestri e marini, flora. Ma tutti nomi della Natura attorno a noi: è lei la vera padrona di casa, noi l’abbiamo piegate, alterata, distorta, è lei che ospita noi, esseri transeunti e violenti.
Credetemi, ove fosse dato rispetto all’elenco,le vie sarebbero in numero inferiore dei nomi potenzialmente adatti.
Ed invece? Accozzaglia, intrugli, manipolazioni, astrattismi, clientelismo di bassa lega, insipienza, menefreghismo, incultura, apatia, noia (così parlò Anna Luisa! Giustamente)
Il risultato di questi tristi sentimenti è l’astrattismo, il conformismo becero, l’insipienza.
Quanti nomi del luogo giacciono nel più completo oblio. Quanti nomi della storia locale non godono del giusto apprezzamento valoriale e quanti di un eccessivo apprezzamento.
Quanta natura ospitante è ignorata creando funeste ire alla Madre Terra padrona del luoghi.
Che ne deriva da tutto questo?
Un acuirsi di quel senso di smarrimento nell’abitare i luoghi. Il non sentirsi riconosciuto in un luogo circoscritto. Vivere l’assenza di un ambiente-mondo. Certo esagererei se individuassi nella sola odonomastica lo smarrimento civico. Tuttavia, la non rispondenza dei nomi alle cose(perchè di ciò si tratta) contribuisce a creare quel dramma patologico che è “l’ATOPIA”.
Termine inteso nel senso platonico di “fuori luogo” e certo non inteso nel moderno uso medico!!!
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Questo povero mio scritto, caro Carlo, non merita tanta sapienza. Grazie
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