QUANDO L’ARTE CREO’ LE DONNE

intervista a CATERINA VALCHERA a cura di CARLO ALBERTO FALZETTI

Caterina Valchera assieme ad Adriano Gentili hanno provato ad indagare sul  concetto del femminile molteplice( Bonanno Editore, 2018). Si può sperare di instaurare in questo nostro mondo  un concetto di bellezza del femminile diversa rispetto all’egemonia dell’industria della moda e dell’estetica? Forse è l’arte che può suggerirci la possibilità di esprimere una molteplicità.

CARISSIMA CATERINA 5 DOMANDE CI AIUTERANNO A COMPRENDERE IL SIGNIFICATO DEL VOSTRO LIBRO. ECCO LA PRIMA. OGGI IL BELLO E’ SEMPLICE RIPETIZIONE DELL’IDENTICO. UNA IMPERSONALE UNIVOCITA’E’ IL RISULTATO DELLA COSTRUZIONE SOCIALE DELLA BELLEZZA CON LA COSEGUENZA DI UNA VERA E PROPRIA CONDANNA A MORTE DEL SOGGETTO AD OPERA DELLA PUBBLICITA’(COME ESPOSTO DA ADORNO, TANTI ANNI FA).QUESTA E’ LA PREMESSA CHE TU, ASSIEME AD ADRIANO GENTILI FATE PRIMA DI ADDENTRARVI SUL MISTERO DEL BELLO FEMMINILE.

Preludio al libro- che è stato definito una sorta di “operetta morale”- è la considerazione che  la società occidentale riconosce poco il valore della femminilità , in un sistema prevalentemente patriarcale e  unilaterale, ma anche banalizzante nei confronti della donna. L’unico riconoscimento che la nostra cultura- basata sulle costruzioni estetiche e ideali di quella classica- le attribuisce nel corso dei secoli, attiene alla cura e alla bellezza: quest’ultima, pur nella diversità delle rappresentazioni muliebri ( venere, maga, avvelenatrice, seduttrice ingannevole, sirena ammaliatrice) riflette lo sguardo maschile e ne ripete la prospettiva schiacciata sull’aspetto della sensualità, esteriorità, perfezione delle forme, appetibilità o lontananza sacrale ed eterna. Probabilmente la paura ancestrale dell’uomo nei confronti di un essere capace di nutrire, trasformare il sé e l’altro, accogliere e proteggere, lo ha spinto fin dai primordi a “schiacciare” il mistero dell’archetipo e la complessità del femminile su un modello univoco e funzionale a società maschiliste, animate da volontà di potere.  Con   la “modernità”, abbiamo l’impressione, favorita dal mutare delle mode, che ci sia stato un mutamento nella fenomenologia del bello femminile. Esso appare invece anche oggi congelato in CANONI  omologanti, rispondenti ad istanze sociali ed economiche consumistiche e livellatrici. Tale tendenza esprime un singolare paradosso: proprio  un mondo contrassegnato dalla rapidità dei cambiamenti e nel quale il NUOVO sembra essere valore di per sé, proprio una società che fa della personalizzazione una regola , dell’individualizzazione un mantra fino al ridicolo “questo lo dice lei”, propongono e impongono un modello UNICO di bellezza, uniformato e banalizzato. E’ la morte del soggetto di cui parlava Adorno. Ma anche del simbolismo plurimo di cui parlava Jung. E la cancellazione delle ultime tracce di una possibile bellezza che abbia qualche parentela con la seduzione, cui parla Galimberti.

LA PREMESSA PRECEDENTE E’ FUNZIONALE PER APRIRE IL DISCORSO SUL BELLO FEMMINILE . RIDURRE IL BELLO AD UNA UNIVOCITA’,  CIOE’QUELLA DETTATA DALL’INDUSTRIA DELLA MODA E DELL’ESTETICA, E’ IL GRANDE DRAMMA DEL MOMENTO. IL CONFORMISMO DISTRUGGE LA COMPLESSITA’ DELLA BELLEZZA FEMMINILE CONGELANDO LA MOLTEPLICITA’ IN UNA ARTIFICIOSITA’TUTTA LEGATA AD UN TIPO PARTICOLARE DI CORPO .LA CONSEGUENZA E’ CHE IL MODELLOI UNICO CREA ,CON CRESCENTE FREQUENZA,  DIFFICOLTA’ NEL RIUSCIRE VINCENTI NELLA LOTTA PER ACQUISIRE I REQUISITI RICHIESTI. NE DERIVANO DEPRESSIONI, SOFFERENZE VARIE CHE POSSONO CONDURRE AD ESITI DRAMMATICI.

Le conseguenze di questo conformismo sull’immaginario maschile e femminile, soprattutto dei più giovani, sono ben riconoscibili: spesso essi si sentono  inadeguati di fronte a un modello non relativizzabile, assoluto e avvertito come irraggiungibile. Ciò li penalizza sia come SOGGETTI di desiderio ( non c’è ricchezza e varietà, non colgono le sfumature, non si stimano abbastanza per poter raggiungere l’obiettivo), sia come OGGETTI ( non sono desiderabile, non posso piacere così come sono). Divento allora un follower che ha bisogno dell’influencer; coopero così al capitalismo estetico, all’estetizzazione del mondo (Lipovetsky) e alla manipolazione del corpo, divenuto prodotto mercantile, esposto alla legge del business, oggetto di una cura idolatrica e funzionalistica, ridotto a involucro muto e artificiale. La spettacolarizzazione della bellezza femminile innesca una falsa seduzione (Baudrillard parla di “allucinazione teorica del desiderio”) in cui è assente ogni principio di reciprocità. Deprivato della forza del simbolico, il mio corpo non “incarna” più la mia presenza nel mondo. Mai come oggi le generazioni giovanili appaiono incapaci di relazionarsi davvero all’altro (non basta un like!), di entrare nel gioco dell’eros, di saper accettare una sconfitta sentimentale. Diffuso è invece il senso di isolamento e derelizione, di inadeguatezza esteriore, o, all’opposto, ma complementare, l’affermazione narcisistica e talora violenta del sé. E’ la morte dell’interiorità nella concezione della bellezza e nella relazione sociale .

MA IN COSA CONSISTE QUEL QUID DELLA BELLEZZA DEL FEMMINILE CHE RENDE L’OMOLOGAZIONE ATTUALE, CIOE’ LO SCHIACCIAMENTO SU UNA UNICITA’ DEL BELLO, UNA COSA ABERRANTE? IN ALTRI TERMINI, CHE COSA E’ IL MOLTEPLICE DEL BELLO FEMMINILE?

Il richiamo nel libro (che non ha nessuna pretesa di compiuta analisi storica- filosofica) è proprio a questa bellezza “altra”, nutrita di mistero, enigmatica e sfuggente, essenza e non fenomeno, libro da leggere oltrepassando l’involucro e acuendo lo sguardo. Non a caso Henry James asseriva che “solo una donna può leggere in un’altra donna”, alludendo alla profondità complice e solidale, non compromessa necessariamente dalla pulsione sessuale, che sola può stabilirsi tra donne. Il senso della bellezza è un organismo complesso, irriducibile al solo parametro dell’esteriorità, non sopporta (non dovrebbe!) regole e imposizioni dall’esterno, soprattutto quando provengono da un’industria interessata come quella della pubblicità. Il bello cui si fa riferimento è simbolo, apertura, relazione con l’interiorità più profonda che permetta di avvicinarsi all’identità segreta-e ovviamente unica- di ognuno che, proprio perché tale, non può essere la ripetizione dell’identico. E’ il molteplice del sottotitolo del libro. Una relazione con l’”altro” che è anche ( Agostino docet) l’Oltre. La cifra relazionale della bellezza ne è  la valenza etico-politica, educativa, poiché invita ad un cammino paidetico, di costruzione di autonomia di giudizio. L’omologazione estetica attuale, la riduzione a stereotipo, la normalizzazione dell’immagine femminile sono infatti modi- neppure tanto subdoli- per esorcizzare un’idea alternativa e rivoluzionaria, o quanto meno più avventurosa e imprevedibile, della donna stessa. Non è la nostra una “dittatura” del bello preconfezionato e indifferenziato, il bello dello star- sistem? Per ritrovare la bellezza differenziata e molteplice si è ricorsi, nel nostro percorso, ad artisti di un passato anche lontano, nella convinzione che l’arte possa restituirci  la verità (cioè l’unità di una cosa con sé stessa) contro il conformismo attuale, cioè lo scollamento delle cose da se stesse. E’ anche questo un paradosso ed è  insieme  la provocazione del libro: l’artificio più alto, quello artistico, è stato la chiave per aprire a uno sguardo più inquieto e problematico, a una prospettiva multilaterale sul femminile.

IL TERZO OCCHIO DELL’ARTISTA E’ IL MODO PIU’ CHIARO PER ESPRIMERE IL MOLTEPLICE ESTETICO DEL FEMMINILE. ATTRAVERSO ALCUNI PITTORI SI EVIDENZIANO LE TIPOLOGIE DEL BELLO FEMMINILE. DUNQUE, CON L’ARTE SI RIESCE AD ESPRIMERE QUESTO MOLTEPLICE. CHI SONO QUESTI ARTISTI E CHE TIPOLOGIE NE SCATURISCONO? 

La scelta è caduta eminentemente sui simbolisti, sul caleidoscopio femminile della loro esperienza artistica, prodotto da una loro singolare apertura alla complessità e contraddittorietà del reale,  che  simboleggiano  nella donna. Il loro sforzo di comprensione del profondo, le risultanze di mistero e ambiguità che provengono dalla loro ricerca li fa apparire ai nostri occhi come dotati di un “terzo” occhio, soprattutto verso la donna che sfaccettano in mille raffigurazioni e in una pluralità di modi. Un occhio che vede “attraverso” e ci aiuta a superare la soglia dell’apparire. Sospesi tra ginofobia (da “maschi” avvertivano il pericolo delle prime rivendicazioni femminili) e ginolatria (il fascino dell’eterno femminino), questi artisti  scardinano il concetto classico e rigido di bellezza e ci restituiscono immagini di donne diversissime, anche inquietanti, dal fascino penetrante, proprio perché indefinito e indefinibile, mai ridotto a esteriorità decorativa. Ancora un paradosso: a proporre  una visione innovativa della femminilità  sono uomini. Alcuni , come Klimt, rivelano una profonda conoscenza e rispetto della donna, cui il pittore restituisce unicità e indipendenza,  il diritto all’erotismo e all’autoerotismo, ad un gioco di seduzione sospeso tra occultamento e svelamento. Donne  padrone di una nuova consapevolezza e libertà. Altri, come Balthus, la colgono donna nel suo “divenire”, mentre cova desideri in un misto di paura e stupore, ma è soprattutto Schiele, con le sue donne magre, spigolose, inquiete, a restituirci una donna “moderna”, stravolta nelle forme portatrici di una profonda “alterità”.

LA CONCLUSIONE DEL LIBRO E’ IL RIFIUTO NETTO DELLA CONCEZIONE DI UN INDIVIDUO  CHE SI VOGLIA FAR PASSARE COME INDIFFERENZIATO, DOTATO DI UNA AFFETTIVITA’ DETERMINATA,MANIPOLATO DA PARAMETRI SOCIALI DELLA CULTURA IMPERANTE. IL RIFERIMENTO BASE DI QUESTA CONCEZIONE SI RICHIAMA AL FATTO CHE ESSERE NEL MONDO NON SIGNIFICA PORSI SPETTATORE DISINTERESSATO DELLE COSE E DEI SUOI SIGNIFICATI. IL MONDO, CIOE’, CI APPARE SEMPRE ALLA LUCE DI UNA TONALITA’ EMOTIVA CHE RADICALMENTE NON DIPENDE DAL SOGGETTO E CHE ,PER L’APPUNTO, NON SOPPORTA MODELLIZZAZIONI  IMPOSTE.

Dopo un catalogo “sragionato”, un repertorio semiserio di tipologie femminili, tipi ideali quasi weberiani  “tra arte e vita”, il libro riprende- per concludere- la riflessione sull’essere come singolarità, come soggettività emotivamente totalizzata (Heidegger) che perciò è in grado di aprirsi (o chiudersi) all’altro, suggerendo di corrispondere a questo contrassegno, a questa sorta di DNA sentimentale per comunicare attraverso il linguaggio dell’affettività con l’altro che è la donna. Ancora un  paradosso: il tanto aborrito Heidegger può indurci anche oggi a rifiutare uno sguardo sul reale ( e quindi sulla realtà femminile) pre-stabilito( fuori da noi e spesso nonostante noi), a non indulgere agli schemi imposti dalla cultura imperante per “corrispondere” invece al principium individuationis, quello che- secondo Jung- oltre a difenderci dall’omologazione, fa di noi soggetti qualitativamente unici e socialmente utili.

CARLO ALBERTO FALZETTI