La chiamavano “La Brillante”

di VALENTINA DI GENNARO
La storia della mia famiglia, come quella di tante famiglie, è costellata di storie degne di essere ricordate, soprattutto quelle le cui protagoniste sono donne. 
Figli non riconosciuti dai padri, primi e secondi matrimoni, case in comune e famiglie allargate, hanno fatto sì che io abbia avuto un numero di nonni e nonne, zii e genitori, decisamente sopra la media. 
Ed ecco che questa, allora, è la storia di un’altra donna. 
Un’altra nonna, Libera. 
Nata il 1 maggio 1917. 
Libera nasce dalla relazione extraconiugale di una donna, già madre di molti altri figli, e di un uomo sposato, ma senza figli.
Il diritto di famiglia vigente all’epoca, prevede che non possa essere riconosciuta. 
La madre, poi, la abbandona per tornare in famiglia, il padre non può prenderla con sè, crescerà, per i primi anni della sua vita, in un orfanotrofio.
In seguito verrà riconosciuta dal padre, rimasto vedovo, e vivrà con la nonna paterna.
Il suo cognome cambia, da quelli classici da orfanotrofio, il suo mi pare fosse Martirio, a quello del padre.
Diceva: “Mi madre me l’hanno insegnata (indicata) per strada”. 
Da ragazza, andava a ballare al Pirgo, in quella bellissima struttura sul mare che c’era. Una sera ballerà tutta la notte con un ragazzo, qualcuno più tardi le dirà che era uno dei suoi fratellastri. 
Il giorno che morì la madre si vestì di rosso, “Perché ce so madri e madracce. E la mia era na madraccia”
Sposerà mio nonno, vedovo e con 4 figli. 
Qualcuno tenterà di dissuaderla dall’impegno gravoso, lei rispondeva: “Ho già visto i bambini” e poi, verso mio padre: “Antonio era un ragazzo così bello”.
La chiamavano “La Brillante” per quanto era pulita e teneva alla pulizia. 
Portó per tutta la vita lunghi capelli rossi sistemati in elaborate acconciature. Sempre alla cassa del bar. 
Mia sorella fu la sua prima nipote. Non aveva legami di sangue con lei, un giorno un uomo commentó che mia sorella somigliava a mia madre, lei tornó a casa tutta contrariata: “Mo vonno dì che somija a te” disse a mamma “Hanno sempre detto che somija a me.”
Verso di me raramente riservava parole gentili, mentre le passavo sfuggente davanti,

borbottava: “Peccarità, le cose giuste, è na porvere, ma c’ho lo stesso caratteraccio del padre!”

Morì a 92 anni; in ospedale, la prima volta che ci entrò.
In una mattina di ottobre, mentre intorno a lei c’eravamo tutti.
Alle sei del mattino il dottore che la visitò ci disse: “Manca poco” 
“Dottore, ma è ancora cosciente?”
 “No no”.
Il dottore arriva alla porta e lei: “Che ha detto? Quando posso annà a casa?” 
Morirà pochi minuti dopo.
Di lei conservo un anello con uno smeraldo.
VALENTINA DI GENNARO