Ancora sul femminismo
di Anna Luisa Contu ♦
Riprendo con ritardo il dibattito che si è sviluppato sul ddl Zan e dintorni. Non voglio, in effetti, parlare del disegno di legge che allarga i benefici della legge Mancino agli esponenti della comunità lgbt+ e , come ha spiegato Valentina, introduce il concetto di identità di genere che non dovrebbe sconvolgere più di tanto, visto il nostro continuo barcamenarci storico tra natura e cultura.
Voglio invece parlare di femminismo e del femminismo come l’hanno e lo stanno teorizzando e praticando le donne contemporanee.
Il femminismo moderno è ben diverso dal suffragismo dell’inizio del Novecento e in realtà già Virginia Woolf nei suoi libri “Una stanza tutta per sè” e “Le tre ghinee” pose la questione della differenza femminile; è diverso anche dal movimento emancipazionista del dopoguerra che si batteva soprattutto per la creazione dei servizi, asili nido, scuole materne, ecc, che avrebbero aiutato la donna nella fatica della cura, attività che era totalizzante nella sua vita.
Il femminismo, non rinnegando niente di ciò che era stato conquistato dalle donne e dalla loro mobilitazione nel corso di un secolo, mise all’ordine del giorno due questioni cruciali:
1. Il controllo della propria fertilità, il non essere imprigionate nel nostro destino biologico, senza per questo rinunciare a diventare madri. La maternità, quindi, come scelta e non come destino. Fu una bella lotta. La richiesta di contraccettivi per non dover rischiare di rimanere incinta ad ogni rapporto si scontrò con il bigottismo cattolico, di tanti medici che non capirono (la pillola anticoncezionale era proibita fino agli anni ‘70). E poi la richiesta dell’aborto libero, depenalizzato, e sicuro da fare nelle strutture sanitarie. Perché, quando spossate da gravidanze, cura dei figli, povertà e indifferenza maschile, come rimediare a quell’ennesima gravidanza che il maschio imputa come leggerezza non a se stesso, ma a lei? Le donne che abortivano clandestinamente (perché non potevano fare altrimenti) rischiavano il carcere . Perciò l’aborto, non il divorzio, liberò le donne e per questo l’attacco alla legge 194/78 è sempre al centro delle politiche di quanti vedono nella libertà femminile una minaccia .
2. Le questioni del femminile diventano questioni politiche. Per secoli eravamo costrette al silenzio, a raccontare di noi a noi stesse: la sessualità, la fertilità, la maternità, l’aborto spontaneo o procurato. Dovevamo arrangiarci. Non erano cose che potessero interessare la Politica .
E allora un grande movimento di donne, mosse da un profondo senso di ingiustizia , cominciò a urlare nelle piazze e in tutte le istituzioni che “il personale è politico”.
La maternità, la contraccezione, l’aborto non sono eventi privati, non riguardano solo le donne, sono problemi sui quali la politica deve dare risposte e legiferare nel senso di riconoscere alle donne la dignità di vita.
Liberate dalle catene della maternità come destino, le donne hanno potuto prendere parola, studiare, lavorare, impegnarsi nelle professioni, che era la domanda (di cui conosceva la risposta) che si poneva Virginia Woolf.
Le donne non vogliono essere come gli uomini, riconosciamo le differenze e sappiamo che sono ricchezze.
Mario Tronti, in una recente intervista, sottolinea il portato rivoluzionario del femminismo della differenza e si dice affascinato dal suo irrompere nella Storia, “L’idea del due che spezza l’eterno uno maschile dell’essere umano è stata una rottura teorica del paradigma emancipazionista sulla strada della liberazione femminile”.
Ma gli uomini capiscono? Pensano che il nostro insistere sul linguaggio, attraverso il quale si esprime il massimo del simbolico, sia un capriccio estremista: ministra, assessora, e in omaggio al politicamente scorretto chiamano la Presidente del Senato, signora Casellati, il Presidente, credendo di vendicarsi delle femministe ma recando oltraggio alla nostra bella lingua.
Anna Luisa Contu
Grazie Lisa
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In realtà mancherebbe un terzo punto che il femminismo mise al centro ed è la questione del piacere femminile: la sessualità disgiunta dalla procreazione. Ma non si doveva parlare del piacere femminile , era vergogna. Uscì un libro dell’americana Erica Jong “ Paura di volare” e un ben più pregnante di Carla Lonzi “ Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale” e anche il piacere femminile nella sessualità divenne un punto da rivendicare.
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Non potevi concentrare meglio il pensiero di quante, me compresa, lottano da sempre per questi temi
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Che la legge sull’aborto sia il focus emancipativo della donna deve essere ripetuto con vigore proprio per difenderla dai continui assalti provenienti da area anche laica o sedicente tale. Ed è bene marcare la differenza sostanziale che corre tra la politicita’giustamente rivendicata del “personale” e la tendenza alla pubblicizzazione del privato che affligge i comportamenti del nostro tempo. Bella riflessione su un tema che persiste come problema, per l’appunto politico. Grazie
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Una persona!
Che cosa possiamo sapere di essa?
Certo, il genere. E’ un buon punto di riflessione per capire?
Quella persona è donna, quella persona è uomo.
Bene! E allora?
Non dovremmo comprendere come è donna quella donna, come è uomo quell’uomo?
Se tentiamo questo gioco vediamo un mondo dinamico, inquietante, confuso.
L’animus del maschio è attratto dalla costellazione dell’anima.
L’anima del femminile gravita attorno all’animus.
Dunque, che posso sapere della persona? E’ un maschio, è una femmina: solo distinzioni apparenti, segni biologici, fisiologici.
La persona è qualcosa che non ha a che fare col genere. Il genere mi fornisce una povertà si segni che non incidono sulla esatta comprensione.
Identità di genere? Che significa? Certo significava ieri, e come!.Essere maschi significava una precisa identità che la Storia aveva forgiato in dettaglio.Ma oggi ha senso che l’uomo rivendichi questa identità e che la donna, per aver successo, debba imitare questa identità?
La libertà consiste nel primato della persona sul genere.
Il genere è segno non simbolo. Il genere è segno inquieto, vacillante perchè l’animus non si oppone all’anima. Il genere non dice il “come” si è nel genere.
Nietzsche: l’uomo è un animale non ancora stabilizzato.
L’entrata nella Storia del femminile non potrà mai essere per imitare una identità dominate per retaggio storico. La vera entrata deve poter significare una rivoluzione compiuta da uomini e donne che possano sovvertire l’identità di genere ponendo in rilievo l’unica cosa che conta:
la persona non l’identità maschio-femmina!!
Venerdì debbo poter dire qualcosa sull’argomento e lo dirò in modo “inquietante”..
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Caro Carlo, scusami ma non credo di aver capito pienamente il tuo commento . Tu parti dalla persona e auspichi che un giorno “ una rivoluzione compiuta da uomini e donne possa sovvertire l’identità di genere ponendo in rilievo l’unica cosa che conta : la persona” . Chi può darti torto? Questo è nei nostri desideri ma la realtà ci rimanda un altro scenario, in politica, nell’economia, nel lavoro, nella sicurezza, ancora oggi che le donne hanno, attraverso le lotte, conquistato traguardi mai raggiunti nella storia umana. Come spiegare allora l’insorgenza femminile degli anni ‘70? Proprio basandosi sul genere Il patriarcato ha costruito quegli stereotipi che ci relega(va)no nell’unica attività che era adatta alla nostra “intelligenza” e cioè l’attività di cura, negati gli accessi all’università e nelle professioni alte perchè considerate non in possesso del sistema logico per affrontare quegli studi e quelle professioni. Il mondo interpretato secondo l’universale uno, come dice Tronti, che é maschile. Il femminismo non vuole imitare l’identità maschile , reclama per la donna uguaglianza e nello stesso tempo rivendica la ricchezza della sua diversità.
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Ma certo che la Storia è stata un calvario per il mondo femminile. E’ certo che le lotte fatte avevano di fronte un grande nemico, ovvero il pretesto di usare, da parte maschile, il codice sessuale con effetti sociali avversi al femminile.
Non comprendo perchè tu credi di non aver capito.
L’imitazione del modello maschile è una patologia che è servita inizialmente all’inserimento ma che diviene assurda oggi nella fase di lento ma inarrestabile parità.( è essenziale l’apporto della diversità dopo i disastri “polemici” del maschile).
Il futuro che abbiamo di fronte è dettato dall’oblio della differenza, dalla confusione dei codici, dal dissolvimento delle giustificazioni spacciate per “naturali”. Sempre più i sessi risulteranno confusi dissolvendosi polarità storiche.
Perchè, dunque,il dubbio? Forse non ho espresso chiarezza? Me ne scuso ma il senso è questo che ora penso di aver chiarito.
L’ovvietà della “persona” rispetto al genere non è questione di poco conto. Penso che non sia per nulla scontato. Per decenni dovremo pensare che il primato non sarà accolto. Richiamarlo non è, dunque, semplicismo.
Termino ponendo in evidenza come una delle cose più difficili ad accreditare sia la differenza fra il “corpo vissuto” ed il “corpo organico”. Quando comprenderemo bene che il corpo vissuto è il vero corpo rispetto a quello funzionale la comunità sarà “più stabilizzata”.Ed anche questa non appare cosa ovvia.
Comunque il tuo articolo , per quanto mi riguarda, mi ha fatto riflettere, come vedi.
Anche questa non è una ovvietà, anzi.
E di ciò ti ringrazio.
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