PARLANDO DI SPORT, RAZZISMO E TECNOLOGIA

di STEFANO CERVARELLI

Il pensiero espresso da Le Bron James, che ha suscitato la contrarietà di Ibra, espressa  al Festival di  Sanremo con le parole che conosciamo, non rappresenta certo il risultato di una reazione emotiva, di parte, oserei quasi dire “sentimentale” di una persona che si trova ad assistere ad atti di razzismo, sopraffazione, violazione dei diritti nei confronti di tanta gente: neri in particolare.

Assolutamente no.

E’ l’espressione convinta di un uomo che, pur vivendo tra ricchezza ed agi di ogni tipo, non dimentica chi a causa del colore della pelle o della condizione sociale deve affrontare disagi e difficoltà di ogni tipo.

Il suo pensiero oltretutto non è soltanto suo, ma rappresenta una radicata espressione della coscienza politica, esistente sempre di più nel mondo NBA; a tale  proposito voglio raccontare un episodio che si colloca all’interno di uno dei più grandi avvenimenti, se non il più grande, della storia dello sport.

In piena pandemia, quando tutti gli altri sport nel mondo si fermarono, la NBA non volle rinunciare a portare a termine la stagione  e  con la collaborazione di tutte le parti interessate venne realizzato un progetto indubbiamente  rivoluzionario: disputare la parte finale della stagione regolare ed i play-off  in una unica sede  creando in tal modo la prima “bolla“ della storia dello sport. Nel parco giochi di Disneyland, per tre mesi, da giugno ad agosto, più di trecento persone tra giocatori, tecnici, dirigenti, arbitri, personale di servizio (vennero perfino reclutati barbieri!) vissero dividendo le giornate tra campi super igienizzati ed alberghi super sorvegliati.

Inoltre a giocatori e allo staff è stata concessa l’opportunità, su base volontaria, di portare un anello ( nella foto ) capace  di monitorare  la salute di chi lo indossa in modo da prevenire i contagi con tre giorni di anticipo, sfiorando una precisione del 90%.

L’anello, prodotto dall’azienda finlandese Oura, è dotato di sensori che permettono di misurare la temperatura corporea, la frequenza respiratoria e cardiaca; come se non bastasse è in grado di segnalare eventuali incontri con persone affette da Covid-19.

 Insomma si era pensato a tutto e anche di… più con il fermo proposito  che niente potesse turbare quell’oasi, mai sperimentata nella storia dello sport, se non la  crescente noia ed il disagio di vivere così a lungo in una specie di acquario.

Ebbene no: sette colpi rivoltella, esplosi da un poliziotto contro un giovane afroamericano, ha sconvolto la routine quotidiana della bolla; il basket americano si è fermato per protesta, segnando una storica prima volta: mai infatti c’era stato uno sciopero per motivi razziali.

Non ci fu nel 1968 quando venne ucciso Martin Luther King, non ci fu nel 1991, quando i poliziotti massacrarono  di botte un altro nero: Rodney King.

Ma le franchigie del Basket non  si sono limitate a questo; successivamente nel periodo elettorale non hanno esitato a mettere a disposizione, (vista la necessità di spazi) le loro arene  per trasformarli in seggi elettorali in vista delle elezioni presidenziali;  qui è emersa ancora una volta la figura carismatica di Le Bron che rivolgendosi ai suoi 47 milioni di follower s li ha invitati ad andare a votare.

NBA dunque è molto più di uno spettacolo sportivo, è una realtà inserita nel contesto sociale statunitense; è stata l’arena dove gli americani hanno visto passare messaggi contro il razzismo,  contro le disuguaglianze, forte delle sue star che possono contare su social con migliaia, se non milioni di follower da essere definita da Trump ”un’organizzazione politica”.

Ma il razzismo è politica, lo sport è politica e la NBA con le sue stelle che possono contare su piattaforme e sociale con milioni di follower recita un importante ruolo politico nella storia americana.

La NBA comunque non si è distingue solo per il patrimonio di coscienza sociale e politica dei suoi aderenti, ma anche per il livello di efficienza, innovazione tecnologica, organizzazione e capacità di proiettarsi nel futuro, tracciando la strada a tutte le altre leghe sportive del mondo.

Ne è la prova  proprio quanto creato  al parco giochi di Disneyland.

Qui, come già accennato precedentemente, oltre all’incredibile capacità organizzativa di far vivere e gestire 300 e più persone all’interno di una “sfera di cristallo” super protetta tra controllo sanitari di ogni tipo, dove era impossibile sia uscire che entrare, si è riusciti, in perfetta simbiosi, creatività-tecnologia,  a  realizzare qualcosa di veramente unico: portare un pubblico nuovo (futuristico?) sugli spalti: pubblico virtuale ispirata alla Playstation e non viceversa, come accade normalmente. Ma vediamo come  funziona questo apparato tecnologico che può aprire un nuovo  modo  di assistere agli eventi sportivi in un momento in cui la presenza fisica sugli spalti potrebbe subire un ridimensionamento.

Tanto per cominciare, per riprendere la partita sono state usate trenta telecamere,  con riprese da ogni angolazione; la rail cam che va avanti e indietro per tutta la lunghezza del parquet; inoltre camere robot, microfoni sistemati in modo da captare i rumori reali, i dialoghi tra i coach e giocatori e altri  accorgimenti tecnologici.

Sopra pannelli alti una decina di metri appaiono i fan collegati in diretta da casa attraverso il computer. Si tratta di trecento spettatori a partita, che hanno accesso tramite un’2app legata a Microsoft.2 La massima responsabile del programma “Next Gen” della NBA, Sara Zucker, ha tenuto a specificare che il significato ultimo dell’operazione era conservare il senso di comunità in tempi che sono cambiati e che ”non ci riporteranno più indietro”. (Da questa frase deduco che l’esperimento sarà ripetuto).

Ma come si entra nell’arena virtuale? Attraverso  il sito Ultra Courtside ci si iscrive, si mandano i dati, specificando a quale partita si vuole assistere; se si viene selezionati, arrivano per email  password e link. A questo punto non resta che cliccare e ci si trova a dieci metri dal campo di gioco. Cinque file di tifosi alle spalle delle panchine, vicino ai loro idoli, Howard, Curry,  Paul Gasol, Le Bron  e via dicendo.

E ‘ accaduto che girandosi i giocatori hanno riconosciuto tra il pubblico i propri parenti, mogli, figli lasciandosi andare a gesti di saluto. Il tutto senza dimenticare  la questione sociale:  messaggi contro il razzismo infatti venivano trasmessi di tanto in tanto.

Se questa operazione ha rappresentato la vetta della tecnologia applicata allo sport c’è da dire che in questo campo gli Stati Uniti sono sempre stati pionieri.

Già nel 1963 un regista televisivo italo americano, Tony Verna, ideò l’istant replay, durante un incontro di football; la novità in uso da noi da qualche anno della partita del lunedì, negli USA è dal 1970 che la fanno.

Nel 1996 alle Olimpiadi di Atlanta  vennero  realizzate le prime riprese aeree e due anni dopo in una partita di calcio venne usata la tecnica di trasmissione Hd.

La NBA, pur essendo aperta ad innovazioni e sperimenti però conserva anche un rispetto “ tradizionale” di alcune regole; infatti, pur stando comodamente seduto sul divano di casa, non devi dimenticare mai che ti trovi virtualmente sulle tribune di un palazzo dello sport, le cui immagini raggiungono ogni angolo remoto degli states e quindi sono state fissate alcune norme di comportamento.

Non indossare maglie con slogan politici, vestirsi in modo adeguato, non lasciare la postazione per più di 30 minuti, altrimenti il tuo posto verrà preso da un’altra persona in lista di attesa. Un gruppo di moderatori controlla  tutti i fans collegati.

Poi quando la gente tornerà a riempire stadi ed arene, lo spettatore virtuale non  sparirà.

Visto il successo dell’iniziativa, ricollegandomi a quanto dicevo prima e considerando anche il vantaggio commerciale che ne potrà derivare quando arriveremo a un domani senza Covid, il tifoso virtuale non sparirà.

Anzi, raddoppieranno gli spettatori (e biglietti venduti) perché, oltre ai tifosi seduti sulle tribune con i bicchieri di popcorn in mano, si aggiungeranno quelli che i popcorn li mangeranno da casa e le due “specie” di tifosi potranno vedersi e salutarsi.

Se la tecnologia, i canali mediatici, la televisione in particolare hanno cambiato e stanno sempre più condizionando il mondo dello sport, questo, a sua volta ne riceve bonifici, basti dire che la  Premier League è arrivata a cambiare i pigmenti cromatici delle trasmissioni per  rendere più accesi e reali i colori delle maglie e del prato.

E’ una continua trasformazione, un continuo futuro e, al di là se da questo brutto momento ne usciremo migliori no, cambiati o no, l’innovazione tecnologica televisiva sarà sempre più al centro della nostra vita in un modo quasi totalizzante:  vivremo allora una nuova era della nostra evoluzione che ci ha visto testimoni della sua genesi: quella dello spettatore virtuale.

Con la speranza che quel giorno dalla NBA non debba ancora arrivare il messaggio: alzati e vai a votare per fermare il razzismo.

Però … quanto sarebbe bello sentircelo dire anche dalle nostre organizzazioni sportive!

STEFANO CERVARELLI

* Immagine di copertina: anello della Oura Ring