LETTERA APERTA A ZLATAN IBRAHIMOVIC

di STEFANO CERVARELLI ♦

Caro Ibra

per prima cosa scusami se mi prendo la confidenza di rivolgermi a te usando l’abbreviazione del tuo cognome ma oramai è entrato a far parte  del linguaggio comune e credo quindi che lo permetterai anche a me seppure non ci conosciamo.

Certamente tu non avrai avuto occasione di conoscere questo  blog, nel quale, oltre i miei modesti articoli, puoi trovare scritti molto interessanti, sempre che, oltre che di calcio, Festival e pubblicità tu abbia tempo e, perché no? anche la voglia di  interessarti di altro.

Sai dico questo perché se tu avessi avuto l’occasione di leggere quanto scrivevo (questa personalizzazione non è certo per far torto a tutti gli amici che qui esprimono le loro idee, ma solo perché essendo io l’autore di quegli articoli, me ne assumo la responsabilità) ti saresti accorto come per me, (ma ti posso garantire non solo per me) lo sport costituisca un’attività assolutamente non alienata dal contesto della vita sociale e politica, costituendone invece un elemento quasi condizionante, così come, per altri versi, ne  risenta gli influssi, restandone a sua volta condizionato; come in un gioco di riflessi, tipo sai quei labirinti di specchi che si trovano (o si trovavano) nei Luna Park e mandavano decine di tue immagini, di tutte le dimensioni e forme.

Caro Ibra, tu approfittando della potenza mediatica del palco di Sanremo, hai voluto rispondere al tuo collega d’oltreoceano, stella del Basket NBA, Le Bron James,  tenendo a sottolineare, in contrapposizione a quanto detto da Le Bron, che sport e politica devono rimanere assolutamente separati, aggiungendo a maggior chiarimento che i protagonisti del primo non debbano nemmeno arrivare ad interessarsi di razzismo.

In definitiva sostieni che ognuno debba rimanere chiuso nel proprio habitat, ma ti assicuro, caro Ibra, che non è affatto così ed è giusto che non lo sia.

Lo sport non può certo rappresentare un’ “isola felice” sulla quale gli abitanti vivono in una realtà  separata, da un mare di indifferenza, dal continente sul quale gli altri mortali sono giornalmente alle prese con problemi di ogni tipo. Purtroppo le restrizioni ed i protocolli messi in atto durante questa pandemia ci hanno fatto capire che pur in questa “isola felice” esistono posti al sole e posti all’ombra e tu, riconoscilo, occupi uno splendido posto al sole. Questo, però, è un altro discorso.

Caro Ibra  affermando che: “gli atleti devono fare gli atleti e i politici i politici” esprimi un pensiero condiviso da molti,  infatti ce lo vedi tu un nostro politico (senza far nomi) impegnato in un dribbling, un intervento in scivolata (questo magari si…). Oppure sopra un parquet alle prese con virtuosismi in palleggio, o eseguire un tagliafuori?( anche  se questo è un  fondamentale con il quale  molti politici hanno buona dimestichezza). Credo che sia  più facile il contrario, che un’atleta, vada a Montecitorio o a palazzo Madama o in qualche istituzione; un atleta inoltre rimane anche più agevolato in quanto al termine della carriera  sportiva è ancora in tempo per intraprendere quella politica.

Ma tu forse non intendevi quello, e dico forse perché voglio darti il beneficio del dubbio. O forse no? Forse non è così? Forse magari non sai gestire i tuoi pensieri come gestisci il pallone,  o forse  invece volevi proprio dire quello che hai detto: che ognuno deve solo pensare alla sua sfera d’interesse. Gli architetti gli architetti, gli idraulici gli idraulici, i medici i medici, le sarte le sarte, avete mai visto una di queste categorie fare il lavoro dell’altra? Ed allora…

Sai Ibra, tante volte gli atleti non vorrebbero interessarsi di politica, ma è la politica che si interessa a loro, andandoli a cercare ogni volta che c’è una  votazione, cosa vorrà dire secondo te? Che lo sport ha una cassa di risonanza della quale in determinate circostanze non si può fare a meno? La tua partecipazione al Festival ne è la risposta e la prova insieme, pensi che un politico avrebbe fatto salire l’audience, come hai fatto tu?

E poi mettiamoci d’accordo: cosa vuol dire che un atleta non debba interessarsi di politica? Che non deve avere opinioni riguardo a quanto succede? Che non debba schierarsi? Che non debba fare sue istanze che ritiene giuste?  Che non debba schierarsi nella difesa dei diritti dove questi vengano calpestati? Che non debba far sentire la sua voce contro ingiustizie? Che non debba denunciare oppressioni e dittature? Che non debba mettersi dalla parte di chi subisce violenze di ogni genere? E che, soprattutto non debba manifestarle?

Ibra, guarda che fare sport non vuol dire cancellare la coscienza o fare pubblicità agli slip.

Fare sport significa anche servirsi della possibilità derivante da questo settore della vita sociale, per far nascere, far crescere una coscienza civica, che non si riduca alle semplici frasi di circostanza.

Per rafforzare il tuo pensiero e renderlo più accessibile a chi magari non l’aveva capito hai aggiunto: ”razzismo e politica sono cose diverse, lo sport unisce mentre la politica divide: io faccio sport, non politica, gli atleti devono fare gli atleti, i politici i politici, questo volevo dire a Le Bron James”. Ed ecco il punto, il problema non si esaurisce nell’impegno di questi a favore dei diritti (in particolar modo degli afroamericani) quanto la sua netta e ferma opposizione  tenuta nei confronti dell’ex presidente degli Stati Uniti.

Una distinzione, lasciamelo dire,  per niente convincente, di lana caprina.

Caro Ibra, quando il razzismo oltre che svilire, mortificare, una persona  diventa omicidio, non si può risolvere la faccenda con una semplice nota di biasimo. Bisogna schierarsi.

Il punto è se  anche uno sportivo, un atleta lo debba fare.

Tu che ne pensi? Lo deve fare? Da come ti sei espresso a me parrebbe che tu sei per il no.

”Non starò mai zitto davanti alle ingiustizie. Mi interesso della mia gente, di razzismo, ingiustizie sociali e temi elettorali. Io sono parte di una comunità, sono consapevole che la mia voce sia molto potente e rappresenti tante persone nel mondo, perciò continuerò ad occuparmi di razzismo ed uguaglianza”.

A questo pronunciamento di Le Bron James tu, caro Ibra, hai risposto nel modo che sappiamo.

Mi fermo qui campione,  anche se mi andrebbe di citarti tanti altri episodi di atleti che non hanno fatto mancare il loro appoggio alle lotte contro il razzismo, alle ingiustizie sociali  alla difesa dei diritti, pagando di persona per  le  loro scelte.

 Ma non voglio approfittare della tua pazienza.

Seppure questa lettera tu non la leggerai mai voglio ugualmente farti un augurio: che, seppure sei un po’ alla fine della carriera, le tue capacità di calciatore-per il momento non vedo altre-possano un giorno essere messe al servizio di una causa molto più nobile oltre quella di vincere uno scudetto.

Ti saluto  con le parole di un tuo vecchio amico José Mourinho: ”Chi parla solo di calcio, non sa niente di calcio”.

STEFANO CERVARELLI