ADRIANA ZARRI DIECI ANNI DOPO
di STEFANO CERVARELLI ♦
Da cattolico-sociale – versione moderna del cattocomunista – come vengono definititi quelli che hanno fatto la scelta di indirizzare il proprio pensiero verso politiche di sinistra, nella convinzione che sia questa l’unica strada per coniugare l’impegno cristiano con l’impegno sociale, non posso, sebbene siano passati tre mesi, fare a meno di ricordare, a 10 anni dalla sua scomparsa, Adriana Zarri (1919- 2010), una delle menti più amate e controverse dell’intellettualità cattolica, ma anche purtroppo una grande dimenticata della storia del Novecento cattolico e sociale italiano.
Prima donna laica che impose la sua voce in una Chiesa restia ad attribuire autorevolezza ai laici e alle donne, la Zarri, con la sua cultura, finezza intellettuale e grande capacità di sintesi, fu coraggiosa esponente del cattolicesimo di denuncia e di testimonianza che ha animato e contraddistinto per decenni (ancora oggi ne sentiamo l’eco) il dibattito ecclesiale seguito al Concilio Vaticano II.
Con i suoi interventi scritti e orali, (famosa la sua partecipazione al programma Samarcanda, condotto da Sergio Santoro in un momento caldo della storia italiana) con la sua teologia antitradizionale costituì per tutti quelli che si sforzavano di concretizzare nella società il messaggio evangelico, un punto costante di riferimento. Si fece paladina per un ruolo dei laici che non fosse subalterno al potere clericale; rivendicò con forza la fine di compromessi e collusioni con la politica; brillante giornalista fece suoi temi scottanti come la sessualità, la condizione della donna, il celibato dei preti, l’autonomia della legge civile dalla legge religiosa; non mancando inoltre di promuovere la liturgia come esperienza vitale e partecipata di tutto il popolo cristiano.
Il suo stile, le sue scelte di vita palesavano chiaramente la convinzione nella più aderente interpretazione del Vangelo, la sua radicalità.
Non per niente nel 1978 Marco Pannella le propose di essere tra i 10 firmatari occorrenti per la richiesta di abrogazione degli articoli del codice Rocco in materia d’aborto.
Lei, insieme a Marisa Galli, una suora che fu cacciata dalla sua congregazione per motivi politici, nonostante nel tempo avesse preso le distanze dai radicali; sebbene fossero le uniche credenti tra i firmatari, riuscirono a marcare la distanza e fare la differenza portando il contributo prezioso dei cattolici alla promulgazione della nuova legge.
Dieci anni dopo, il 22 maggio 1998, Giovanni Paolo II sferrò un durissimo attacco contro la 194, denunciando la morte di tre milioni e mezzo di bambini, soppressi, a suo dire, con il favore della legge. Questa fu la risposta di Adriana Zarri:
“Dedicato a” fu concepito in risposta all’intervento del Pontefice e contro i “guardiani del sabato”, custodi di un cristianesimo legalistico e impietoso: «Dopo tanti anni ci risiamo, vecchi argomenti si ripetono, qualcuno nuovo se ne aggiunge; ed io sono ancora qua, infastidita e forse anche costretta perché oggi, se si tocca la legge si peggiora ed io non voglio vederla peggiorata, e le donne ricacciate nella clandestinità a risolvere da sole il loro dramma, come da secoli, come da sempre». Ma la Zarri pur denunciando l’andamento del Magistero in materia di aborto, prendeva le distanze dalla frase più sbandierata dalle femministe, che pure appoggiava, «l’utero è mio e lo gestisco io», che trovava grossolana e sboccata, e molto vicina alle pretese del liberalismo privatista che aveva della libertà un concetto «individuale e incontrollato», addirittura «borghese». Dire «il ventre è mio e ne faccio quello che voglio» le sembrava l’equivalente sessuale di chi diceva «la fabbrica è mia e nessuno si impicci: apro, chiudo, licenzio».
Era molto convinta che la povertà, non come scelta ideologica, ma come il distacco dagli ingombranti beni materiali, fosse condizione indispensabile per la libertà. Sosteneva che la povertà era la più coerente risposta all’istanza evangelica di una povertà interiore, concernente l’essere e non l’avere: una povertà di spirito ( Mt. 5,3 ).
Una povertà mai mancante ma, al contrario, sempre integrata dalla pienezza della vita, dalla terra; una terra alla quale era aggrappata con amore disperato; tanto che dopo un lungo girovagare decise in coerenza con lo stile di vita, di vivere a Grotta di Strambino , in Piemonte, dentro un appartamento ricavato da un vecchio deposito di grano a stretto contatto, appunto , con i suoi due grandi amori: la terra e le piante, circondata dai suoi amati gatti.
Praticamente viveva in quello che si può definire un eremo; uno strano eremo, aperto e “ pieno di poltrone”, perché, nonostante la sua vita “ monastica” era sempre pronta all’accoglienza e al confronto con chi andava a trovarla; tutti nessuno escluso in quanto non era affatto amante delle clausure né di altre forme di ritiri.
Voglio concludere questo breve ricordo con alcune brevi riflessioni di Mariangela Maraviglia, studiosa di Storia della Chiesa, che ha dedicato ad Adriana Zarri una biografia “Semplicemente una che vive. Vita e opere di Adriana Zarri” ( il Mulino).
Dice la storica: “Era una teologia, la sua, che nasceva fuori dai contesti accademici, dal vivo di un animo contemplativo che orientò Adriana a una giovanile scelta religiosa “ed ancora “Tradusse il primato di Dio in potenziale resistenza contro le storture del mondo; concretizzò il suo orizzonte evangelico in amore e cura della terra e delle sue creature; condivise una vocazione alla preghiera come esigenza di vita piena da ritrovare nella propria interiorità. Le sue parole emanano il fascino di un’esistenza persuasa del senso profondo delle cose e la capacità di riconoscere nell’umanità e nel cosmo, il mistero e la presenza di Dio”.
STEFANO CERVARELLI
Delle tante posizioni ardite e coraggiose vorrei ricordare la sua posizione nei confronti della pena perpetua che l’anima perversa dovrà patire nel possibile, discutibile aldilà.
Se Dio è tale lo si deve pensare come sommo Bene. Può essere limitato nell’Onnipotenza per sua volontà (permettendo la libertà umana). Ma sul sommo Bene tutti d’accordo. Se accettiamo questo, allora come è possibile che il genio umano nelle moderne democrazie abbia abolito la pena capitale e punti sul concetto di redenzione e nel contempo il Sommo sia pervicacemente convinto che l’Inferno sia il giusto castigo?
La Zarri, come tanti ben pensanti, si rifiutò di pensare all’eterna sofferenza. Se Dio esiste, se è così che dobbiamo pensare, allora Dio, il Bene, non può che volere la redenzione del creato, tutto, in una armoniosa apocatastasi.
Vecchia idea, questa, non nuova. Il pensiero va dritto ad Origene, alla palingenesi.
Sono tanti tra sacerdoti e laici credenti da ricordare per il loro pensiero non ortodosso ma ben saldi nella ortoprassi. Tu hai offerto spazio ad una grande donna. Spero che si parli in futuro anche di altri per far comprendere che il cristianesimo non è Comunione et Liberatio, e Opus Diaboli.
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Grazie per il tuo intervento che offre spunti interessanti di conversazione, primo fra tutti il fatto che il cristianesimo non è solo Comunione et Liberatio e Opus Diaboli.
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Scusa Stefano, Samarcanda (quanto tempo è passato!) era condotta da Michele Santoro, lo ricordo bene da partecipante.
GB
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