C’era una volta il Carnevale

di LETIZIA LEONARDI

Il carnevale è la festa laica più popolare della nostra società e della nostra cultura. La caratteristica che la distingue dagli altri festeggiamenti è la presenza delle maschere e dei vari travestimenti. Anche nel carnevale la processione è uno degli elementi costitutivi. Di solito però, al contrario delle processioni cristiane, il corteo carnevalesco si svolge su carri addobbati appositamente per trasportare le maschere. In certi paesi italiani la sfilata dei carri ha acquistato una tale importanza da diventare la manifestazione intorno alla quale ruota tutto il carnevale.

Come tutte le manifestazioni carnevalesche anche la processione trova le sue antiche origini nelle cerimonie rituali precristiane di fecondità. L’usanza di tirare i coriandoli dall’alto dei carri sugli spettatori, che oggi sembra una forma generica di allegria, si ricollega all’antica tradizione bene augurale di distribuire al popolo confetti e arance. Quest’ultima usanza sopravvive ancora in certe località in cui è stata però sostituita dal lancio delle castagne e delle noci oppure, come nel caso del carnevale di Ivrea, da una vera e propria battaglia di arance che coinvolge l’intera popolazione. Anche le stelle filanti hanno la loro radice storica nella tradizione di adornare le piante con nastri multicolori allo scopo di celebrare la natura e spingerla a fruttificare.

I trionfi dei carri di carnevale cominciarono ad affermarsi soprattutto durante il rinascimento. Alle sfilate, anticamente, si associavano spesso altre cerimonie di carattere propiziatorio, come il “sega la vecchia” o la questua di casa in casa, spesso condotta da uomini mascherati. Nell’epoca rinascimentale la sfilata dei carri assunse anche aspetti misti, presentandosi a volte come forma mediata tra processione e dramma recitato, come nel caso dei carri allegorici caratterizzati dalla presenza di gruppi di personaggi in costume che formavano delle scene carnevalesche, mitologiche o di fantasia che potevano essere mute o dialogate. Per quanto concerne il contenuto delle rappresentazioni allegoriche, questo variava dalle primitive scene medievali, che mostravano gli artigiani delle varie corporazioni intenti al loro lavoro, a scene spesso satiriche o di fantasia sempre più raffinate e costose con il passare degli anni. Ci sono tuttavia anche alcuni drammi legati al carnevale che derivano dal contrasto tra l’allegria della festa e la tristezza della quaresima. Da ciò discendono le rappresentazioni in varie zone d’Italia della condanna, del processo e della morte di Carnevale accompagnando un fantoccio in corteo per poi finirlo con un grande rogo. La morte di carnevale ha, fin dall’antichità, rappresentato il coronamento di tutta una serie di riti di propiziazione o di allontanamento del male e come buon augurio per le antiche civiltà agricole.

Con il passare degli anni il carnevale è rimasta la settimana più irriverente dell’anno con le sue feste, gli scherzi, i frizzi e i lazzi, che hanno sempre coinvolto l’intera penisola. Ogni regione, città, paese con le sue maschere ha un denominatore comune: il desiderio di rompere le regole e di catapultarsi in un mondo irreale fatto di colori: quelli delle maschere, dei coriandoli e delle stelle filanti. Ad eccezione di quest’anno e anche dell’anno passato, pandemia permettendo, il carnevale viene festeggiato in moltissime località. A Viareggio, ad esempio, il punto centrale delle feste carnevalesche è la sfilata di carri in cartapesta, che da allegorici come durante il rinascimento, sono diventati satirici e fantastici. La nascita del carnevale di Viareggio risale al lontano febbraio del 1873 quando, ad alcuni giovani benestanti venne l’idea di festeggiare con una sfilata di carrozze. Dopo qualche anno le carrozze lasciarono il posto a dei veri e propri carri trionfali realizzati in legno, scagliola e iuta da artisti e fabbri locali. Ad interrompere questa tradizione carnascialesca è stata la prima guerra mondiale. Solo nel 1921 Viareggio si riappropriò del suo carnevale in un modo ancora più grandioso e con meravigliosi carri che sfilarono sul bellissimo lungomare. Fu proprio nello stesso anno che si cantò la prima canzone ufficiale “La coppa di Champagne”, rimasta poi inno di tutte le edizioni del carnevale viareggino. Da allora canti e musica hanno fatto sempre da piacevole contorno alle maschere e ai carri allegorici. La cartapesta fece il suo debutto nel 1925. Grazie a questo materiale è stato possibile realizzare strutture colossali con un peso abbastanza ridotto e con il risultato di far diventare il carnevale di Viareggio una leggenda. Non per niente i costruttori dei carri allegorici furono chiamati maghi della cartapesta. Nel corso degli anni si assistette ad un crescendo di notorietà finché nel 1930, il noto pittore Uberto Sonetti, dette vita a Burlamacco, la maschera rappresentativa del carnevale di Viareggio che è entrata a far parte delle maschere italiane e che è esposta anche a Parigi nel musèe de l’homme. Altra pausa si è registrata durante la seconda guerra mondiale ma, nel 1946 il carnevale è risorto dalle macerie più forte di prima. Grazie alla televisione, nel 1954, il carnevale di Viareggio ha cominciato a entrare nelle case degli italiani. Quattro anni dopo ha oltrepassato i confini nazionali con l’eurovisione. La presenza ogni anno di centinaia di migliaia di persone ha decretato in modo definitivo il successo di questa manifestazione. L’arrivo del nuovo millennio poi, è stata una tappa importante per il carnevale viareggino. Nel 2001 infatti è stata inaugurata la cittadella del carnevale, un complesso che ospita i laboratori per realizzare i carri e la cartapesta.

Un’altra città in cui il carnevale è particolarmente sentito è Venezia che, a causa dei suoi stretti legami con il mondo del teatro e della maschera, ha preferito celebrare questa festa con spettacoli e mascherate di piazza. Altri luoghi che mantennero per lungo tempo una discreta fama di organizzatori del carnevale furono Firenze, Roma, Torino e Ivrea. A Firenze i carri allegorici erano accompagnati da canti ispirati al carnevale, A Torino, fra il 1500 e il 1600  si organizzavano tornei, cavalcate e riproduzioni di avvenimenti storici. A Roma, sotto il governo papale venivano previste due gare: la corsa dei barberi e la gara dei moccoli accesi. Questi antichi carnevali non sono sopravvissuti mentre è stato recentemente recuperato quello di Verona, detto anche degli gnocchi e quello di Ivrea. Anche Tivoli ha la sua tradizione di carri di carnevale. Alcuni documenti ecclesiastici fanno risalire questo carnevale al 1620. Rieti ha la sua sfilata di carri e una grande abbuffata alla “Sagra della Castagnola”. Il carnevale romano rinascimentale barocco rivive invece ogni anno a Ronciglione con la “cavalcata degli Ussari” in abiti del XIX sec. e la sfilata dei bambini. In Abruzzo e Molise carnevale significa soprattutto festa degli scherzi. Nei diversi Comuni si lanciano coriandoli, arance, borotalco e farina. A Scerni e a Lanciano ogni anno il martedì grasso si brucia il fantoccio che rappresenta il carnevale. Anche a Francavilla c’è un’imponente sfilata di carri. A Bagnoli del Tigno, in provincia di Isernia, vengono allestiti carri che rappresentano i 12 mesi dell’anno e la manifestazione si conclude con la distruzione del fantoccio di carnevale. A Tufara, in provincia di Campobasso, è protagonista il diavolo che, trattenuto dai frati e preceduti dalla morte attraversano il paese in una lunga processione. Gemellato con il carnevale di Rio de Janeiro, il carnevale di Cento è uno dei più divertenti con il lancio, dai carri, di oggetti e simpatici gadgets per grandi e piccini. I festeggiamenti si chiudono con il “rogo di Tasi”, il personaggio simbolo della città, e con fuochi pirotecnici. Da ultimo, ma non in ordine di importanza, citiamo il carnevale siciliano, che trova la massima manifestazione in quello di Acireale, in provincia di Catania, con carri allegorici, bande musicali e serate danzanti. Anche questo vanta un’antica tradizione. Fin dal 1500, quando la manifestazione era spontanea, la presenza della gente era già notevole. Uova marce e lanci di agrumi caratterizzavano i festeggiamenti carnascialeschi degli acesi già nel 1600. Un modo di divertirsi che provocava feriti e danni tanto che nel 1612 un bando ne vietò l’usanza.. Furono gli “abbattazzi”, poeti dialettali locali che nel 1700 riportarono l’allegria per le vie della città con divertenti rime. Nel 1800 il carnevale cambiò volto grazie alla “cassariata” e alla sfilata di “lando”, una sorta di carrozze trainate da cavalli che lanciavano confetti agli spettatori che si divertivano anche a partecipare a diversi giochi popolari. Entrarono in scena, in questo periodo, anche le prime macchine infiorate. Il salto di qualità per il carnevale acese si registrò alla fine degli anni venti quando diventò un evento folkloristico da non perdere. Arrivarono le maschere realizzate in cartapesta che hanno  dato spunto alla creazione dei carri allegorici, trainati da buoi e circondati dagli abitanti vestiti in maschera. Il riconoscimento di manifestazione a livello internazionale, il carnevale di Acireale, lo ottenne nel 1948. Da allora, ogni anno, la città vive il più bel carnevale della Sicilia, gemellato dal 2005 con quello di Viareggio. E sempre in Sicilia, a Sciacca, tra spettacoli vari si può assistere al rogo di Peppe Nappa.

Ma il carnevale è una festa senza frontiere. Da Rio alle Isole Vergini, musica, allegria e fuochi scatenano le folle. Il carnevale abbraccia l’intero pianeta. Il Brasile ha certamente il merito di aver dato origine a uno dei più tipici, più sfarzosi e più allettanti del mondo, che richiama ogni anno moltissimi turisti. El Carnival, così lo chiamano i brasiliani, affonda le proprie radici nelle tradizioni che i neri dell’Africa e i portoghesi delle Azzorre portarono con sé. Dopo le musiche tribali, nel 1920 nacquero le prime samba e le prime scuole con i vari concorsi per decretare i  migliori, una formula che ispira il moderno carnevale. A Salvador de Bahia una massa di persone mascherate si riversa nelle vie e balla fino a notte fonda, accompagnata da orchestre ambulanti. Sempre più persone si scatenano nella “caponeria”, danza di origine angolana. A Rio de Janeiro, carnevale è sinonimo di feste e balli per le strade fino all’alba. A Nizza, sotto gli occhi rapiti di migliaia di turisti, sfilano carri e maschere, oltre alle celebri “battaglie dei fiori”. Si finisce con il rogo di Re Carnevale. In Germania, il carnevale più invitante è quello di Colonia che inizia con la nomina del principe, del fante e della vergine. Sono i tre personaggi che il giovedì grasso scendono fra il pubblico a dare il via alle celebrazioni. In Danimarca il carnevale è la festa dei bambini che ricevono dolci e regali, proprio come a Natale. A Dragor, vicino Copenaghen, si tiene una gara per eleggere il “re dei gatti” in una folcloristica sfida di abilità a cavallo. Patrasso invece è la capitale del carnevale greco. Tre settimane di sfilate floreali e sontuosi balli in maschera in cui domina la “battaglia della cioccolata”. A Londra il clou della festa è a Notting Hill dove il carnevale prende origini dai riti degli immigrati caraibici. Alle Isole Vergini invece le origini del carnevale risalgono al 1911 quando Adolph “Ding” Sixto, di ritorno da Rio, portò con sé l’idea della festa dai mille colori che si svolse per la prima volta il giorno di San Valentino del 1912.

E come ogni festa che si rispetti, anche il carnevale ha le sue golosità: ogni città prepara il suo dolce, dalla cicerchiata agli struffoli. Un detto popolare recita: ”fritto è tutto buono, anche l’aria”, forse è per questo che i dolci di carnevale sembrano ancora più buoni di quello che sono. Le ricette dei dolci caratteristici sono spesso semplici, fatte di zucchero caramellato, olio bollente e un semplice impasto. Ogni regione propone dei dolci tipici. Partendo dal centro Italia, la specialità tipica è la cicerchiata, antico dolce ricco di miele, diffuso nel Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo. La risposta meridionale alla cicerchiata sono gli struffoli napoletani. I due dolci sono simili ma quello napoletano spesso viene guarnito con “cannulilli” e “diavulilli” colorati. Quella delle chiacchiere è probabilmente la ricetta più antica, più semplice, più allegra, tanto che sono diffuse in tutto il Paese. In Friuli le chiacchiere sono i “grostoli”, in Emilia le “sfrappole”, in Veneto i “galani”, nelle Marche e nel Lazio le “frappe”, in Toscana i “cenci”. L’unica variante, di regione in regione, è costituita dal liquore che si usa nella ricetta. Si va dal vino bianco, al marsala, dall’acquavite all’anice. Tipiche della gastronomia friulana sono le castagnole, gustose e morbide. Esistono tuttavia dolci più elaborati come i ravioli ripieni di marmellata, frutta secca o ricotta. Simile ai ravioli è il cauzone napoletano che è fatto con la variante del pecorino. Tra i dolci più antichi, importati dall’Austria, ci sono i krapfen e le nostrane zeppole napoletane, sia semplici che ripiene. E con queste bontà possiamo almeno consolarci per le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria che ci costringe a vivere ancora un altro carnevale sotto tono.

LETIZIA LEONARDI