IL MIGLIORE
di FABRIZIO BARBARANELLI ♦
Ho sempre diffidato di chi si esalta per il “Migliore”. Non perché non esista una gerarchia delle capacità, delle competenze e dei meriti. Ma perché riconoscere l’esistenza di un “Migliore” può portare ad affidarsi a lui ciecamente e smarrire la stessa capacità critica.
Nel Pci il Migliore era Togliatti e il partito di Civitavecchia gli dedicò una stele davanti al Parco della Resistenza. Venne Achille Occhetto a inaugurarla e, con nostro grande imbarazzo, ci disse che Togliatti è stato sì un grande dirigente, un intellettuale, un uomo di sicuro valore, ma ci enumerò i numerosi errori, ridimensionandone la figura.
Inviterei quindi alla prudenza nell’usare questo termine, anche per non rischiare, come già avvenuto in vari momenti storici, che la ricerca del Migliore possa diventare aspirazione collettiva a trovare un uomo (perché sempre di uomini si tratta quando si parla del “Migliore”) che assuma i pieni poteri e ci risolva i problemi.
In questa fase questo termine viene usato ed abusato in più circostanze.
Per Draghi innanzitutto, di cui condivido la scelta. Il Presidente della Repubblica non aveva molte alternative dopo la crisi di governo. Bisognava necessariamente, fallite le varie formule che si sono succedute, trovare una persona di prestigio, capace di aggregare intorno a sé il consenso della forze politiche. Non poteva fare altro, non c’erano soluzioni perché tutte le maggioranze sperimentate, per ragioni diverse, erano collassate. Anche troppe e con troppa disinvoltura. La scelta del Presidente è caduta quindi su una personalità di spicco, conosciutissima e stimata in Europa.
Ma di qui a farne un’icona il passo non è breve e ci vuole cautela. Eppure in molti questo passo lo hanno compiuto.
Stessa cosa è avvenuta nel corso della polemica sui meriti e sulle responsabilità di Matteo Renzi per la crisi di governo. Pochi giorni fa ho pubblicato un post di neanche due righe che, ho precisato, voleva essere una reazione ai tanti panegirici che mi irritavano, apparsi sugli organi di informazione.
Mi sembrava che a chi aveva prodotto una drammatica crisi non si dovessero riconoscere meriti.
Una opinione discutibile, come tutte le opinioni del mondo, espressa però senza intenti denigratori. Tra l’altro sono da sempre per la inclusione nell’area vasta del centro sinistra e mai per la radicalità delle posizioni che vorrebbero chiudere le porte alle diversità, soprattutto se scomode.
La considerazione era semplice e diretta: chi si attribuisce il merito di aver portato Draghi al Governo, deve anche assumersi il demerito di averci portato Salvini, per una logica di corrispondenza.
Così, forse anche con leggerezza, ho pubblicato quel post, non volendo scatenare le tifoserie, per non correre il rischio di accentuare il già grande diaframma tra forze e persone che auspico invece possano riprendere un cammino comune.
Sono francamente rimasto sorpreso per la quantità delle reazioni, per lo più mantenute nell’alveo della correttezza, fatta salva qualche marginale eccezione.
Ma ciò che mi ha colpito di più è che i sostenitori di Renzi (raramente viene nominata Italia Viva), hanno tutti insistito sulla definizione di Renzi quale il “Migliore”.
Queste tendenze verso il “Migliore” mi allarmano anche perché a volte rasentano il culto della personalità, l’esaltazione del leader indiscusso e indiscutibile, dell’uomo (mai la donna) al di sopra di tutto e di tutti.
Ecco, di fronte a queste due situazioni e ad altre che per brevità ometto, emerse con tanta veemenza nell’arco di questi pochi giorni, ho riflettuto ed ho pensato, sicuramente con grande approssimazione, che questa ricerca del “Migliore” sia il frutto dei nostri tempi. E le mie preoccupazioni, che sono già tante, sono aumentate.
Sono tra quelli che ritengono che la società non abbia bisogno del “Migliore” o dei leader indiscutibili, che abbia sicuramente bisogno delle competenze, degli specialismi, delle capacità e di quello che un tempo si chiamava “l’intellettuale collettivo”.
Invece mi accorgo che oscilliamo tra due poli opposti: da un lato la formula aberrante e fuorviante dell’uno vale uno, e cioè l’appiattimento generalizzato, la morte delle capacità e delle competenze, dell’esperienza e delle conoscenze, dall’altro la ricerca dell’uomo “Migliore”.
Non vorrei che il bipolarismo italiano diventasse questo: sarebbe una tragedia. Preferisco che il bipolarismo italiano si costruisca e si rappresenti con le forze politiche, con la collegialità, nella sostanza con la democrazia, malgrado tutti i segni di degenerazione che ben conosciamo.
E’ abusato quanto celebre l’aforisma di Churchill: la democrazia è la peggiore forma di governo eccezion fatta per tutte quelle forme sperimentate finora.
FABRIZIO BARBARANELLI
Molto interessante. La riflessione sorge spontanea e porta a stare tutti con i piedi per terra. Ché in fondo i nostri sono tempi in cui vince la “statistica” sull'”analisi” e a perdere di vista la realtà, è un attimo.
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Sarà pure il migliore, di cui gli italiani hanno ancora bisogno ma per fortuna, c’è un parlamento, fatto da Salvini l’Europeo, il ritorno del Cavaliere, la piattaforma Rousseau, la Bonino e il PD, con Zingaretti che vuole esserci sempre che controllerà Draghi, il migliore di turno, a non commettere errori.
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Molto interessante. La riflessione sorge spontanea e porta a stare tutti con i piedi per terra. Ché in fondo i nostri sono tempi in cui vince la “statistica” sull’”analisi” e a perdere di vista la realtà, è un attimo.
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Complimenti Fabrizio per questa tua profonda analisi storica – politica che ci fa riflettere sul nostro passato e, soprattutto, per il nostro futuro ci pone complicati interrogativi a cui risulta difficile dare risposte esaustive.
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I miglioristi li abbiamo consegnati alla storia della vecchia sinistra. Dei migliori avremo sempre bisogno. Di feticci da osannare oggi per condannarli al rogo domani molto meno. Importante è piuttosto rivalutare il ruolo delle competenze, l’autorità dei saperi mortificati da decenni di populismo. Grazie a Fabrizio di avere stimolato questa discussione. L’augurio e l’invito che rivolgo a me stesso e tutti noi: cerchiamo anche di migliorare noi stessi, per quanto ne siamo capaci…
Nicola Porro
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Il migliore è, per fortuna, un superlativo relativo. Dunque, è il grado massimo ma relativamente ad un gruppo di persone. Ben differente è l’ottimo o l’issimo che è superlativo “assoluto”.
E’ di questi “issimi” che dobbiamo aver paura. Ogni ” Duce” è un “issimo”, non il migliore soltanto. Destino vuole che il massimo finisce dialetticamente per diventare il minimo.
Dunque, parlando del momento siamo di fronte ad una semplice comparazione. Tizio è migliore di altri, non l’ottimo, solo “di più di”. Il vero problema che ci sta a cuore è però l'”insieme”.Non basta disporre di un elemento che sia “migliore di”(condizione necessaria ma non sufficiente). E’ essenziale che il grado massimo non sia discostato troppo dagli altri elementi. Insomma lo scostamento tra il grado massimo e quello degli altri sia attenuato il più possibile.
Chi confonde il superlativo relativo con l’assoluto si illude o sogna.
E’ un antico sogno italico di sperare nell’ottimo: è andata sempre male (da Cola di Rienzo a Benito).Un leader autorevole e competente è la “normalità” in democrazia. L’eccezione è quella di avere leader- non leader oppure di avere leader di grado “issimo”.
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L’esperienza di Fabrizio non fa che accrescere la mia totale diffidenza verso i social, che contribuiscono a rendere tribale il confronto politico, dove il migliore si sceglie a colpi di like. Forse anche per questo si è arrivati al governo Draghi, in attesa che i social decretino se è stato il “migliore” o “il peggiore”, in base non alla sua attività di governo, ma al lavoro del suo parrucchiere o alle condizioni meteo del giorno.
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