Lo sport secondo Papa Francesco. 2. L’impegno.

di STEFANO CERVARELLI

La seconda parola del documento che costituisce il summit del pensiero pontificio sullo sport e  può essere considerato quindi alla stregua di una enciclica in materia è: IMPEGNO.

Anche questa volta, al fine di evitare inutili ripetizioni che niente aggiungerebbero al pensiero del Santo Padre, mi limito a riportare integralmente quanto da Lui espresso, facendolo  seguire da un  breve riassunto del commento di don Marco Pozza, noto teologo e appassionato sportivo, che consolida il Messaggio di Francesco, agganciandolo  alla reale pratica sportiva.

“IL TALENTO È NIENTE SENZA APPLICAZIONE: SI PUO’ NASCERE TALENTUOSI MA NON CI SI PUO’ ADDORMENTARE SOPRA IL TALENTO.

La storia, non solo quella sportiva, racconta di tanta gente di talento che  si è poi persa strada facendo.

La stessa parabola dei talenti (Mt 25, 14-30 ) ci viene in aiuto in questa riflessione: il servo che al ritorno del padrone restituisce il talento ricevuto, che per paura aveva nascosto sottoterra, viene considerato malvagio non perché ha rubato, ma proprio perché non ha messo a frutto ciò che aveva ricevuto in dono.

Nello sport non basta avere talento per vincere: occorre custodirlo, plasmarlo, allenarlo, viverlo come l’occasione per inseguire e manifestare il meglio di noi. La parabola di Matteo ci insegna che Gesù è un allenatore esigente: se sotterri il talento non fai più parte della sua squadra.

Dunque, avere un talento è un privilegio ma anche e soprattutto una responsabilità, di quelle rischiose da custodire.”

Quindi a far fruttare il talento c’è solo una strada, quella dell’impegno.

Per me – aggiunge don Marco Pozza, una delle figure che più rappresentano ed esprimono questo concetto è un atleta che oramai non c’è più: Pietro Mennea. Perché? Perché non era un predestinato e non  si addormentò sul talento ma ci lavorò con tanta fatica.

Per me l’impegno è sempre stato lui, “la freccia del Sud” il suo record sui 200 metri ,19”72,  durò ben 17 anni: un tempo certamente stratosferico.

Perché non era predestinato ? perché non era caraibico, né afroamericano, ma diventò “l’italiano da battere” proprio perché non si addormentò sul talento, ma lavorò con fatica ed abnegazione.

Quel servo che ha sotterrato il talento, l’avesse giocato e perduto, Gesù gli avrebbe detto “Hai perso? Ti è rimasta la bellezza di averci provato”.

Cristo allena all’impegno prima che alla vittoria. Talento, ispirazione, ambizione, impegno: è lo sport.

Il Papa, in materia di fede, è un allenatore che ha uno schema preciso in testa: “Ripeti sempre che non ce la fai? – dice ai lamentoni di professione – ti sei mai chiesto invece quanto sei disposto a impegnarti per provare a farcela?”

È una legge scritta in ogni cosa: per avere cose mai viste occorre fare cose mai fatte.

Olimpiadi del 1968 a Città del Messico. C’è un atleta, un saltatore in alto, Dick Fosburry, usa una tecnica assolutamente nuova, rivoluzionaria, mai nessuno aveva visto saltare in alto in quel modo così contorto.

“Mi veniva meglio” disse. Oggi tutti saltano come lui.

“ Tutti voi avete una scatola, dentro c’è un tesoro – disse un giorno il Papa parlando ai giovani  -il vostro impegno è quello di aprire la scatola, di togliere il tesoro, farlo crescere e darlo agli altri. Accogliendo quello degli altri”.

Il resto è storia di lamentele e rimpianti.

STEFANO CERVARELLI