La pandemia come occasione per ripensare la città
di ROSAMARIA SORGE ♦
Questa lunga sospensione delle nostre vite dovute alla pandemia in corso ha rallentato la vita culturale della Nazione e anche il dibattito sul fare architettura, in compenso si sono fatte avanti una serie di idee, proposte e possibili scenari futuri sulla città.
In un articolo di alcuni mesi fa avevo ipotizzato una serie di cambiamenti a cui le nostre case sarebbero andate incontro e avevo fatto un rapido accenno su come probabilmente si sarebbe modificata la città.
La città non è altro che l’ambiente in cui l’uomo vive e in cui si concentrano una serie di funzioni per una fruizione comoda e di qualità, ma è anche qualcosa che va oltre perché è il luogo delle relazioni sociali, delle opportunità, dell’immaginario collettivo e se vogliamo anche della “ Grande Bellezza”, è il luogo dove Resilienza e Congruenza si incontrano e dove tutto può accadere.
Oggi tutto quello che la città rappresenta è in crisi e mai come ora è alterato l’equilibrio tra Uomo e Natura; la pandemia ha accelerato certi processi, ha reso più evidente questo squilibrio e la necessità di far partire una nuova rivoluzione urbanistica o se preferiamo un “Rinascimento della città”.
E’ ovvio che ogni realtà urbana ha caratteristiche specifiche come diverse sono le radici geografiche e culturali; le grandi megalopoli dell’est non sono paragonabili al paesaggio mediterraneo ma tutte le diverse conurbazioni urbane oggi soffrono di un malessere le cui origini sono chiare a tutti ma le cui soluzioni sono spesso in contraddizione in quanto specchio dei differenti interessi in gioco. Gli eventi legati a questa pandemia mondiale hanno riportato l’attenzione sulla necessità di una profonda transizione ecologica.
I paesi del nord Europa per primi e già da parecchi anni hanno iniziato questa transizione ecologica ridando nuova veste e qualità di vita alle loro città, rigenerando spazi e perseguendo progetti di paesaggio urbano tali da mantenere l’equilibrio ambientale.
Il distanziamento fisico tra le persone a cui questa pandemia ci ha obbligato, deve diventare la molla su cui costruire una città con più spazi aperti, e modelli di abitazione più open air. In tutto questo il ruolo dell’architetto è fondamentale poiché, da tecnico della progettazione ambientale, chi meglio di lui può adeguare spazi aperti e spazi chiusi con ritrovata coerenza? Da sempre gli spazi aperti nella città, le piazze, sono state il luogo di incontro dei cittadini e continueranno ad esserlo anche se le modalità di frequentazione di questi luoghi dovessero cambiare. Sono spazi che vanno reinventati per permetterne la fruizione in sicurezza così come quelli che accolgono il pubblico, cinema, teatri, stadi ristoranti palestre dovranno trovare un diverso modo di esistere e una diversa articolazione degli spazi, degli orari e della capienza. Questo significa un impulso creativo che coniughi le esigenze della sicurezza con quella della fruibilità e dell’estetica
Soprattutto abbattere l’inquinamento sarà essenziale e occorre ripensare tutto un modo diverso di costruire; la riduzione delle emissioni, l’abbattimento dei consumi energetici sono prioritari, e da qui l’utilizzo di materiali riciclabili e naturali, di vernici ecologiche, che ci permettono un ritrovato confort compatibile con l’habitat
Questa pandemia ha evidenziato la grande importanza del fenomeno digitale che necessita di una accelerazione e di potenziamento anche futuro, perché a prescindere dalla pandemia, il lavoro a casa sarà sempre più praticato; questo favorirà una migliore organizzazione anche della mobilità e la necessità di dare nuovi impulsi ai vari quartieri della città poiché la nostra vita si svolgerà per lo più nei confini del vicinato. La città del futuro sarà ripensata secondo un modello in cui i servizi essenziali saranno raggiunti a piedi o in bici.
I servizi sanitari, che hanno dimostrato in questa pandemia tutti i loro limiti, dovuti ai molti tagli perpetrati negli anni dovranno ricostruire presidi decentrati legati alla prevenzione e riportare nei diversi paesi la produzione di quel materiale medico che la globalizzazione aveva concentrato in pochi luoghi. In generale il sistema economico e le scelte che lo sostengono subiranno una modifica e sarà necessaria una maggiore attenzione ai bisogni interni. Nessuna pandemia ha mai fermato le città, né il bisogno dell’umanità di vivere e lavorare in agglomerati urbani; le città hanno visto nell’arco dei secoli la peste, il colera, l’influenza spagnola con decine di milioni di morti, eppure sono sopravvissute a tutto questo, adeguandosi proprio come un organismo vivente ai cambiamenti necessari con una capacità di resilienza straordinaria.
Voglio concludere questo breve articolo con un cenno alla città in cui vivo; Civitavecchia mostra un degrado mai visto prima, è diventata la città delle occasioni perdute, anni di non politica del territorio, la crisi del 2008 e il Covid ora, hanno lasciato una cicatrice profonda; un breve tratto di strada come via Trieste conta ben 31 saracinesche abbassate. La modestia progettuale di chi ci ha governato negli ultimi 7 anni, l’incapacità ad attingere ai fondi europei, una visione provinciale hanno disegnato una città ripiegata su se stessa. Senza una idea di futuro non ci sono possibilità di riscatto e questo riscatto oggi deve passare da quella transizione ecologica a cui accennavo inizialmente. Questo territorio ha sacrificato molto ad attività altamente inquinanti e non sono tollerabili altre iniziative che, con il ricatto occupazionale, invadano il territorio.
Questo è il primo passo, il secondo è decidere cosa questa città vuole diventare, e una volta deciso mettere a punto proposte e progetti necessari a realizzare l’idea di città che si è formata non senza il coinvolgimento della popolazione; la riqualificazione urbana del centro e il recupero delle periferie sono elementi di assoluta necessità; oggi le leggi e i finanziamenti europei lo rendono possibile ma è necessario dotarsi di persone qualificate e motivate disposte a sognare una città migliore da lasciare ai nostri figli e nipoti. Una città dove i servizi funzionano, dove il trasporto pubblico sia gestito con intelligenza, dove il minuscolo centro storico sia chiuso al traffico veramente, dove vengano sostenute le iniziative locali ma incoraggiando una apertura internazionale, il recupero del water front, dell’antemurale, una diversa politica per le occupazioni di suolo pubblico che incentivi il commercio, il farsi promotori di un centro commerciale diffuso che aggreghi i proprietari di tutti i locali sfitti, il rivedere in centro la raccolta differenziata che è sicuramente sacrosanta ma ha moltiplicato il numero dei contenitori in giro chiusi in orribili gabbie da pollaio, la riqualificazione del verde cittadino, della rete digitale, di quelle singole costruzioni di un qualche valore architettonico o testimoniale, come la caserma Stegher o l’ex Centrale Enel di Morandi, passando per la definizione e il recupero delle aree dell’Italcementi. In una città rinnovata che garantisce tempi rapidi per tutto arriveranno quelle imprese ed iniziative pronte a rivitalizzare anche il tessuto economico della città. La pandemia è un monito che dobbiamo raccogliere, ci giochiamo presente e futuro se non provvediamo subito ad invertire la rotta.
ROSAMARIA SORGE
Sono convinto da molti anni, e non ho mancato di dirlo e di ripeterlo frequentemente, che sia giunto il momento di riprendere in mano la situazione e di passare dalle parole ai fatti. Altrimenti capiterà di risentire qualche nostalgico dell’indice 10, o delle “palazzine” con cinque o sei piani in più delle prescrizioni di zona, sbandierare come una vittoria la demolizione della centrale di Morandi (ossia una ennesima occasione perduta, nel caso specifico quella di disporre di un polo museale straordinario, in cui unire gli aspetti tecnico-scientifici dell’energia alle molteplici manifestazioni artistiche di un territorio come la Tuscia), ma questa volta per lamentare la perdita della Caserma Stegher, delle Carcerette ex Forni di Pio VI, delle strutture di archeologia industriale dell’Italcementi, dei capannoni del 1916 della Feltrinelli, delle acque termali, del Campanile di Sant’Egidio, delle pitture del Poligono, della veduta di Afro, (anche delle temper tarcisiane, perché no) ecc. ecc. ecc. (dopo le antiche, ormai irrecuperabili, perdite di Santa Maria e dei resti romani sottostanti o dell’Arsenale Chigiano o di tutto il resto).
Non occorrono assemblee o convegni, che già sono stati fatti negli anni scorsi, né studi professionali al lavoro in atelier avveniristici. C’è già tutto. Tesi di laurea ottime, studi approfonditi, idee espresse in mille modi. Mettiamo insieme queste cose (tenendoci distanziati e fisicamente lontani, ma in sintonia telematica): la “città che vogliamo”, i “Punti di fuga”, le elaborazioni dei cento comuni e gli studi recenti, e le idee per i concorsi e i bandi e la Street Art e tanto ancora. Anche perché non servono, fortunatamente, nuovi piani regolatori né generali né particolari (quelli ci sono, ben trascritti, e vanno solo adottati come documento storico-normativo a disposizione dei cittadini), ma occorre solo trovare nelle tantissime idee già elaborate, una sintesi operativa, affrontando con spirito costruttivo, uno alla volta, quei luoghi della città che possono – tessere di un mosaico armonioso e coerente – portare al graduale recupero, alla graduale rigenerazione e quindi al riscatto di tutto l’ambiente di vita urbano e naturale, gradualmente ma con fermezza, via via liberato dalle superfetazioni macroscopiche o minori dei decenni di sottomissione. Di vecchi studiosi che hanno riordinato il materiale ce ne siamo diversi e ci sono i giovani, con ottime capacità e grande buona volontà, per portare avanti questo programma. Sappiamo perfettamente cosa va fatto. Molti articoli qui, su SpazioLiberoBlog stanno portando alla nostra attenzione i problemi urgenti. Prendiamo contatto tra noi, chiunque voglia e abbia buona volontà e mente libera e serena. Gli esempi di come attuare le buone pratiche non mancano. Coraggio!
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Nelle mie frequentazioni del Baden Wurthemberg, ho fra le altre, notato come quel popolo tenga in gran conto il valore delle cose, non più giovani, non più attuali, ma comunque ancora utili. Mi è capitato di viaggiare in una carrozza ferroviaria veramente datata, con i sedili in legno, ma perfettamente tenuta e funzionante. Anche la pratica del regalare ciò che non serve più è ben presente. Così anche il mantenimento delle vecchie abitazioni da il segno del valore che si da a ciò che non è attuale, ma non per questo inutile. In quest’ottica, la rigenerazione per altri scopi degli impianti industriali della nostra città avrebbe un gran senso. Mi viene in mente una centrale elettrica divenuta polo museale a Roma dalle parti del gazometro. (Non ne ricordo il nome).
E dunque nel ripensare la città anche questo aspetto ha il suo perchè, l’impressione è che dovremmo recuperare valori che abbiamo lasciato diventare disvalori.
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