…AVEVA RAGIONE

di STEFANO CERVARELLI ♦

Qualche settimana fa parlai di Alex Schwazer, il nostro marciatore campione olimpico, della sua triste e allucinante avventura, culminata in otto anni di squalifica perché trovato positivo ad un controllo antidoping nell’imminenza dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, nel 2016; una condanna resa ancor più pesante per una recidività risalente ai giochi di Londra dove l’azzurro, con molta onestà, ammise la sua colpa. Colpa che nel secondo caso non ha mai ammesso, dichiarandosi assolutamente innocente e vittima di un’azione, chiamiamola malevola, che oltre a colpire lui tendeva a colpire anche, se non soprattutto, il suo allenatore Sandro Donati, maestro di sport, acerrimo combattente del doping.

Seppure la giustizia sportiva avesse fatto velocemente il suo corso, completando i tre gradi di appello e rendendo quindi la squalifica definitiva, davanti al Tribunale di Bolzano pendeva ancora il processo penale, ben più delicato ed importante, per la vita di una persona.

In quella sede il Gip, non completamente convinto delle prove contro l’azzurro, dispose un ulteriore esame delle provette affidando l’incarico al colonello Giampietro del Lago, comandante del Ris.

L’esito fu sorprendente, perché da quella perizia del colonello emersero, in maniera certa, lati oscuri sia nel trattamento del campione, sia nel contenuto stesso delle provette. Dati che facevano emergere una certa anomalia tra i valori del Dna di Alex e quelli di altri soggetti, compresi atleti di alto livello, in altre parole mancavano tracce riconducibili al campione olimpico.

Sulla base di queste considerazioni (da me riportate in maniera scarna) il Gip avanzò al Pubblico Ministero richiesta di archiviazione.

Alcuni giorni fa è arrivata la risposta del PM il quale ha accolto la richiesta del Gip, dichiarando che Alex Schwazer non doveva essere processato per il caso di positività al testosterone emerso nel controllo antidoping del Primo gennaio 2016 escludendo, però, allo stesso tempo, l’ipotesi del complotto, anche se a tale proposito, su richiesta del marciatore, si potrebbe aprire un fascicolo contro ignoti.

La Procura di Bolzano si è soffermata sui diversi punti oscuri del circuito del controllo dal prelievo all’analisi prendendo in considerazione i dati forniti dal perito anche alla luce del fatto che il risultato di quei prelievi venne reso noto soltanto il 21 Giugno 2016, dopo che la prova era stata raccolta ad inizio gennaio e dopo che per 15 giorni le provette erano rimaste ferme incustodite presso un laboratorio. La richiesta di archiviazione costituisce senz’altro la prima grande sconfitta della parte offesa (o ritenutasi tale) cioè le federazioni e l’agenzia dell’antidoping.

Terminai il precedente articolo ponendo una domanda:” E se avesse ragione?”  Così è stato.

Alex Schwazer ha avuto ragione, certo giustizia penale e giustizia sportiva non percorrono la medesima strada, quindi non c’è nessun automatismo tra archiviazione e riapertura del processo all’atleta, in quanto nella giustizia sportiva l’onere della prova spetta all’accusato, in quella ordinaria è necessario invece accertare il dolo.

Trattasi comunque sempre di una vittoria per il nostro campione e per il suo allenatore Sandro Donati, uomo, come dicevo prima, sempre impegnato nella lotta al doping nello sport e per questo, certamente poco inviso a tante federazioni.

Una vittoria nella sede più importante, quella che condiziona in maniera pesante, se non addirittura cambia, la vita di una persona. Una sentenza di responsabilità penale avrebbe avuto certo effetti devastanti sia professionalmente che umanamente nella vita dei due indagati, specialmente per Alex che ha sempre dichiarato che il suo unico pensiero, il desiderio più grande, era quello di rivelarsi innocente agli occhi della famiglia.

  Mae tutto era già chiaro nell’estate del 2016, bastava guardare i fatti per capire che qualcuno si era adoperato per incastrare Schwazer; bastava mettere in fila tutte le tracce, malamente cancellate, lasciate dai boss dell’Atletica Mondiale, tutti gli indizi che avevano grossolanamente disseminato.

“Il fatto non sussiste” ha dichiarato IL pubblico Ministero. Proprio quei fatti che senza scrupoli sono stati piegati alla logica di una Cupola che voleva colpire l’azzurro ed il suo allenatore che con le sue battaglie contro il doping dava e dà fastidio a molti.

Certo il passo compiuto nel Tribunale di Bolzano restituisce l’onore all’atleta, all’allenatore, agli uomini, ma sarà necessario indagare sui mandanti, perché la domanda è pur troppo scontata: se Alex non si è dopato, chi l’ha dopato?

La mia risposta è che non si voleva che il ragazzo, reduce da una squalifica precedente, avendone pagato completamente la pena, tornasse a vincere, e proprio alle Olimpiadi.

Ma il nostro marciatore non è stato defraudato solo delle Olimpiadi e della conseguente possibilità di conquistare la seconda medaglia d’oro dopo quella di Pechino, ma di ben otto anni di carriera, di gare, di successi; chi gli restituirà tutto questo tempo?

Ci piacerebbe sentire la voce della Federazione Italiana.

Lui intanto sta continuando ad allenarsi sulle strade di Vipiteno, suo paese di nascita  macinando chilometri su chilometri, con volontà di ferro, con lo sguardo che, oltrepassando le sue montagne, arriva fino a Tokio.

Perché la speranza è l’ultima a morire.

STEFANO CERVARELLI