La notte delle cinque lune – Il processo al Conte Everso dell’Anguillara – Estinzione dell’antica stirpe
Intervista a BIAGIO MINNUCCI a cura di ANDREA MORI ♦
Lei stesso nella introduzione al suo libro si fa una serie di domande relative al protagonista del romanzo che le ripropongo tal quali: Perché scrivere un romanzo storico sul Conte Everso dell’Anguillara? Chi era costui ? Come può venire in mente di scrivere di una figura, di secondo piano della storia patria, vissuta a cavallo tra la fine del medioevo e l’inizio dell’umanesimo, nel vasto territorio del Patrimonio di San Pietro in Tuscia? Cosa spinge ad indagare su un signorotto di una famiglia baronale romana insediatasi sul lago Sabatino nell’arco di cinque secoli ( da prima dell’anno mille al 1465 ) ed estintasi in pochi giorni “manu militari”per iniziativa della Chiesa?
La ragione immediata è dovuta alla celebrazione, questo anno, del Millennio che il Comune di Anguillara ha voluto indire per ricordare la rilevazione storica del “castrum Anguillariae”, già contea della famiglia omonima, che è appunto dell’anno 1020. Naturalmente anche la mia origine lacustre, a cui sono molto legato, mi ha spinto ad una indagine approfondita sulla storia di Everso e della famiglia dei Conti dell’Anguillara. Ma soprattutto la passione per la Storia mi ha portato a scrivere questa vicenda di cosiddetta “storia minore”. Una storia locale però, che interseca ed intercetta grandi avvenimenti storici che hanno coinvolto imperatori come Enrico IV e Federico II oppure Papi tra i più importanti della storia della Chiesa Cattolica Romana quali Pio II Piccolomini o Paolo II Barbo. La stirpe degli Anguillara viene alla luce, come la maggior parte delle famiglie baronali romane, intorno all’anno mille e precisamente si ha notizia della loro contea insediata sul lago “Sabatinus”, in un documento, la cui datazione risale all’anno 1020 ( alcuni storici sostengono la data del 1019; soprattutto il Nibby che però sbaglia un mero calcolo materiale). Il documento è conservato nell’archivio della chiesa di santa Maria in Trastevere e riferisce di un certo Conte Guido dell’Anguillara che concede diritti di pesca ad operatori del luogo.
Ma è una famiglia Baronale di cui si conosce poco o nulla e spesso viene annoverata come un ramo secondario degli Orsini- Non è così?
Diciamo subito, che la Famiglia degli Anguillara non va confusa, con la ben più conosciuta, famiglia degli Orsini come alcuni storici erroneamente fanno ( pretendendo di annoverare gli Anguillara come un ramo degli Orsini ). Probabilmente la confusione si genera perché anche gli Orsini erano insediati in tanta parte di quello stesso territorio lacuale ed anzi hanno esteso il loro dominio su l’intero bacino braccianese proprio dopo l’estinzione degli Anguillara i cui possedimenti sono stati poi annessi a quelli degli Orsini. O anche perché nell’arco di circa quattro secoli vi è stata una così ampia commistione tra le due famiglie, dovuta ad una gran quantità di unioni matrimoniali tra uomini e donne delle due famiglie, da confondere forse parte della storiografia loro inerente. Ma studiosi e storici del calibro del Sansovino o del Gregorovius non hanno avuto mai alcun dubbio sulla diversa origine delle due famiglie baronali di Roma. Non ha dubbio alcuno la stessa Vittorina Sora, valente storica dei primi anni del ventesimo secolo, che ha scritto una mirabile monografia degli Anguillara ( conservata nell’Archivio della Società Romana di Storia Patria ) in cui dimostra l’autonomia originaria delle due famiglie, nonostante i tanti legami di parentela che li hanno mischiati. Come molti altri casati baronali, anche gli Anguillara si fregiano di una leggenda che testimonia la loro mitica origine e da cui fanno derivare la legittimazione dei loro possedimenti: Due giovani fratelli affrontano ed uccidono un drago che infestava da tempo le campagne di Malagrotta a Roma, uno di loro muore; all’altro, i Principi per premio, regalano tanto territorio e tanti castelli quanti ne avesse circondati a piedi in un solo giorno; il più importante dei castelli conquistati era Anguillara, da cui la famiglia prende il nome.
Sappiamo dagli stessi sonetti del grande poeta Francesco Petrarca che fra i membri della famiglia degli Anguillara, nei secoli, spicca Il Conte Orso amico personale dello stesso Poeta. Non potevate prendere lui come protagonista del vostro romanzo?
E’ vero! Tra i tanti componenti illustri della casata, tratteggiati via, via dalla storia patria, emerge infatti, la figura del Conte Orso dell’Anguillara, Senatore di Roma per ben due volte ( 1340-41 e 1344-45 ), amico personale del poeta Petrarca che ospita nel suo castello di Capranica nel 1337. Orso avrà l’onore poi di incoronarlo d’alloro in una sontuosa cerimonia in Campidoglio nella Pasqua del 1341. L’Everso di cui si parla nel nostro scritto è il pronipote di Orso; una discendenza diretta del ramo dell’Anguillara propriamente detto per distinguerlo dal ramo di Capranica derivato da Francesco, fratello di Orso. Due rami della famiglia distinti a seguito della divisione dei beni tra Orso e suo nipote Giovanni degli Anguillara del 1346 favorita dalla mediazione decisiva del Senatore Cola Di Rienzo tribuno del popolo romano. E’ abbastanza evidente, da queste poche battute, che, nell’occuparci della vicenda storica della stirpe degli Anguillara, avremmo, in effetti, potuto scrivere della figura storicamente più rappresentativa di quella Famiglia, appunto il conte Orso, senza incorrere nel sicuro rischio di scetticismo dell’ignaro lettore rispetto alla vicenda raccontata. Oppure avremmo anche potuto scrivere di altri importanti membri di quel casato, Pandolfo I o Pandolfo II, che, fra il dodicesimo e il tredicesimo secolo, svettano nella intricata e cruenta vicenda storica tra i guelfi e ghibellini. Ma si è voluto puntare l’attenzione sul Conte Everso dell’Anguillara soprattutto perché è sostanzialmente l’ultimo conte della sua stirpe prima della estinzione completa della famiglia.
Quindi la vera ragione dell’oblio storico dell’antica stirpe degli Anguillara è la loro prematura estinzione?
Esattamente. Nel luglio del 1465, la Chiesa, guidata da Papa Paolo II, mette in piedi un esercito degno di una crociata in terra santa, per muovere guerra agli Anguillara e debellarne la potenza che essi avevano costituito nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, soprattutto ad opera del conte Everso. L’esercito “ crociato”, comandato dal Cardinale Forteguerri, composto o sorretto dalle principali Signorie e Regni del secolo quindicesimo ( tranne Firenze e Venezia) capeggiato da molti capitani di ventura dell’epoca, sostenuto dal Re di Napoli e dal Duca di Montefeltro, ( lo Sforza fu neutrale ma di una neutralità molto poco chiara ) in pochi giorni si impadronisce di tutte le rocche e i castelli degli Anguillara: Ronciglione , Capranica, Cerveteri, Vetralla, S. Severa e tutte le altre. Una operazione lampo giustificata dalle accuse di prepotenza e malversazione del Conte Everso illustrata nei “Commentari” di Pio II Piccolomini e più estesamente ripresa nel libello “ Eversana Deiectio” del Cardinale Jacopo Ammannati ( Piccolomini) segretario particolare del Papa. Una nefanda prepotenza quella di Everso che però, all’atto della azione militare della Chiesa, è cessata definitivamente perché il perfido Conte è già morto nel settembre del 1464 ( quasi un anno prima).
Ed allora ci dica quali sono le vere ragioni dell’azione militare della Chiesa contro gli Anguillara?
E’ legittimo pensare che le motivazioni addotte dalla Chiesa non fossero riposte nella perfidia del Conte dell’Anguillara ma bensì in altre più prosaiche ragioni. E quest’ultime sono anche l’altro importate motivo che ci ha indotto a trattare di Everso. Le rocche e i territori di cui il Conte si è impossessato e che ha legittimato attraverso acquisti o servigi resi in cambio, estendono di molto il patrimonio originario della sua famiglia. Un patrimonio che nelle intenzioni del conte avrebbe dovuto costituire il nucleo fondamentale di una Signoria sempre sognata. Ma quei possedimenti sono disseminati, quasi tutti, lungo l’ultima parte della via Francigena: l’unica strada che i pellegrini del nord percorrono verso la Città Santa. In breve possiamo dire che la Chiesa non può permettere che, un’arteria così importante, sia controllata da una persona non totalmente assoggettata alla sua volontà. Ma c’è di più. Il contenzioso tra Everso e la Chiesa si estende anche sul possesso di Tolfa. Il Conte, tra i primi, comprende l’importanza di quel territorio dove, proprio allora, si scoprono le cave di allume tra le più ricche ed importanti di Europa. Naturalmente questo non sfugge alla Curia e al Papa stesso. Anzi con i notevoli ricavi della vendita dell’allume in tutto il mondo conosciuto, la Chiesa istituisce il fondo per le crociate in Terra Santa, divenuto l’assillo quotidiano degli ultimi anni di vita di Pio II. E’ quindi chiaro che il Papa non può permettere che quel territorio venga governato e controllato da altri se non direttamente ed esclusivamente dalla Chiesa.
Perciò l’annientamento del casato degli Anguillara risiede nel solo contrasto economico e territoriale con il Papato?
Non credo. Infatti noi ci permettiamo di avanzare anche un’altra tesi, che emerge dalla nostra ricerca, su un’altra delle ragioni che portano ad una così repentina estinzione di quella famiglia baronale. In estrema sintesi si può dire che gli Anguillara, non hanno mai avuto, nella loro secolare storia, appoggi e protezioni importanti nella Curia Romana in grado di rappresentare e difendere le ragioni della loro espansione territoriale e di potere. Cosa che avviene anche per altre famiglie debellate, distrutte o ridotte al silenzio come ad esempio I Prefetti di Vico o i Malatesta di Rimini ed altre. L’esatto contrario di ciò che si verifica per altre stirpi baronali di Roma che, attraverso gli altolocati appoggi nella Curia Romana, rappresentati da membri appartenenti alle loro famiglie, possono estendere il loro potere, i loro beni e le loro ricchezze fino ai giorni nostri o quantomeno fino al XIX secolo. I Colonna, Gli Orsini, i Caetani,i Della Rovere, i Farnese, i Savelli (solo per citare alcuni di quei casati) che hanno avuto tra i membri delle loro famiglie altissimi prelati, tanti Cardinali e persino molti Papi, hanno potuto contare su protezioni ed appoggi ai massimi livelli della gerarchia ecclesiale per garantire l’ascesa del loro potere. In questo senso è illuminante il saggio di Sandro Carocci – il nepotismo nel medioevo – Papi, Cardinali e famiglie nobili. Tutto questo giustifica (e non altro) sostanzialmente e storicamente non solo i motivi che hanno indotto la Chiesa a perseguitare i figli di Everso (già morto), Francesco e Deifobo eredi universali del patrimonio degli Anguillara. Ma anche a praticare, se non decretare ufficialmente, una “damnatio memoriae” nei confronti del Conte ribelle per gli anni a venire.
Mi sembra, in effetti che la scelta di Everso quale protagonista del vostro libro sia dovuta anche alla tumultuosa ed interessante epoca in cui la sua vicenda umana e politica si svolge: fine del medioevo-inizio umanesimo. Sbaglio?
No! Anzi, scrivere di Everso significa anche approfondire l’analisi di una epoca di profondi cambiamenti, con l’avvento imperioso dell’Umanesimo, perché l’inquieto Conte sembra essere la personificazione concreta di quel tumultuoso tempo: un tipico prototipo della sua epoca. Il feudalesimo si chiude dando vita ad un profondo processo di rinnovamento della società, delle Istituzioni e del mondo: il sorgere dell’umanesimo. L’uomo al centro dell’universo non può più certo tollerare istituti giuridici e convenzioni sociali legati al chiuso del feudo. L’ultimo vero Conte dell’Anguillara è, in questo senso, un uomo del suo tempo con le profonde contraddizioni che lo caratterizzano. E non solo le contraddizioni legate alla sua indole di guerriero, di nobile e( per molta parte della sua vita) di difensore della Chiesa ma soprattutto quelle legate alle trasformazioni che attraversano una epoca di transizione e che incidono sulla sua stessa vita.
Come mai, dopo le ampie e approfondite ricerche storiche compiute, ha scelto (insieme alla sua coautrice) la forma di romanzo anziché di saggio storico?
La forma di romanzo storico si è scelta per non caricare di significati diversi una vicenda di cosiddetta “storia minore” che non permette valutazioni ”altre” rispetto alla rigidità e, tutto sommato, alla ristrettezza delle fonti documentali a disposizione. Intendiamoci: il lavoro ha richiesto approfondite ricerche in vari Istituti, archivi e biblioteche ( non solo a Roma) con la consultazione di decine di storici, di tutte le epoche, che hanno scritto sull’argomento , ma rimane tuttavia un lavoro circostanziato alla storia del rappresentante più significativo di una famiglia baronale prematuramente estinta. Una stirpe di cui hanno scritto in modo pressoché definitivo molti storici anche del secolo scorso e di cui purtroppo si è persa la memoria storica anche nei luoghi dove i Conti dell’Angullara hanno maggiormente operato (soltanto il conte Everso evoca ancora un lontanissimo , equivocato e sfocato ricordo tra gli abitanti di quei territori). Poteva perciò essere ridondante e forse stucchevole riproporre una storia più volte raccontata con la dovizia dei particolari a disposizione. Il romanzo in effetti non si limita alla storia in sé ma dà l’opportunità di spaziare e di formulare giudizi e visioni personali dell’autore, non ingessate dalla carenza di fatti documentati. Pur mantenendo fermi i capisaldi di tempo, luoghi e personaggi relativi alla storia, il racconto romanzato dilata la possibilità di giudizio sui personaggi che molto spesso, nelle storie minori, non viene espresso o è parziale e limitato. D’altronde la storia di Everso , ultimo vero Conte della famiglia degli Anguillara propriamente detta, ribelle e avventuroso capitano di ventura, si presta molto ad un romanzo.
Nel sottotitolo del libro emerge l’essenza tematica del romanzo: ”il processo al Conte Everso dell’Anguillara”. Ce ne vuol parlare?
Si ! Grazie della domanda perché in effetti il processo è il cuore del romanzo. Intanto perché nella storia non si ha notizia di un processo intentato nei confronti di Everso. E soprattutto perché l’invenzione del processo al Conte con l’accusa di malversazioni, abomini e misfatti formulata dalla Chiesa è funzionale alla possibilità di un equilibrato giudizio sulla vicenda storica relativa non solo al Conte Everso ma all’intera famiglia degli Anguillara. Il processo è collocato in un drammatico sogno nell’ultima tragica notte del Conte, ma le accuse sono vere e documentante perché riprese dai “Commentari “ di Pio II e soprattutto dal libello “Eversana deiectio” (la disfatta degli Eversani) scritto dal Cardinale Jacopo Ammannati. Ma a petto di tanta potenza mediatica e divulgativa delle accuse lanciate dal supremo vertice della Chiesa non vi è traccia storica di alcuna forma di difesa dell’accusato. Nell’immaginario processo, il lavoro di ricostruzione della difesa si affida ad una ricerca storica per interpolazione che possa cioè valutare fatti e documenti della vita del Conte per giustificarne la condotta civica, morale e militare così da confutare in generale le accuse mosse a suo carico. Un metodo di ricerca storica più che discutibile ma purtroppo il solo utilizzabile se si vuole provare a riequilibrare il peso della difesa rispetto alla preponderante accusa. Quindi il romanzo è lo strumento più indicato per esprimere con maggiore libertà il pensiero degli autori , nel vincolo inscindibile della ricerca storico scientifica ma anche nella più adeguata sensibilità narrativa.
A proposito, perché quel titolo così immaginifico: “La notte delle cinque lune”?
Si, effettivamente è un titolo fantasioso tuttavia risponde a delle motivazioni reali. Le cinque lune sono parte dello stemma araldico della famiglia Piccolomini e quindi fanno parte anche dello stemma pontificio di Papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini, principale nemico del Conte dell’Anguillara. La notte è quella tragica, attraversata dal sogno del processo ad Everso, alla fine della quale il Conte muore per un blocco intestinale di cui soffriva da tempo ( ma forse di crepacuore). Si può dire ironia della sorte ché i due antagonisti muoiano l’uno a distanza di pochissimi giorni dall’altro? Papa Piccolomini muore il 14 agosto 1464 ed il Conte Everso, venti giorni dopo, il 4 settembre dello stesso anno.
ANDREA MORI