Giallissimi – 1/4. La pipa di Maigret
di SILVIO SERANGELI ♦
E così sono ricomparsi i tantissimi gialli che sono stati, e lo sono ancora, una mia scelta da quando ero ragazzo. Certo la letteratura italiana, i classici e via discorrendo, ma accompagnati dai gialli, acquistati nelle edicole, nei mercatini (ricordo con piacere le zingarate con mia moglie Elena alla Libreria Nanni sotto i portici a Bologna e al mercatino dell’Antoniano). Per dire che ho messo insieme tutto Maigret (Mondadori, edizione Il girasole, Biblioteca economica, Le inchieste del commissario Maigret, uscite in contemporanea con lo sceneggiato di Gino Cervi) e così tutta la Serie Gialla Garzanti con le tre scimmiette, compreso Ellery Queen, e quella Casini con la civetta nera, e così gran parte degli autori del giallo, quando non era ancora scoppiata la librosità di questi ultimi anni.
Per dire che quando ho letto l’impareggiabile inchiesta della ditta Bisi&Porro, sono rimasto sorpreso, e compiaciuto, che quei libri ce li avevo tutti e tutti li avevo letti. Con il mai dimenticato, carissimo compagno di vita televisiva e culturale Maurizio Colaiacomo abbiamo coltivato per anni due passioni parallele: io quella per i gialli, lui per i fumetti, scambiandoci notizie e qualche dritta per gli acquisti dell’usato. Un punto di riferimento non male negli Anni Ottanta per noi era la bottega di Pierluigi Casalini in viale Matteotti, dove ora c’è una merceria. I gialli di quando ho iniziato a leggerli erano un po’ come i film di Totò, di second’ordine, una paraletteratura, secondo la definizione di Oreste del Buono, che in molti leggevano e gettavano via, come un giornale qualsiasi. Del resto si trattava di quadernetti in cui spiccava la copertina coloratissima, rilegati con un filo di colla con una carta di poco valore, il testo con i caratteri molto piccoli e a due colonne. Una rivistina settimanale, un passatempo da acquistare all’edicola, da portare dovunque: magari per ammazzare il tempo nei lunghi viaggi in treno, come mi è capitato spesso, quando non c’era il Frecciarossa. Un piccolo tesoro, perché insieme al romanzo trovavi il Cerchio Verde che era il settimanale d’informazione e narrativa gialla, l’Autore della settimana, la rubrica con le date legate al mondo dei gialli, e perfino la posta. In alcune annate apparvero La rivista di Ellery Queen e un breve racconto. Dei piccoli gioielli, che costavano poco, e che ora apprezzo ancora di più, ritrovandomi a sfogliarli dopo tanto tempo, come l’ineguagliabile La rivista di Ellery Quenn. Il mensile conteneva: Il romanzo lampo, Quattro racconti polizieschi, Le storie bizzarre, e le rubriche: I segreti della polizia scientifica, I gialli sullo schermo, I gialli in vetrina, il tutto al prezzo di 120 lire del 1957.
Perché questi gialli? Benissimo l’intreccio, la suspense, la costruzione dei personaggi, e bene anche i finaloni ricchi di colpi di scena e di sorprese. Ma quello che mi ha sempre interessato è il contesto, il carattere delle persone, il mondo in cui si svolgono le azioni, le atmosfere che ti afferrano e ti danno piacere. Un lettore attento e smaliziato, in gran parte dei casi, al colpevole ci arriva dopo una cinquantina di pagine.
Perfino il meccanismo della celebre camera chiusa, di cui è maestro Carter Dickson, si svuota e perde l’aura del mistero quando viene svelato. Del resto, come spiegava il grande regista nella lunga conversazione con François Truffaut, pubblicata con il titolo Il cinema secondo Hitchcock, non è importante il colpevole, ma l’atmosfera, il crescendo che gli ruota attorno. Tanto vale rivelarlo subito al pubblico che se ne accorgerebbe facilmente perché è interpretato dall’attore principale.
Così i personaggi ti prendono sotto braccio, ti accompagni nei luoghi, li imiti nel tuo immaginario. Da ragazzini facevamo Zorro, zag zag, e Tarzan, ohoooo, a me capita di introdurmi in questi commissariati pieni di fumo, lungo le strade buie e deserte, e … mi è capitato di iniziare a fumare la pipa, leggendo sul balcone fino a notte i gialli del commissario Maigret, ancora prima che Gino Cervi ne facesse l’esaltazione televisiva. Come resistere? Leggevo e tiravo lunghe boccate di buon tabacco con la fortuna che due cugini di mia moglie erano grandi fumatori e mi passavano le miscele che componevano e lo zio fabbricava pipe per passione.
La pipa di Maigret e poi, al primo viaggio a Parigi, l’uovo sodo con la spruzzata di sale in un bistrot (la mitica brasserie Dauphine non è mai esistita) e un goccetto di rosso, poi nella sera umida e fredda un goccetto di calvados, proprio come il commissario, e due passi nel lungo Senna con il bavero alzato e la pipa accesa. E la la paella, il gazpacho del Pepe Carvalho di Manuel Vázquez Montalbán, gustate sul lungomare di Barcellona? Qui da noi i tortelloni alla zucca, i tortellini in brodo di gallina, il culatello e il castrato alla trattoria del Biassanot, con l’insegna del Gatto Nero, nella Bologna sotterranea e dei canali del sergente Sarti Antonio di Loriano Macchiavelli.
Confesso che nell’attualità del mondo giallo non mi suscitano particolari appetiti i cibi pesanti che Adelina prepara a Montalbano: sono un bel ricordo gli arancini che scoprimmo con gli amici a Giarre, durante un campeggio in Sicilia. Rifuggo dagli ettolitri di wisky tracannati da tutti, proprio tutti: detective e assassini. Meglio i luoghi: la Oxford dell’ispettore Morse con visita e pranzo nei pub: poca luce, tavoli senza tovaglia e tanto calore umano con le storie e le gesta appesa ai muri che ti fanno sentire un po’ un intruso. E i vicoli stretti, i wynd e le viuzze, le close di Edimburgo con le ripide scalinate dove si muove, fra un’abbondante bevuta e l’altra, il John Rebus di Ian Rankin. E il vagabondare, con qualche prudenza, nella ragnatela del Panier, il quartiere più antico di Marsiglia, coloratissimo e vociante di tutte le etnie, seguendo le mosse del Fabio Montale della trilogia di Jean-Calude Izzo. Un cenno alla Londra vista e rivista: la birra scura, fish and chips, Camdem, i canali delle periferie, la visita alla Mecca, la Terra Santa di tutti noi, al Museo di Sherlock Holmes di Baker Street numero 239, accanto al 221B, che era l’indirizzo scelto da sir Arthur Conan Doyle per la residenza dell’inarrivabile genio. Nell’incomparabile, singolare bellezza di Napoli, è stata la faticosa camminata con guida nei luoghi dei Bastardi di Pizzofalcone e del commissario Ricciardi dell’ultra prolifico Maurizio De Giovanni con il colpo di fortuna di vedere girare alcune scene della fiction con Ricciardi-Guanciale davanti la chiesa di San Ferdinando di piazza Trento e Trieste con di fronte il Gambrinus e piazza Plebiscito.
Concludo queste mie sensazioni gialle col dire che alle canne e alle sigarette compulsive di Rocco Schiavone-Giallini preferisco qualche boccata di sano toscano, e non mi sento per nulla attratto da Aosta, perché non sopporto il freddo e la neve per me è sempre stata una sciagura, che blocca la circolazione e ti fa chiudere in casa. Capita di questi tempi di moderata costrizione in casa di rimettere a posto la biancheria, di scartare l’abbigliamento che sta lì da tempo e non indossiamo più, e a me capita di fare ordine e pulizia delle tante, troppe librerie che occupano gran parte delle pareti dei due piani di casa. Un’operazione faticosa e dolorosa, perché ti ritrovi a sfogliare tanti libri dimenticati, comprati e letti chissà quando, finiti per mancanza di spazio in seconda fila o nascosti in qualche interstizio. Una sorte immeritata, ma è il prezzo da pagare per tanti anni trascorsi nella nostra famiglia con i libri come compagni di vita.
SILVIO SERANGELI
Nel 57 ero ancora piccolino, ma a casa mia, sul comodino di mia madre c’era sempre un “Giallo Mondadori” e ricordo anche la rivista i Ellery Queen, A dire il vero non mi sono mai piaciuti particolarmente i gialli, come non mi è mai piaciuto risolvere gli enigmi della Settimana Enigmistica, mia madre passava da un giallo ad un rebus e viceversa. Ma insomma in casa ce n’erano parecchi. Io, debbo dire, preferisco di gran lunga la fantascienza. La domenica mi giravo i banchi di Porta Portese per vedere se c’era qualche titolo stuzzicante, a volte compravo un vinile dai russi… I russi per la musica tocca lasciarli stare. Debbo però dire che mentre Scherlock Holmes non mi ha mai attratto, Maigret invece si, forse proprio per la pipa e le atmosfere. Fumare la pipa è un rito, non è semplicemente fumo. E’ creare una atmosfera… ma lo capisce solo chi la pipa la fuma come si deve. Ecco forse con Maigret era proprio questa atmosfera a creare una certa sintonia. Un paio di pipe le ho comprate propri a Civitavecchia, in un laboratorio dalle parti di Porta Tarquinia. Chissà se c’è ancora.
Tempo fa mi venne l’idea di catalogare tutti i miei libri i tanti gialli di mia moglie, i miei di fantascienza e romanzi di ogni genere… arrivato a quota 300 ho abbandonato. Quello che mi scoccia è non sapere come salvarli dalla polvere che inesorabilmente si appiccica alla carta in una sorta di processo inevitabile.
Chissà perchè una volta letti tendiamo a conservarli, chissà per quale profondo motivo, Chissà perchè i miei raccolsero i numeri del 75 e 76 del Tempo e dell’Espresso. Chissà perchè non me ne libererei mai. Ogni tanto, a distanza di anni, li ho aperti, li ho sfogliati e mi sono accorto che la politica così era così è. Forse il senso del presente abbisogna di sapere com’era il passato?
"Mi piace""Mi piace"