Vincolo di mandato: orpello inutile o strumento di garanzia?

di MATTEO VECCHI

In questi giorni è tornato prepotente sulla scena del dibattito politico nazionale e locale il tormentone sul vincolo di mandato. Secondo alcuni un inutile orpello, secondo altri una vittoria del garantismo e dell’indipendenza per ciascun politico. Ma che cosa si intende, giuridicamente, per vincolo di mandato?

È un istituto giuridico collegato con la rappresentanza, si applica per esempio a coloro che entrano a far parte di un organo collegiale, imponendo loro di attenersi alle istruzioni ricevute da coloro che li hanno nominati.

Nella Costituzione italiana vige il principio esattamente opposto al vincolo di mandato ossia il suo espresso divieto. L’articolo 67 afferma infatti che «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.»

É proprio l’articolo 67 a permettere i famosi “cambi di casacca” di un deputato (o senatore) che decide durante l’arco della legislatura di passare da un gruppo parlamentare ad un altro, senza dover rendere conto a nessuno, nemmeno agli elettori che in un primo momento avevano incaricato il determinato esponente di un determinato partito a rappresentarli. Ovviamente il non dover rendere conto agli elettori, durerà fino alla successiva tornata elettorale quando il politico, nel caso in cui si volesse ricandidare, sarà costretto a trovare una giustificazione plausibile da dare ai suoi elettori al fine di sperare in un dirottamento di voti dal “vecchio” partito ad un altro che gli consentano comunque un determinato sostegno.

Perché è così importante concedere questo tipo di garanzia? Ma soprattutto: ha ancora senso oggi?

Entriamo ancor di più nel dettaglio. Al momento dell’elezione di un candidato/a, il partito politico che lo ha posizionato fra le sue fila dovrà attendere per festeggiare; avviene un fondamentale passaggio. Quello dell’iscrizione da parte dell’eletto in un determinato gruppo parlamentare. Il gruppo parlamentare infatti differisce giuridicamente, economicamente e fisicamente dal partito politico. Questi sono lo strumento di organizzazione della presenza dei partiti politici all’interno delle Camere. Perché è così importante “slegare” il partito politico dal candidato?

Semplice, i padri costituenti credevano che al momento dell’elezione, il deputato facesse solo ed esclusivamente gli interessi dell’Italia e del popolo italiano e che non contasse poi così tanto l’appartenenza ad un partito quanto il fatto di essere rappresentante del popolo. Il programma politico diventa perciò un canovaccio da dover seguire tenendo però sempre bene a mente che non si è più rappresentanti di una parte del popolo ma di tutto questo. Non guardando ai singoli interessi di partito ma della comunità tutta.

Viene così totalmente meno l’esigenza di dover legare il singolo soggetto ad un partito politico.

È anche vero che anni fa, prima della grande crisi dei partiti politici legata a “mani pulite”, le ideologie erano saldamente attaccate ai simboli dei partiti pertanto l’appartenenza era sostanzialmente sottintesa non per l’arco della legislatura ma per l’intera vita. Ad oggi quindi ha ancora senso o conviene fare una revisione così da evitare continui Walter? Il legislatore, nell’ambito del senato della repubblica, ha posto dei limiti. Dal 2017 infatti i senatori possono sì passare da un gruppo all’altro, tuttavia non possono formarne uno nuovo, diverso da quelli ammessi al momento dell’inizio della legislatura. Tuttavia in nessun caso è supposta la decadenza dagli uffici.

Secondo chi scrive questa è una regola sacra di garantismo, pur comprendendo che questa in particolare possa far storcere il naso con estrema facilità in quanto ricorda, per alcuni aspetti, un tradimento. Ipotizziamo un partito politico, magari con percentuali elevate, che risponde completamente alle volontà di una società privata. La società farà ovviamente gli interessi di sé stessa, mascherando interessi privati per pubblici. Si creerebbe un domino inquietante all’interno del quale sarebbe difficile riuscire a trovare fine. E gli esponenti politici stessi di quel partito ragionerebbero con logica “aziendalista” piuttosto che politica- ideologica.

Tranquilli comunque, è già successo ed è la storia del movimento 5 stelle.

Sia benedetto dunque il garantismo e sempre, sempre, sempre, ben vengano gli interessi del popolo italiano tutto. Per chi si indigna, sarebbe forse il caso di iniziare a scegliere meglio i propri rappresentanti… evitando così di stupirsi anche quando i neo-eletti del partito di maggioranza relativa cambiano maglia una volta a settimana.

MATTEO VECCHI