UNA COLLANA PERFETTA
Intervista a GIUSEPPE NUCCETELLI a cura di ETTORE FALZETTI ♦
Iniziamo con una domanda d’orizzonte: di cosa parla, in sintesi, il romanzo?
Si potrebbe dire che le risposte a questa domanda sono due: una a un livello più epidermico, l’altra a uno più viscerale.
Al primo livello, la storia parla di amore e di scuola: di Nina, studentessa di un liceo sperduto nelle periferie romane, e del suo prof di filosofia, al quale lei si rivolge per condividere il peso di tutto il suo spaesamento esistenziale, in particolare per quanto concerne appunto l’amore.
Il professore, però, non dispone di risposte del tipo di quelle che probabilmente Nina desidererebbe: ovvero di principî più o meno universali, o essenziali, rispetto ai quali orientarsi. Egli non può offrirle altro che detriti esistenziali, attraverso la narrazione di ciò che gli è stato dato da vivere.
Il ritmo di questa narrazione s’intreccia però al tempo della vita che Nina e il prof condividono nella scuola, con tutto il suo fermento di eventi, incontri, paradossi, sofferenze, così che tra i due piani si generano via via delle risonanze complesse.
Ancora un altro libro sulla scuola? Ancora un altro libro sull’amore?
Be’, c’è un capitolo che spero possa togliere, a chi lo leggerà, questo genere di perplessità: quello nel quale uno studente di terza liceo (si chiama Bevilacqua) di solito non particolarmente interessato alla filosofia, incontra Platone in un modo tutto suo (sul quale non mi dilungo per non “spoilerare”). Ecco, da questo incontro nasce un Platone inedito, nonostante lo si studi da quasi venticinque secoli, come di fatto avviene non così di rado nelle aule. Qualcosa di analogo, o meglio di omologo, si avvera anche in ogni incontro amoroso significativo. Per questa potenza intrinseca di rigenerazione, mi sentirei di dire, non si potrà mai smettere di pensare, parlare e scrivere sull’amore e sulla scuola, a condizione naturalmente di essere all’altezza di tale compito. Su quest’ultimo aspetto, per quanto riguarda “Una collana perfetta”, la parola passa naturalmente ai lettori.
A proposito, come nasce questo titolo?
È il regalo di un’amica, tra le poche persone alle quali chiesi, appena terminata la primissima stesura, di leggere il manoscritto. In quel momento, il romanzo non aveva ancora titolo. Dopo la lettura, mi disse che le era piaciuto molto e aggiunse: “Secondo me, deve chiamarsi così”.
Pensai subito che avesse ragione, ma non dirò perché: chi vuole saperlo dovrà leggere il libro fino alla fine.
Bene, torniamo ai livelli di cui parlavi prima. Dicevi che sotto a quello, definito ‘epidermico’, del quale abbiamo finora parlato, ce n’è un altro più viscerale, o sbaglio?
No, non sbagli, o almeno lo spero. In realtà, mi sono reso conto mentre scrivevo, che – al di là della struttura narrativa – c’era qualcosa che legava in profondità i due piani della narrazione, un filo rosso che li percorreva entrambi. Aveva e ha a che fare proprio con quella potenza di indefinita rigenerazione che li accomuna, e di cui parlavamo poco fa.
Il fatto è che l’amore e la scuola sono sfere dell’esistenza essenziali per ciascuno di noi proprio perché perennemente in grado di sorprenderci, cioè di condurci verso delle verità mai banali.
Le persone, quando riparlano della scuola o di esperienze amorose autentiche, spesso si trasformano: gli occhi si accendono, la voce si anima. Non per le ragioni che si è soliti evocare in questi casi, mi sembra, bensì perché si tratta di dominî dell’esperienza nei quali sentono di aver vissuto come si dovrebbe, ovvero in una condizione di spaesamento sublime.
Si tratta di una condizione di elevazione assoluta, che non ha nulla quindi di adolescenziale o di romantico, ma ha più a che fare con il bene della nostra esistenza. Ecco, forse proprio questo ‘”bene” costituisce il livello viscerale che il libro aspira a riflettere.
A proposito di questa scuola come luogo di esperienze privilegiate, fa uno strano effetto – te lo dico perché prima di questa intervista mi sono naturalmente addentrato un po’ nel racconto – leggerne ora che le aule sono deserte. Tu cosa ne pensi?
Sì, è abbastanza scioccante. Anche a me, quando capita di riaprire quelle pagine magari per rivedere qualcosa, ho la strana impressione che non pochi mesi ci separino da quella dimensione, bensì una cesura molto più consistente. È come quando ripensi a qualcosa del passato e ormai non più di casa nel mondo. Con la differenza che da queste cose siamo separate dai decenni e dal loro fisiologico lavorio, mentre nel nostro caso si tratta di un passaggio repentino e traumatico, però di un genere nuovo, non paragonabile ad esempio quello di una guerra, e quindi tutto da elaborare.
In questo senso, non dico “Una collana perfetta”, ma la letteratura potrà e dovrà dare un contributo, come d’altra parte è sempre accaduto proprio con le guerre. Qui, come detto, c’è qualcosa d’altro, e andrà anche raccontato per poter diventare vissuto nel senso più proprio.
Restando invece al romanzo, credo che una pagina spesa a mettere nella giusta evidenza tutto lo spessore esistenziale della scuola, nel senso in cui ne parlavamo prima, contribuisca a rendere quello spessore del tutto attuale anche se in questo momento non attuato, e a prevenire tragiche derive.
Quanto c’è di autobiografico nella narrazione?
Tutto e nulla. Ovviamente, non si può scrivere di qualcosa che non hai vissuto, o fantasticato sui margini della vita “reale”. Però, nel caso del testo, non c’è una pagina – sia per quanto concerne l’amore che la scuola (visto che, come sai, effettivamente io insegno) – che rifletta direttamente il corso della mia esperienza. Tutto è stato, per così dire, triturato e rimescolato, per poter ricostruire sulla pagina quel filo che – nel caos dell’esistenza – non è semplice non perdere di vista.
Il libro è stato accettato da un editore ma non è ancora pubblicato, vero?
È così. Il libro è stato inserito tra le proprie proposte dall’editore Bookabook. Lo si può trovare seguendo questo link, al quale sono anche disponibili delle anteprime del testo: https://bookabook.it/libri/una-collana-perfetta/ .
Per essere chiari, Bookabook è un editore che lavora con il crowfunding: significa che il testo verrà effettivamente pubblicato e distribuito soltanto se almeno 200 lettori, entro la fine del 2020, lo pre-ordineranno anche in formato digitale sul sito stesso.
In ogni caso, chi lo pre-ordina ha la possibilità di scaricare da subito le bozze, il che è l’aspetto più interessante del tutto.
In che senso?
Nel senso che varie persone che, dopo aver appunto pre-ordinato il volume, stanno leggendo le bozze mi stanno facendo conoscere opinioni, critiche, suggerimenti in vari casi davvero interessanti e preziosi. Ho già un ricco repertorio di elementi di questa natura dei quali terrò assolutamente conto nella revisione finale. Ecco che il meccanismo del crowfunding – che per altri versi costringe l’autore al compito, per me assolutamente gravoso, di farsi promotore di se stesso, in quanto il libro non esiste ancora fisicamente – configura un nuovo episodio, nella saga dell’industria culturale, del circolo ermeneutico. È come se il lettore, per dirla con Umberto Eco, entrasse nella fabula senza bussare al campanello e la cooperazione interpretativa si trasformasse in una cooperazione creativa allargata che per me si sta dimostrando molto, davvero molto, stimolante.
Un’ultima domanda: nel tuo libro ci sono molti personaggi: a quale di essi sei più affezionato?
Da un certo punto di vista, al gatto Poe, detto anche Poe-mìcio, e a volte Poe-mìcione. Però, il mio cuore batte molto anche per la Prof. Baldini. Quando entra in scena, se ne dice: “Per la Baldini, la vita non è stata un dono. Per lei, la vita è stata un mutuo, da rimborsare in scomode rate quotidiane a interessi crescenti”.
Si tratta di una figura archetipica, nella quale si fondono molte persone che ho conosciuto nel corso della mia esperienza professionale e si sintetizzano tante contraddizioni, tante qualità e tante fragilità che bisognerebbe raccontare e ripensare di più.
ETTORE FALZETTI