ULTIMISSIME DAL MEDIOEVO. II. PROGRAMMI E NUOVI INDIRIZZI DEL 1974 – PIANO DEI SETTORI PRODUTTIVI
di FRANCESCO CORRENTI ♦
Riprendo queste righe di introduzione alla seconda puntata delle “Ultimissime dal Medioevo” dalla mia Premessa del curatore all’album Civitavecchia veduta di Arnaldo Massarelli, del 2012, senza modificarne forma e contenuti, anche quando le situazioni si sono modificate o, purtroppo, non sono più tra noi persone che lo erano al tempo.
Ricordavo, in quella sede, la mia iniziativa, approvata dalla Giunta, ma ritenuta per vari motivi criticabile dai più, di trasferire la sede della Ripartizione Urbanistica nell’antico casale del custode della Tenuta Antonelli, la grande “Vigna” di origine settecentesca con vari edifici e viale a pergolato su cento pilastri, che era divenuta proprietà comunale da destinare a parco pubblico. Questo, perché il carattere dato all’arredo ed alle finiture, con impianti esterni colorati come all’epoca si usavano per le strutture industriali, comodi sedili imbottiti per il pubblico, attrezzature tecniche moderne, manifesti e plastici alle pareti, e poi gli antichi pavimenti in sampietrini al pianterreno mantenuti e così le travi del tetto a vista, non avevano nulla a che vedere con lo “stile” burocratico-dirigenziale in voga e ancora meno con la situazione degli altri uffici comunali di Civitavecchia. Erano uffici dislocati in varie sedi e nella palazzina ex-GIL senza logica, spesso in disordine e molto trascurati, dove i segnali di modernità eran dati dalle tende scorrevoli (in origine) “Luwar” alle finestre, ridotte a brandelli, con catenelle bloccate e binari divelti dal muro. Nella “dacia”, invece, nonostante il soprannome che nelle intenzioni degli inventori alludeva forse a situazioni di ozio e privilegio, il lavoro procedeva con l’entusiasmo, l’intensità e l’approfondimento che ci proveniva – e lo aveva ben compreso Nico Di Cagno, uno dei tre progettisti del PRG e proprio in quegli anni, con altri notissimi urbanisti, del quartiere di Spinaceto a Roma – dal sentirci giovani (e lo eravamo anche di età, non come adesso), architetti e geometri freschi di diploma, e davvero protagonisti di un esperimento, quello di introdurre i metodi dei County Councils britannici, che avevano rappresentato uno dei primi esempi di partecipazione democratica al governo del territorio. Ed erano giovani anche gli amministratori.
In effetti, nel periodo tra il 1970 e il 1976, durante il quale Mario Venanzi è stato vice sindaco ed assessore all’Urbanistica (nella Giunta Guglielmini) e poi per due volte sindaco, con assessore all’Urbanistica prima Roberto Tamagnini e poi Giorgio Vercesi, mi è stata data la possibilità di impostare secondo la mia formazione e le mie convinzioni la struttura della Ripartizione Urbanistica ed avviare una serie di ricerche, analisi e verifiche sul Piano Regolatore Generale, entrato in vigore nel 1968, avviandone l’adeguamento alla legislazione sopravvenuta e curando l’elaborazione di studi sull’assetto del territorio, piani attuativi pubblici per insediamenti residenziali e produttivi, iniziative di recupero del patrimonio storico e provvedimenti in campo culturale e sociale, con assoluta libertà.
Questa attività e il contemporaneo risveglio d’interesse per il passato della Città e per la partecipazione alla vita politica hanno consentito al Comune di rispondere tempestivamente alle esigenze di un crescente sviluppo urbanistico, economico, sociale e culturale e posto le premesse per le successive tappe, con risultati raggiunti solo molti anni dopo. Tra i protagonisti di quegli anni di appassionato lavoro, il mio ricordo commosso va a tre amici carissimi, scomparsi senza aver visto i frutti del loro impegno, Archilde Izzi (il sindaco che mi ha assunto in servizio), Alfio Insolera e Giovanni Maria Amicizia.
Con loro, voglio ricordare qui, a proposito dell’Ufficio-Dacia, Guerriero Nenna e Bonarino Loru, due straordinari artigiani-artisti, ma anche imprenditori e autentiche persone di cultura. Il primo, inventore geniale, mi affiancò nella realizzazione della porta Ottimo Consiglio, nel 1972, e di altri bassorilievi in cemento a Civitavecchia, Roma, Tivoli, Trevignano ecc. e poi, dal 1974 al 1995, del Parco-monumento dedicato ai Caduti sul Lavoro a Porta Tarquinia. Il secondo, tra l’altro, realizzò magistralmente il mio progetto per i banchi del Consiglio Comunale nella nuova Sala Renato Pucci, nel 1997.
Una testimonianza di altissimo valore sulla storia recente di Civitavecchia è quella offerta da Roberto Tamagnini con il suo Un seme gettato. Esperienze e riflessioni tra scuola e politica, edito a cura della Compagnia Portuale Civitavecchia nel 2008, che tratta del periodo immediatamente successivo a quello narrato da Giovanni Massarelli, nel suo Una città in bilico. 50 anni tra cronaca e storia, e tratteggia un’esperienza anch’essa esemplare ma con una angolazione diversa, per la diversa formazione culturale e ideologica dei due autori, che tuttavia – proprio per l’analogo rigore morale e per il medesimo impegno sociale – non potevano che confluire, convergere, su posizioni comuni. Roberto ha dedicato il suo libro «a quelli che hanno amato il loro prossimo come se stessi, scegliendo l’essere e non l’avere» ed ha voluto donarmene copia, appena pubblicato, «in ricordo dei tempi “eroici” amministrati». Sono grato a Roberto per la sua amicizia affettuosa e sincera, mantenutasi nel tempo dagli anni – una breve eppure intensissima stagione di entusiasmi e illusioni – che resta senza dubbio il momento più alto, qualificante – come si diceva allora – della politica amministrativa di Civitavecchia. Una stagione che – con orgoglio – vediamo aborrita da chi ha fatto le scelte opposte, tra l’avere e l’essere. Devo a lui di aver potuto realizzare il “colpo di mano” (e di penna) di trasformare in verde pubblico l’area edificabile ex ECA.
- PREMESSA GENERALE
Il Piano d’inquadramento del settore industriale rappresenta un programma di sviluppo, inserito nel più ampio contesto di tutti i settori produttivi; pertanto, esso costituisce la graficizzazione degli indirizzi che l’Amministrazione Comunale intende perseguire nella attuazione del Piano Regolatore Generale.
Lo studio del Piano ha comportato una serie di studi preliminari a più ampio respiro e delle soluzioni che non riguardano solamente il settore preso in esame; ciò in quanto è evidente l’impossibilità di isolare, nel contesto urbano, una attività dalle altre. Contemporaneamente, è stato anche inevitabile affrontare il problema dei collegamenti e delle interrelazioni con il territorio e di conseguenza, sono state introdotte alcune varianti allo stesso Piano Regolatore Generale, in quanto il lungo periodo intercorso dalla sua formazione ha portato a delle modificazioni nello stato di fatto e, soprattutto, ad un’ottica diversa con la quale l’Amministrazione Comunale interpreta oggi lo sviluppo del territorio.
Molte delle ipotesi formulate nel 1961 all’atto della redazione del P.R.G., sono state negate dai fatti, mentre altre si sono verificate; tuttavia, lo studio è stato inquadrato nell’attuazione del Piano Regolatore, sia perché sarebbe assurdo, in così poco tempo dall’entrata in vigore del Piano Regolatore, affrontarne una revisione generale, sia perché tale revisione è effettivamente inutile, essendo tuttora validi i principi informatori e lo spirito generale del Piano. Sostanzialmente, il dato più rilevante che scaturisce dalla analisi dello stato di attuazione del Piano Regolatore è il fatto che, in oltre dieci anni, la zona industriale non abbia avuto alcuno sviluppo; ma questo non deve stupire eccessivamente, ove si tenga conto che, a tutt’oggi, gli enti preposti ad un effettivo sviluppo delle attività produttive non hanno offerto all’Ente locale ed alle popolazioni validi modelli di sviluppo, né – soprattutto – concrete possibilità. La questione va inserita, quindi, nel più ampio, discorso che riguarda l’intero Alto Lazio, per il quale ormai da decenni si parla di sviluppo e di riscatto dalla qualità di zona depressa, senza però affrontare né le infrastrutture né gli strumenti necessari a risollevare dalla attuale situazione il comprensorio.
In questo quadro è, quindi, logico che l’Ente locale si faccia autonomo promotore di questo sviluppo, anche con delle scelte che possono apparentemente prescindere da un inquadramento a carattere regionale o subregionale.
In effetti, la realtà socioeconomica è tale da non poter in alcun modo tollerare che perduri l’atteggiamento, che va definito di estrema abulia, degli organi centrali, siano essi statali o regionali.
In contrasto con le affermazioni dei rappresentanti di tali enti nei convegni, congressi e tavole rotonde svoltesi in loco, si deve purtroppo riscontrare una serie di comportamenti che dimostrano, da parte di questi stessi enti una visione ben diversa da quella che viene demagogicamente conclamata in alcune circostanze.
L’Amministrazione Comunale, nell’intraprendere una serie di iniziative e nel portare avanti lo studio del piano di sviluppo, ha fatto riferimento correttamente ad alcune indicazioni, che sono ormai codificate, per quanto riguarda il futuro assetto territoriale dell’Alto Lazio e per quanto riguarda le direttrici di sviluppo del comprensorio.
Al tempo stesso, ha dovuto necessariamente subire, in un certo senso, alcune iniziative esterne, pubbliche o private; ma, anziché limitarsi ad accettarle passivamente, ha tentato di modificarne gli indirizzi e di correggerne le conseguenze in modo tale da risolvere determinati problemi che potrebbero costituire, appunto una volta risolti, nuovi incentivi per un migliore e più organico sviluppo.
I punti cardine su cui si ritiene debbano imperniarsi la funzione di Civitavecchia nel territorio ed il suo sviluppo economico sono ovviamente costituiti dalla sua ubicazione, in quanto il fattore posizionale gioca ancora un ruolo fondamentale.
Civitavecchia è stata considerata il polo di un vasto hinterland: non l’unico, ma uno dei poli dell’Alto Lazio, che ha tuttavia, rispetto agli altri, alcune caratteristiche ben precise: si tratta, in effetti, di un polo a carattere dinamico, caratterizzato, cioè, da componenti dinamiche collegate al traffico o ai traffici. La presenza del porto, la presenza di infrastrutture ferroviarie e di smistamento, la presenza o la previsione di infrastrutture stradali, fan sì che Civitavecchia debba appunto “specializzarsi” in tale funzione di “nodo” di traffico, che caratterizzerà, di conseguenza, i diversi settori di attività. Al limite, si dovrà tener conto di questa funzione territoriale, addirittura nel settore residenziale, ma essa influenzerà soprattutto il settore produttivo industriale, commerciale e artigianale, nonché quello turistico.
In questo senso può inquadrarsi anche l’esistenza e la nuova previsione di centrali elettriche nel territorio di Civitavecchia, a condizione di individuare, così come per le altre infrastrutture, dei precisi canali di “esportazione” dal territorio e di diramazione all’interno della Regione.
Stessa caratteristica può essere riconosciuta all’oleodotto Civitavecchia-Roma-Fiumicino che convoglierà, in futuro, il fabbisogno di carburante dell’aeroporto internazionale. A questo riguardo, non va dimenticata l’importanza che a Civitavecchia giunga anche il metanodotto, attualmente previsto fino a Livorno.
La programmazione dei diversi settori, dunque, non può basarsi, nel territorio di Civitavecchia, semplicemente su generiche vocazioni, ma deve impostarsi su precise scelte politico-urbanistiche a livello regionale, comprensoriale e locale.
In tal modo, le direzioni d’intervento (di per sé ampie e molteplici per ciascun settore) si riducono e si qualificano, puntualizzando gli obiettivi in ruoli specifici, che hanno una effettiva suscettività e conservano validità nelle previsioni di futuro assetto territoriale. Risulta possibile, in tale quadro, il discorso di una pianificazione dal basso.
Sviluppando la tesi che individua in Civitavecchia uno dei “poli plurifunzionali” del territorio, appare evidente che le attività che possono essere suscettibili di sviluppo non vanno pensate in termini tradizionali, ossia con la stessa impostazione valida per le zone omogenee (che, cioè, hanno un settore di sviluppo prevalente ) , ma devono caratterizzarsi per questa polivalenza, che è tipica delle zone storicamente e geograficamente a confine tra territori diversi e che deve costituire, oggi, il mezzo di inserimento nel territorio stesso, divenendo causa di nuovi assetti urbanistici.
L’edificazione indiscriminata, nel settore residenziale, oltre a negare una logica di piano (che è legata a fattori sociali ed economici), con disastrose conseguenze anche sotto il profilo tecnico, comprometterebbe un patrimonio di aree di cui si comincia finalmente a valutare l’esigenza di disponibilità per fini pubblici.
Eguali conseguenze negative porterebbe un eccessivo dimensionamento delle zone industriali (da taluni sostenuto), in quanto risulterebbe contrario al modello di sviluppo trasversale dell’Alto Lazio – unica possibilità attuale di incentivazione del settore – e tenderebbe ad una impossibile, oltre che errata, localizzazione univoca, là dove è auspicabile una struttura lineare – seppure non continua – tra Civitavecchia e Terni.
Quindi l’industria di Civitavecchia non sarà la stessa di certe aree tipicamente industriali, ma avrà caratteristiche specifiche, legate – come si è detto – alla presenza del Porto ed all’essere ubicata in un nodo di confluenza e di smistamento.
In questa stessa visione andranno riorganizzati gli altri settori produttivi, comprendendo anche l’agricoltura ed un certo tipo di artigianato, nonché tutte le attività ed i tipi di insediamento.
Anche il settore del turismo e del tempo libero deve trovare nella pianificazione urbanistica un inquadramento nel territorio informato ai medesimi criteri, perché il potenziamento di tutte le possibili attività turistiche di Civitavecchia (ove anche economicamente realizzabile), significherebbe travisare il ruolo della città nel territorio.
Civitavecchia, infatti, non può – o meglio, non deve – puntare su tipi di turismo tradizionale, che sarebbero, oltretutto, vanamente concorrenziali nei confronti di quelle zone limitrofe, ove il turismo costituisce il settore tipico prevalente, ma deve porsi nel territorio dell’Alto Lazio in termini di complementarità, integrando quanto alle altre zone manca (e necessariamente deve mancare) e costituendone, anzi, l’infrastruttura a scala regionale per la loro trasformazione e riqualificazione, per il loro “contatto” con il resto del territorio. Ciò non porta, solamente, a confermare per Civitavecchia quel turismo di transito e gastronomico-domenicale che oggi prevale, o la necessità di attrezzature legate al traffico e ai trasporti, per trasformarla nel nodo cardine di un sistema infrastrutturale complesso: porta, soprattutto, a ipotizzare nuove forme di attrezzature.
Pur senza lasciarci trasportare da suggestive immagini di megastrutture, di grandi insiemi urbanistici al confine con la fantascienza, è certo che la dimensione di città-territorio che va configurandosi lascia intravedere (pur se ancora vagamente) la possibilità di un sistema metropolitano integrato per tutto l’Alto Lazio.
Perciò, il discorso deve riuscire a mantenere quel grado di adattabilità, di flessibilità spaziale e temporale, che non comprometta il futuro, in nessun caso.
È noto che in questa finalità poco può offrire l’ordinamento urbanistico attuale, viziato da profonde contraddizioni: occorre individuare nuovi strumenti, interpretazioni aperte e forme di gestione del territorio che rendano possibile la realizzazione degli obiettivi delle Amministrazioni locali, riaffermando l’autonomia comunale nelle scelte che riguardano le popolazioni ed il territorio amministrate. L’Amministrazione comunale di Civitavecchia ha individuato questi strumenti in una “pianificazione intermedia” che costituisce una ipotesi di riferimento da aggiornare continuamente, secondo un programma a lungo termine articolato in fasi operative concatenate.
Questo atteggiamento dell’Amministrazione Comunale risponde ad una corretta visione del ruolo locale e ad una equilibrata politica urbanistica, che significa, appunto, evitare gli scompensi dell’espansione indiscriminata, senza impedire la necessaria crescita della città, valutando i fatti che incidono e determinano (o compromettono) lo sviluppo armonico e quelli che rappresentano solo interventi “inessenziali”: significa, in definitiva programmare un assetto generale del territorio elastico ma non indeterminato, ove – accanto ad alcun punti fissi e inderogabili (fin tanto che i fatti non dimostrino la necessità di modificare l’intero programma) – è lasciato ampio margine d’iniziativa all’Amministrazione, che deve gestire il programma in una realtà mutevole e per molti versi imprevedibili. Compito della pianificazione è proprio quello di proporre una risposta al programma, ossia un piano, che dia giusta misura al margine suddetto.
Sarà necessario, a tempi brevi, giungere ad un tipo di formulazione a livello intercomunale, che attraverso programmi di settore consenta la creazione di infrastrutture e attrezzature. Ciò potrà attuarsi con la formazione di consorzi tra i Comuni interessati.
Per quanto è stato esposto, sembra di poter visualizzare questo concetto di gestione in una serie di piani che, avendo Civitavecchia come centro comune, ruotando intorno ad essa, riguardino – di volta in volta – i settori caratterizzanti il territorio circostante. La somma, la sovrapposizione di questi piani tornerà a dare, in dettaglio, quanto il quadro generale unitario aveva programmato.
Avremo, così, una pianificazione comune con Santa Marinella e le altre zone della fascia costiera meridionale, per il turismo marino e balneare e per certe forme produttive affermate, come la floricoltura; con Tolfa e Allumiere ancora per il turismo (diversamente specializzato e connesso – quello delle zone interne – con il parco archeologico di Blera, Barbarano e San Giovenale, in una direttrice trasversale che si ricollega alla fascia longitudinale dei laghi), per la silvicoltura e per la residenza (mentre i due centri montani potranno risolvere insieme i problemi delle attrezzature sociali a livello urbano); con Tarquinia e con altri centri della provincia di Viterbo per l’industria, l’agricoltura, la residenza, certe attività direzionali e, nuovamente, il turismo.
Già una superficiale verifica di questi quadranti di intervento consente di rilevare la validità dello schema: piccoli centri, come Santa Marinella, Tolfa e Allumiere, ritrovano nella nuova dimensione di Civitavecchia quelle attrezzature e quei servizi urbani ad una certa scala che non potrebbero dislocarsi in ciascuno di essi; i due ultimi, al tempo stesso, come si è detto, potrebbero avere in comune diversi servizi minori.
Le direttrici principali di riassetto territoriale trovano, poi, nuovi motivi di conferma: per il turismo “trasversale”, ad esempio, si può citare il rinnovamento dei vari impianti termali esistenti e delle sorgenti da sfruttare, tra le quali quelle di Civitavecchia (Terme di Traiano e Ficoncella ) dovranno collocarsi soprattutto come attrezzature sociali urbane (zone F del D.I. 2 aprile 1968), in un sistema integrato di servizi per il tempo libero, lo sport, la sanità (assistenza e prevenzione di malattie in età scolare, ecc.) a disposizione del comprensorio e della città ed in relazione allo sviluppo di carattere essenzialmente industriale. In questo stesso schema trova posto il problema di Tuscania – antichissimo e decaduto polo del territorio – reso drammatico dal disastro del 1971; anche qui, il modello trasversale, sovrapposto alle fasce longitudinali di attività specializzate, individua precise possibilità di sviluppo. Civitavecchia, dunque, si inserisce nel territorio con caratteristiche fortemente legate alle funzioni che dovrà assolvere e tutte con il comune denominatore della dinamicità.
2 – INDIRIZZI OPERATIVI
Nell’affrontare il programma di sviluppo del settore produttivo industriale ed il relativo piano d’inquadramento, l’Amministrazione Comunale ha inteso anche “sanare”, per così dire, alcune situazioni esistenti all’interno dello stesso tessuto urbano, con ubicazione e caratteristiche non rispondenti alla logica del Piano Regolatore Generale. Alcune soluzioni adottate e gli incentivi che l’Amministrazione stabilirà successivamente costituiscono appunto il mezzo per eliminare dalle zone destinate ad abitazione, dai quartieri residenziali, le attività contrastanti con la destinazione di zona.
Tali operazioni, da attuarsi con gradualità, rispondono sia ad un criterio urbanistico di ordine, che a criteri di sicurezza e di “decoro” cittadino.
Pertanto, è previsto lo spostamento in sede idonea e propria di attività, quali la produzione di liquori della ditta Manzi, la produzione di manufatti in cemento della ditta Nenna e altre, che pur essendo ancora a livello artigianale, sono suscettibili di espansione. Tale atteggiamento e l’invito da essa rivolto è stato accolto favorevolmente dalla maggior parte di queste imprese: falegnamerie, officine meccaniche, rappresentanze commerciali, ecc.
Queste attività sono state classificate e, per ciascuna di esse, è stata individuata un’area ottimale di ubicazione, sia in rapporto all’entità, alla dimensione in termini di superficie dell’intervento, sia in rapporto al genere della attività stessa, alle sue esigenze interne e di collegamento con la città e con il territorio circostante.
Là dove il Piano Regolatore non prevedeva la presenza di industrie che invece esistevano e dove questa ubicazione non contrastava, appunto, con gli indirizzi generali, si è preferito, anziché procedere a costosi spostamenti, correggere queste presenze, al momento formalmente contrastanti con la disciplina urbanistica del territorio, inserendole in un quadro che le prevedesse. È noto ed evidente che i problemi tecnici hanno tutti una o più soluzioni tecniche; pertanto, questo aspetto è stato, sia pure arduo in alcuni casi, di carattere puramente tecnico. Ovviamente non si è trattato soltanto di apportare una variante alla zonizzazione, trasformando la destinazione di zona, ma si è trattato di studiare l’inserimento di queste attività nel contesto urbanistico, facendo sì che non venissero a contrastare con le linee dello sviluppo futuro.
In questo senso, sono state elaborate le varianti che riguardano la fabbrica della Società Molinari (Sambuca), le contigue officine per la lavorazione del ferro e per la costruzione di natanti e la SILAF con la sua attività estrattiva e di produzione di laterizi e manufatti per l’edilizia.
Altre attività, che non potranno mai essere ricondotte ad una unitaria ed organica visione del territorio, dovranno essere – invece – eliminate totalmente: in particolare, sono comprese tra queste le attività estrattive di cava che, attualmente, vengono svolte nella zona turistico-termale (in prossimità di importanti resti a carattere storico, archeologico e monumentale) e la cui presenza, oltre a costituire un pericolo per le stesse sorgenti termali, non solamente contrasta con la destinazione di zona, ma viene ad alterare e deturpare il paesaggio di un comprensorio che è, invece, suscettibile di un qualificato sviluppo turistico ed ha, quindi, assoluta necessità di protezione.
Altro aspetto importante della variante introdotta nel Piano Regolatore Generale è costituito dalla trascrizione di studi di dettaglio più approfonditi rispetto al Piano Regolatore e non contrastanti con esso: il progetto esecutivo della variante S.S. n. 1 Aurelia (studiato dall’Ing. Valle per conto della Amministrazione provinciale), il piano delle Ferrovie dello Stato e la variante al Piano Regolatore portuale, proposta dal Genio Civile per le Opere Marittime.
Il problema della variante Aurelia, come è noto, è fondamentale per lo sviluppo del territorio e le Amministrazioni Comunali di Civitavecchia hanno continuamente ribadito la necessità prioritaria di tale infrastruttura, mentre – da parte dell’ANAS – vi è stato un costante rifiuto ad affrontare il problema. Ultimamente si sono avuti alcuni sviluppi, di cui non si può ancora valutare la portata; tra questi, la promessa della costruzione di una variante alla via Aurelia che riguarderà il territorio di Santa Marinella, fatta a quella Amministrazione da organi centrali.
È chiaro che lo sviluppo del territorio di Civitavecchia non può prescindere da una struttura viaria longitudinale, parallela alla costa, che colleghi le zone a nord con quelle a sud, eliminando dal cuore urbano i traffici di transito e costituendo, con opportuni raccordi, il rapido collegamento tra la viabilità interregionale, la zona industriale e il porto.
Questa infrastruttura, secondo il Piano Regolatore, è costituita appunto dalla variante Aurelia. L’ubicazione entro il territorio di Civitavecchia di questo asse viario ha una notevole importanza di carattere urbanistico-ambientale, ma ha minore importanza da un punto di vista funzionale, sicché (come è stato anche proposto) essa potrebbe essere sostituita o meglio “assorbita” dalla A16, una volta che questa venisse giuridicamente declassata a superstrada di libero transito, ma potenziata con gli ulteriori svincoli e le opportune attrezzature che essa richiederebbe nella nuova funzione: in tale ipotesi, che verrebbe finalmente a dare una validità economica e sociale alla A16, potrebbero trovare nuova collocazione anche diverse attività direzionali.
Nella attuale (ancora non chiara) visione della soluzione di questo problema, si è preferito mantenere nel Piano Regolatore la previsione originaria della variante Aurelia, sia pure in termini più concreti di esecutività, ossia con quelle caratteristiche plano-altimetriche che derivano da uno studio più approfondito. Ciò in quanto il suo mantenimento consente anche di mantenere vincolate quelle aree che, in ogni caso, potranno rendere attuabile, in futuro, il necessario attraversamento di molte zone, anche semplicemente a livello urbano, per realizzare quel collegamento nord-sud tra quartieri, previsto dal P.R.G. con tracciati oggi in parte compromessi. Al contrario, infatti, il tracciato della variante Aurelia è rimasto praticamente integro e tale, quindi, da poter essere utilizzato per la costruzione di un’ampia arteria urbana, senza – se non altro – problemi di carattere sociale.
Per analoghi motivi, si è inserito, con lievi modifiche e adattamenti, il progetto rielaborato dal Genio Civile per le OO.MM. quale variante del Piano Regolatore Portuale, dopo la prima stesura (la cosiddetta “variante Semiani”).
A suo tempo, l’Amministrazione Comunale, altri enti e lo stesso Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, hanno espresso sul primo progetto notevoli perplessità. La trascrizione nel Piano Regolatore del nuovo progetto non significa che, a giudizio del Comune, tutte le soluzioni proposte siano soddisfacenti: lo stesso tipo di zonizzazione ed il fatto incontestabile che, comunque, la regolamentazione delle aree soggette al vincolo portuale dovrà essere stabilita appunto dal Piano Regolatore Portuale definitivo, inteso come uno speciale piano particolareggiato, redatto di concerto con tutti gli Enti interessati, costituiscono una garanzia per un assetto rispondente alle reali esigenze.
Poiché comunque il progetto costituiva, in alcuni aspetti essenziali, un importante miglioramento del Piano Portuale vigente e, soprattutto, l’affermazione di alcuni principi fondamentali, tra i quali, appunto, il collegamento tra il porto e la viabilità cittadina, tra il porto e la stazione ferroviaria (attraverso l’auspicato raccordo a nord), il riassetto e lo sviluppo della stazione di Porta Tarquinia e, infine, la razionalizzazione del traffico con la Sardegna e la specializzazione delle diverse zone portuali (traffico commerciale, industriale, petrolifero, passeggeri, ecc.), si è ritenuto opportuno trasferire tali indicazioni nella variante al Piano Regolatore cittadino.
Si ricollegano a questa visione del porto le precisazioni e gli ampliamenti riguardanti la rete ferroviaria, che si sono ritenuti necessari e indispensabili ai finì di un corretto e completo sviluppo della zona industriale.
Praticamente, poi, si è meglio individuata la percentuale di area a servizi, che il Piano Regolatore prevedeva semplicemente in termini quantitativi, prevedendo degli accentramenti di questi servizi, eliminando cioè quella polverizzazione e frammentarietà che sarebbe scaturita da una settoriale applicazione dalla norma. L’attuale tendenza delle industrie è quella di contenere, al loro interno, un’ampia gamma di servizi sociali. In ogni caso, questo orientamento sarà assunto dall’Amministrazione, in forma di prescrizione in sede di rilascio delle licenze edilizie. Tali attrezzature, quindi, vengono a configurarsi come servizi a carattere privato. Di conseguenza, si è preferito conglobare le aree d’uso pubblico prescritte dalle norme vigenti, destinandole a quei servizi generali che si renderanno indispensabili, sia per l’industria sia per il porto, ai fini di un organico sviluppo.
Il Piano d’inquadramento, pertanto, prefigura un piano particolareggiato. Le caratteristiche del settore, però, sono tali da sconsigliare l’adozione di un vero Piano particolareggiato, con le sue rigide schematicità, per l’intera zona industriale, prima che le ipotesi di sviluppo acquistino concretezza. La cultura urbanistica, da più anni, ha tolto quella importanza vincolistica assoluta e immutabile che il Piano Regolatore di origine ottocentesca aveva, per preferire, come si è già accennato, strumenti più agili, adattabili alle situazioni. In questo senso, quindi, non si è voluto proporre un Piano particolareggiato, bensì un Piano di inquadramento che, in variante al Piano Regolatore, prevedesse una viabilità secondaria, una zonizzazione di massima e desse, anche, la possibilità all’Amministrazione di individuare delle zone, caratterizzate a seconda della possibilità di suddividerle in comparti, in lotti minimi o multipli; senza però che queste previsioni debbano, necessariamente, costituire un vincolo insuperabile o superabile soltanto attraverso nuove successive varianti, nel momento in cui le possibilità insediative delle industrie che si presenteranno, non corrispondessero, per tipologia od esigenze, a quanto oggi sommariamente previsto.
Le nuove norme, quindi, consentono questa flessibilità e questa elasticità d’intervento, sia pure garantendo, come necessario, la salvaguardia dell’interesse pubblico e la conservazione di alcune direttrici fondamentali. Proprio per tale motivo si è evitato di prevedere fin d’ora, come invece da alcuni era stato richiesto, un grande ampliamento delle zone industriali. In questo senso, l’indirizzo dell’Amministrazione è estremamente preciso. Innanzi tutto è assurdo e non necessario, al momento attuale, allo stato attuale di occupazione delle aree, prevedere nuove zone destinate all’industria, con la conseguenza di speculazioni sui terreni e probabili richieste di utilizzazione non coordinata e non conseguente alla graduale urbanizzazione.
In secondo luogo, salvo alcuni casi particolari, non sembra che il territorio di Civitavecchia si presti per un ulteriore sviluppo, al suo interno, della zona industriale. Significherebbe ricadere nell’errore in cui, molto spesso, sono caduti altri Comuni; che è stato quello di voler ad ogni costo, quasi si sentissero altrimenti sminuiti, prevedere, al loro interno, una sia pure minima zona industriale.
Ove necessità di nuove industrie e di nuove aree destinate alla industria si verificassero, esse andranno ricercate in un contesto intercomunale, essendo questa, a parere dell’Amministrazione, la corretta visione dell’assetto del territorio: una visione, cioè, di tipo comprensoriale, non condizionata da scelte settoriali e locali.
Il Comune di Civitavecchia, in questo senso, si vuole appunto porre come elemento catalizzatore del comprensorio che è, per naturale vocazione, il suo hinterland. La certezza che questa impostazione sia corretta è ad ogni livello – politico, sindacale e tecnico – proprio per quella che deve rappresentare la gestione democratica del territorio, che non può proporre modelli di carattere esclusivamente locale. La quantificazione delle aree destinate all’industria dal P.R.G. nel territorio di Civitavecchia è tale da assicurare una notevole spinta nel settore, ove in esse siano localizzate attività autenticamente produttive.
Sarà compito e cura dell’Amministrazione Comunale e delle Amministrazioni Comunali che venissero a far parte dei Consorzi che sono necessari allo sviluppo di questi settori, scegliere ed indirizzare le opportune categorie di attività, in modo da rispettare il quadro di riferimento che è stato individuato.
3 – ANNOTAZIONI PER LA LETTURA DELLO SCHEMA GRAFICO
Il perimetro della zona prevista dal P.R.G. non è stato sostanzialmente modificato, per le ragioni esposte nei precedenti paragrafi, per motivi di opportunità e perché l’attuale situazione non consente una chiara e precisa quantificazione dei futuri fabbisogni del settore. Le modifiche riguardano:
- a) la destinazione a zona industriale delle aree occupate da industrie che, con opportuni accorgimenti tecnici e idonee soluzioni urbanistiche, potevano essere mantenute nell’attuale ubicazione, senza pregiudizio di pubblici interessi; esse sono: i depositi di legnami Calvi (in quanto la soluzione scelta dalle FF.SS. ha traslato più a nord il collegamento con il porto, che il P.R.G. prevedeva con sottopassaggi e raccordi nella zona della Fiumaretta), la Società Molinari e le attigue imprese di costruzioni di imbarcazioni e lavorazioni metalliche ed infine la fornace della SILAF con opportune aree di riserva;
- b) la lieve rotazione di un tratto del perimetro presso il borgo della Scaglia, al fine di farlo coincidere con una strada esistente, evitando relitti di proprietà non utilizzabili, e per formare una breve fascia di rispetto all’abitato;
- c) l’introduzione delle aree destinate alla nuova centrale termoelettrica dell’ENEL e relativi depositi, destinando inoltre a zona industriale l’area tra questi ultimi e la zona industriale esistente;
- d) le modifiche conseguenti all’approfondimento degli studi sul territorio (zone archeologiche, paesistiche, ecc.) nonché quelle relative al Piano d’Inquadramento della zona 14 e adiacenze.
All’interno della zona industriale sono state indicati:
- A) la viabilità adottata in variante al P.R.G. (delib.C.C.n.44 del 2.4.1973): tracciati esecutivi della strada mediana e del raccordo alla Via Aurelia, con schemi della viabilità secondaria;
- B) i raccordi e le attrezzature ferroviarie di massima a. servizio del porto e della zona industriale;
- C) la quantificazione e l’individuazione di massima delle aree per attrezzature pubbliche e d’interesse generale;
- D) le fasce di rispetto stradale, in applicazione del D.M.1° aprile 1968, distinte in zone a vincolo assoluto di inedificabilità (aree bianche) ed in zone in cui sono consentiti depositi all’aperto e simili (aree zonizzate);
- E) le sottozone di attuazione prioritaria (quadrettato più largo) e successiva (quadrettato più fitto), in rapporto alle possibilità di urbanizzazione.
È da notare che la viabilità secondaria di servizio ai comparti ha valore indicativo, costituendo una ipotesi di suddivisione che potrà essere modificata in relazione alle esigenze. Analoga considerazione va fatta per i raccordi ferroviari, individuati al fine di precisare le sottozone in cui si ritiene possibile – per le caratteristiche orografiche e la posizione – realizzare tale infrastruttura. In queste sottozone sono stati previsti lotti minimi di 50.000 mq (dimensione che si ritiene necessaria per industrie che richiedono l’allacciamento ferroviario), nei quali il rilascio della licenza di costruzione, oltre che alle altre condizioni, sarà subordinato alla stipula della convenzione con le FF.SS.
Nella zona centrale, si è indicata una suddivisione in comparti che ricalca la maglia dei tracciati esistenti (lavori di sbancamento effettuati dalla S.I.L.): si è visto infatti che ne scaturiva una serie di blocchi standard di dimensioni modulari, tali da permettere il facile insediamento della più estesa gamma dimensionale di industrie. Negli elaborati grafici si è indicata la massima frequenza di viabilità secondaria che potrà essere ridotta in relazione ai lotti insediati e trovare soluzioni diverse, in sede di Piano Particolareggiato.
FRANCESCO CORRENTI