Nulla più sarà come prima

di BENEDETTO SALERNI

Molti studi descrivono e interpretano il cambiamento che stiamo vivendo come un insieme di processi che procedono nella direzione di una non più rinviabile azione riformatrice del sistema produttivo e della sfera pubblica italiana. Viene richiesto, nei tempi della nostra attualità, un eccezionale sforzo di integrazione delle politiche del Paese al passo con le democrazie occidentali, particolarmente europee, per affrontare le sfide del complesso mercato globale. In questo contesto la pandemia da Covid-19 impone un cambio di passo e di paradigma in vista di una possibile ripresa economica, successiva all’emergenza.

Comunque, non è secondario e certo non sfugge a nessuno, il problema insito nel nostro sistema elettorale, soprattutto in considerazione delle attuali formazioni politiche che compongono il governo, con gli evidenti e contraddittori problemi di gestione del sistema, che sono di complessa soluzione.  

Siamo in presenza di forze che sono state e sono tutt’ora fortemente antagoniste, con identità politiche di natura profondamente diversa. Ciò nonostante si è al momento riusciti, pur nel pieno di una inedita crisi sanitaria, ad elaborare proposte, anche di carattere emergenziale, per la tutela degli interessi nazionali e della popolazione. Purtroppo, assistiamo alle manovre di chi cerca di indebolire o sfiancare l’attuale governo sottoponendolo a tensioni politiche che sembrano essere legate più agli interessi di parte che a quelli nazionali e del Paese.

Sembra proprio che una certa classe politica non voglia proprio capire che, dopo quanto stiamo drammaticamente vivendo, “nulla più sarà come prima”.

Le forze politiche della nostra destra, con i loro precisi riferimenti culturali- conservatori e sovranisti- non sembrano in grado di proporre nulla di innovativo nei vari campi economici, sociali o culturali del sistema Italia, neanche nel pieno della più grave emergenza sociale e democratica della storia della Repubblica. Sono le stesse forze politiche che presiedono, da poco più di un anno, al governo del nostro Comune, con piglio arrogante, privo di contenuti e di effetti concreti sulle condizioni di vita dei cittadini. Una Amministrazione locale caratterizzata da profonde lacerazioni politiche e non in grado di qualsiasi progettualità che vada nella direzione di nuovo modello di sviluppo sostenibile per il nostro già sofferente territorio.

I recenti decreti governativi hanno provato a curare gli interessi generali della popolazione, con interventi di natura socio-economici diretti anche a risolvere notevoli disfunzioni strutturali nei servizi fondamentali dello Stato. Hanno spostato risorse importanti sui beni primari anche in funzione di una un’analisi delle opportunità, tenendo conto delle disuguaglianze dovute al sesso, alle fragilità e alla posizione sociale. 

I ritardi nella erogazione economica di queste utilità sociali (aiuti per sostenere i poveri e gli indigenti, per le famiglie, per sostenere i lavoratori autonomi, i cassaintegrati fino all’enorme problema degli “invisibili”) sono il frutto della atavica lentezza burocratica di un intero sistema Paese.  La molteplicità dei vari passaggi che intercorrono tra lo stanziamento di risorse e la sua erogazione, rappresentano alcuni degli aspetti di un lungo elenco che rappresenta la fallita “rivoluzione culturale” e il mancato superamento di molte pratiche degenerative – sia etiche che morali – di una vecchia politica consociativa.

Le forze politiche che sostengono il governo, se vogliono davvero dare segni tangibili di cambiamento, debbono impegnarsi in primo luogo a dare delle nette risposte alla semplificazione della Pubblica Amministrazione per tramite di regole trasparenti, fondamentali per la prevenzione dei fenomeni corruttivi e della cattiva amministrazione. Dovranno quindi mettere mano ad una riforma fiscale che tuteli in particolare i redditi medio bassi. Infine, si dovrà affrontare con coraggio e determinazione il nodo politico-amministrativo del rapporto Stato-Regioni, nato dal modello federalista indicato dal titolo V della Carta Costituzionale.

Quanto agli investimenti e agli indirizzi dell’ultimo decreto sul rafforzamento territoriale del sistema sanitario, questi rischiano di non trovare applicazione a causa della palude politico-burocratico; delle classiche opposizioni, orientate da sempre a lasciare invariato lo stato attuale della sanità pubblica.

Il dibattito, infine, politico e parlamentare sui fondi europei del MES destinati alle spese sanitarie ha mostrato che molte delle perplessità manifestate, in particolare sulle presunte “condizionalità”, sono apparse strumentali; un falso problema per chi vuole che perdurino le sacche di inefficienza e di clientelismo nel nostro Paese.                                 

Per concludere, l’apertura di una seria discussione sul tema degli immigrati e degli orari di lavoro, lasciano sperare che possano diventare degli aspetti centrali di battaglie politiche finalizzate a conquistare una serie di garanzie minime sui diritti umani. In questo senso si pone anche la questione di una nuova carta dei diritti del lavoro, per far emergere l’universo di precariato, nelle sua diverse articolazioni.

BENEDETTO SALERNI