Gestione dei conflitti e lavoro d’equipe (partecipazione e leadership nel piccolo gruppo)

Il professor Salvatore Sica, psicologo e psicoterapeuta, riprende la sua gradita collaborazione con il nostro blog proponendo ai lettori tre articoli nei quali la nostra redazione ha diviso un contributo più ampio dedicato alla gestione dei conflitti e al lavoro di equipe, con specifico riferimento a tematiche di particolare interesse come le dinamiche della partecipazione e i caratteri delle leadership nei piccoli gruppi.

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di SALVATORE SICA ♦

Parte prima

     Due sono le correnti di pensiero che si sono occupate di gruppi, quella sociologica e quella psicologica.

    Ambedue le correnti di pensiero hanno il merito, anche se da angolature diverse, di aver riconosciuto al gruppo una sua collocazione culturale e scientifica superando di fatto una sottovalutazione del gruppo come entità propria considerata sempre una casualità deduttiva di qualcos’altro.

     La prima, quella sociologica, analizza i gruppi nelle loro manifestazioni esterne in quanto parti di un organismo sociale molto più vasto, cioè come parti costitutive della società.

     La seconda, quella psicologica, analizza il gruppo considerandolo come società esso stesso nel suo duplice aspetto di ambiente interattivo in cui l’individuo contemporaneamente agisce e, a sua volta, subisce, cioè dove influenza e dove viene influenzato.

    A noi interessa approfondire in questo lavoro, partendo da una lettura psicologica di piccolo gruppo, il ruolo della leadership e le conseguenti modalità comportamentali che permettano la gestione dei conflitti di gruppo.

    Vogliamo puntare a far emergere la cultura plurale di piccolo gruppo, con caratteristiche proprie diverse dalla cultura di coppia e da quella dell’organizzazione, indispensabile per affrontare lo sconosciuto ma, proprio per questo, affascinante futuro dell’uomo.

   Perché è importante parlare di gruppo e non smettere di abbassare la guardia?…perché noi siamo figli di una cultura che contrappone il sociale all’individuale e salta a piè pari il piccolo gruppo come momento di crescita.

     Come se l’individuo potesse interferire sul sociale semplicemente secondo una logica meccanicistica e sommatoria e non di evoluzione e di partecipazione reale al cambiamento sociale.      

     Possiamo riconoscere alla cultura prevalente di aver usato i gruppi come potere di controllo sull’individuo, mentre una conoscenza più appropriata e una coscienza della cultura di gruppo, della sua dinamica e delle sue tecniche permettono di dare all’individuo una forza più consapevole e determinante del cambiamento e quindi di una reale efficienza dei vari ambiti sociali.

     Possiamo iniziare col dire che non c’è gruppo senza futuro come sempre non c’è futuro senza gruppo, in quanto da una parte il gruppo si realizza nel continuo sbilanciamento emotivo in avanti, nel futuro, ed il futuro si nutre, per inventarsi, di conflitti di gruppo come risorse.

     In una logica gruppale non conta il tempo che siamo stati insieme per sentirci forti secondo una cultura conservativa di accumulo, ma conta il tempo futuro che potremo vivere per fare insieme secondo una cultura consumatoria.

     Per cui un gruppo che non ha il futuro come valore non è un gruppo e un futuro che non vede nel gruppo e fra gruppi una sua possibile evoluzione non è futuro, non è novità, ma solo riproduzione.    

     Il discorso psicologico di gruppo comincia ed avviene nel momento in cui nell’individuo scatta il bisogno di interpellare e di appoggiarsi ad altri individui.

     Per soddisfare questi bisogni l’individuo ha necessità di maturare un cambiamento che si realizza in un passaggio che lo vede abbandonare modalità legate ad una cultura della conservazione e della stabilità e quindi a modalità conosciute e apprendere modalità legate ad una cultura dell’instabilità  e del provvisorio e quindi a modalità nuove.

     La capacità di superare queste resistenze, che si evidenziano attraverso meccanismi di difesa di gruppo seguite da fenomeni di gruppo, comporta non un annullamento o una sostituzione della cultura precedente, bensì l’aggiunta di una marcia in più come strumento utile da poter usare.    

     Il gruppo rappresenta una fase indispensabile dello sviluppo psichico degli individui.

     Infatti la prima fase dello sviluppo psichico infantile consiste nella differenziazione tra “se’ e l’altro”, la seconda fase consiste nella “socializzazione”, cioè nel riconoscimento da parte dell’individuo della propria appartenenza ad un gruppo, la terza fase consiste nella “collettivizzazione” cioè nel riconoscimento dell’appartenenza ad una organizzazione come gruppo di gruppi.

     Dove collochiamo il nostro interesse prevalente in questo lavoro?

     Nello sviluppo della socializzazione come sentimento di desiderabilità, ma allo stesso tempo di forte paura.

     Da un punto di vista numerico si può cominciare a parlare di gruppo quando si comincia a delineare una instabilità fra le persone caratterizzata dall’inizio di una situazione dinamica e variabile nel tempo dove la maggioranza non è stabile, ovvero dopo la coppia quando interviene un terzo.

     Tre persone possono già determinare un potere variabile e non stabile e allo stesso tempo una leadership circolante e non fissa.

      Tre persone sono gruppo se fra loro esistono delle relazioni psicologiche esplicite e reciproche e se non sono in contrasto con le loro esigenze implicite ovvero nascoste.

     Il numero massimo di persone che possono definire un gruppo si aggira sulle sedici persone. Si delimita così la capacità delle persone di mantenere un rapporto faccia a faccia senza la necessità di dividersi in sottogruppi.

     Il gruppo matura un desiderio di investimento emotivo nel conflitto quando lo stato di ansietà, determinato dal sentimento della incertezza dovuta da uno stato senza decisione possibile, diventa un momento fisiologico di passaggio e non di stasi, cioè eterno, verso un raggiungimento di un sentimento di certezza caratterizzato dalla scelta e dalla possibilità di decisione.

   Il conflitto, che è una risorsa di gruppo, si verifica quando c’è una contemporaneità di funzioni opposte.

   Infatti, a livello individuale, riscontriamo che le funzioni come gli impulsi, i desideri, i bisogni,ecc. determinano uno stato di conflitto quando si riconoscono nella loro contrapposizione e nella loro esclusività reciproca.

   Il conflitto determina lo stato psichico di una persona quando da origine ad una attività che vede situazioni di tendenze e risposte opposte.

   Possiamo avere tre tipi di conflitti:

  • intraspichici
  • interpersonali
  • culturali

   Se, però, vogliamo avere una visione più globale del conflitto, anche se in maniera sintetica, l’analisi va fatta su quanto passa a livello cosciente e a livello inconscio in quanto è la natura parzialmente inconscia che costituisce il conflitto.

   Possiamo parlare di angoscia quando si realizza una invasione della coscienza se le alternative di scelta sono multiple.

   Possiamo parlare di colpevolezza quando le alternative sono solo due e nasce un contrasto fra coscienza e inconscio oppure l’impossibilità di accettare coscientemente la pluralità o la dualità delle alternative in giuoco.

   Possiamo parlare di complesso quando la pluralità o la dualità di alternative rimangono permanenti allo stato inconscio che a sua volta possono determinare una paralisi con una totale presenza di conflitto, ed una impotenza con la completa assenza di conflitto. 

   Il vero apprendimento di gruppo, che determina la centralità del gruppo stesso, si realizza nell’apprendimento dell’insicurezza come allenamento alla sicurezza, come dire che il gruppo educa all’insicurezza.

    La dinamica della sicurezza si realizza tramite diverse fasi: oggettuale, interpersonale, sociale, anoggettuale e ciò avviene attraverso il passaggio in cui l’individuo è sicuro dell’oggetto, allo stadio in cui è sicuro degli altri, allo stadio in cui è contemporaneamente sicuro del gruppo e di se stesso, infine all’ultimo stadio in cui ha acquisito una sicurezza in senso assoluto. 

     La dinamica di piccolo gruppo è un acceleratore dei processi di apprendimento delle persone ed un moltiplicatore delle loro esperienze.

    La capacità di lettura della dinamica di gruppo permette di spostare l’asticella delle difese in basso ampliando la percezione della lettura dei fatti di gruppo come i processi e i contenuti.

     Permette alle persone di andare incontro ai conflitti come momenti di crescita e di partecipazione.

     Il futuro ha bisogno di persone che creino, inventino per andare oltre una semplice programmazione come spostamento in avanti del presente o peggio del passato.

     Il sentimento di gruppo permette questo perché fa superare agli individui il senso di colpa derivante dal riconoscimento della propria soggettività e dei propri desideri.

     Il piccolo gruppo è un fatto di evoluzione psichica e quindi di apprendimento.

     Non conterà, come non conta già più, quello che so, ma quello che saprò.

     E come posso saper quello che saprò, lo potrò solo sapere vivendo, strada facendo con la sicurezza che andrò incontro a insicurezze, ma sapendo che troverò sicurezze.

     Dobbiamo ormai indicare nelle connessioni, come scrive Spaltro in “Un futuro bello”, una delle componenti che determineranno lo sviluppo del futuro.

     L’apprendimento di gruppo ci permette di avere coscienza della gestione delle nostre emozioni e in particolare di sentirci sempre parte e non tutto di qualsiasi dimensione sociale in cui ci troviamo.

     La psicologia, peraltro, non differenziando i comportamenti umani solo in termini di qualità, ma anche in termini di quantità, ci viene incontro per cercare di dare una risposta alle nostre domande.     

     Nella pratica clinica, infatti, quello che sta all’origine della differenza del comportamento delle persone non è l’avere o no una patologia, ovvero una differenza qualitativa, ma quanta patologia ognuno di noi ha, una differenza quantitativa di patologia che colloca ognuno di noi su di uno stesso piano.

    Come dire, semplificando: uguali nella qualità, ma diversi nella quantità.

    Capire questo concetto abbassa moltissimo le nostre difese, basate anche su credenze moralistiche, e ci permette di guardare le persone con maggiore vicinanza e minore disuguaglianza dove il centro ha una sua periferia e dove la periferia ha un suo centro. 

       Il pensiero duale, che sta all’origine del pensare gruppale, si comincia a formare quando alla prevalenza del biologico e dell’ereditario, residuo della prima coppia edipica, si sostituisce la prevalenza dell’appartenenza e della novità come residuo del primo gruppo originario: lo stadio in cui si passa, come abbiamo già evidenziato, dall’essere in due all’essere in tre, cioè quando appare il terzo differenziatore.

     Quest’ultima prevalenza permette di apprendere e quindi di fronteggiare il “diverso da sé”, combattuto fra stare contro o essere dipendente, fra rifugiarsi nell’oggettivo e riconoscere il soggettivo, fra il razionale e l’emotivo, fra il rassicurante ed il precario.

     Il dilemma che si realizza nella scelta, ma che si basa sullo sviluppo emotivo, permette lo strutturarsi del pensiero duale che aiuterà la persona a vivere sentimenti non ancora propri senza la sensazione di perdere i propri sentimenti.

     Il pensiero duale costituisce quindi, come scrive Enzo Spaltro in “Soggettività”…una capacità di seguire contemporaneamente due schemi di riferimento o di interpretazione della realtà, la cui logica contraddittoria non ne impedisce una contemporanea accettazione…

     Le prime tracce di pensiero duale le troviamo negli scritti di Sigmund Freud quando da medico non poteva fare a meno di ragionare in termini oggettivi che riguardavano l’anatomofisiologia, ma da psicoanalista non poteva non riconoscere la diversa natura della sofferenza ragionando, quindi, in termini soggettivi.

     Quindi ragionare dualisticamente ci permette di avvicinarci alla comprensione, di apprendere non solo nel senso di cambiare modalità di pensiero, ma anche di riconoscersi emotività e azioni conseguenti diverse.

     A questo punto non basta più un modo di pensare convergente, dobbiamo andare a ricercare un modo di pensare divergente, cioè aperto e uscire fuori dai canoni rassicuranti di una psicologia unica e pensare secondo una psicologia sempre più soggettiva, probabilistica, plurale, conflittuale e complessa.

       Dobbiamo pensare alla natura profondamente doppia di tutti i fatti psichici e dello sviluppo psichico.

      La concezione della persona è rappresentata non dal sopravvento di un polo sull’altro, ma dalla loro contemporanea coesistenza.  

     In pratica tutti concordano nel constatare che i gruppi creano un particolare tipo di relazione interumana che i tedeschi chiamano “Gemein” cioè comunità, ed un particolare tipo di mentalità che gli americani chiamano “sintality” cioè sintalità, essere insieme, o “weness” noità, sentimento del noi.

SALVATORE SICA 

… continua  martedì 19 novembre 2019