Ancora sulla questione del reddito: il salario minimo.

di ROBERTO FIORENTINI
In un articolo uscito nel marzo di quest’anno ho già parlato della questione del reddito. Il discorso partiva dai dati diffusi dall’Istat sui redditi degli italiani che, giova rammentarlo , non superano i 10.000 euro l’anno per il 30% degli italiani, che arrivano addirittura al 45% se spostiamo il reddito a 15.000 euro. Dai 15.000 ai 50.000 sono circa il 50 % dei nostri connazionali. Di conseguenza sopra i 50.000 euro annui ci sono soltanto il 5% degli italiani. Per essere chiari: stiamo parlando di cifre lorde. Potenzialmente , quindi, almeno un terzo del nostro Paese avrebbe potuto chiedere il reddito di cittadinanza . Il fatto che questo sia avvenuto solo per un milione di persone induce altre domande di cui , però, non tratteremo in questo articolo. La questione del reddito è certamente cruciale e il fatto che la sinistra abbia lasciato nelle mani del M5S le battaglie di un reddito di “ sopravvivenza “ per i veri poveri e persino quella del salario minimo, è forse una delle spiegazioni della diminuzione del consenso nei confronti delle formazioni che si richiamano ai valori della sinistra, a partire, naturalmente dal Pd. E’ di queste ore la notizia che , sulle questioni del salario minimo, si stia verificando persino un sorpasso “ da destra” da parte di Angela Merkel. Infatti nel  corso di una conferenza dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) a Ginevra, la cancelliera tedesca ha invitato l’Unione Europea a studiare un modo per garantire che tutti i paesi abbiano un salario minimo “comparabile”, sostenendo che dovrebbero esistere condizioni di lavoro uguali in tutta la UE. Non è la prima volta che la Cancelliera si pone in prima linea sui temi dell’equità del salario. In particolare, nel 2014, Angela Merkel riuscì, per la prima volta, a imporre un salario minimo comune a tutte le categorie per i lavoratori tedeschi che, fino a quel momento, ne erano stati sprovvisti. Attualmente in Germania il salario minimo orario è di 9,19 euro e dal 2020 sarà di 9,35 l’ora. Nel corso della stessa conferenza la Merkel ha anche posto l’accento sulla disparità di condizioni tra uomini e donne, anche e soprattutto nei posti di vertice delle aziende. “ Persino nei paesi industrializzati, l’uguaglianza tra donne e uomini nell’economia lascia molto a desiderare”, ha affermato. Tutti temi che , storicamente, avrebbero dovuto essere appannaggio della sinistra e del PSE. Tornando al salario minimo è interessante far notare che l’Italia è uno dei pochi paesi d’Europa che è ancora sprovvista di questo istituto , in compagnia di Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia. Molti di questi paesi, però, hanno redditi medi incomparabilmente più alti dei nostri. E’ giusto anche sottolineare che alcuni paesi , pur se provvisti di un salario minimo , si sono allineati a paghe orarie bassissime, come ad esempio Lituania (2,19 euro), Estonia (3,21), Portogallo (3,75) e Grecia (3,94). Quelle più alte, invece, sono Olanda (9,44 euro l’ora), Irlanda (9,80) e Lussemburgo (11,90 euro l’ora). La proposta del Movimento Cinque Stelle, ancora non ufficializzata in un disegno di legge, partirebbe da 9 euro all’ora per il nostro Paese. Attualmente il 22% dei lavoratori del settore privato si trova sotto questa soglia di retribuzione. È quanto emerge dalle stime elaborate dall’Inps su una platea di oltre 5 milioni di lavoratori dipendenti sulla base delle dichiarazioni contributive di ottobre 2017 (si tratta di lavoratori che hanno lavorato a tempo pieno per tutto il mese). Questa proposta non vede d’accordo ne’ la Confindustria ne’ i Sindacati ( e il PD). Naturalmente per ragioni opposte. La prima trova troppo alta ( incredibile ! ) questa soglia. Il Sindacato, viceversa, vorrebbe legare il concetto di salario minimo alla contrattazione collettiva sindacale, e così pure il Pd. Su questo tema la proposta presentata da Angela Merkel è certamente più interessante, proprio perché prevede una armonizzazione in senso europeo del salario minimo, partendo dalla necessità di esaminare “come possiamo avere retribuzioni minime comparabili”, prendendo in considerazione lo standard di vita in luoghi diversi. Infatti occorre valutare tutta una serie di fattori, come il peso dell’imposizione fiscale, l’inflazione e il costo della vita. Per fare un esempio l’agenzia europea Eurofound ha pubblicato un report che mette nero su bianco il peso del fisco sul salario minimo percepito dai lavoratori nei Paesi UE. In Belgio, che pure ha una tassazione elevatissima, l’imposizione per chi prende il salario minimo è al 4,25% (esattamente il contrario della Flat Tax). In Italia, di contro, il primo scaglione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche ammonta al 23%. In Belgio il salario minimo è di 9,4 euro, una cifra di poco superiore a quella proposta in Italia, ma il lavoratore gode di un vantaggio fiscale molto più ampio. Quindi, a parità di retribuzione minima, un lavoratore belga avrebbe un reddito netto superiore di quasi 20 punti di uno italiano. Inoltre sul reddito reale inciderebbero anche l’inflazione e il costo della vita.  L’idea di Merkel, però, è proprio quella di uniformare i paesi a un unico standard, ancorato al costo della vita nel paese in questione. E questo garantirebbe non soltanto maggiore equità di trattamento tra tutti i cittadini dell’ UE, ma anche maggiore equilibrio tra le aziende europee in competizione tra loro.
ROBERTO FIORENTINI