La Lega di Salvini: estrema destra di governo
di VALERIO MORI ♦
Il dibattito politologico (italiano e non) da tempo va soffermandosi su questioni come “populismo”, “sovranismo”, “razionalità aut-vel irrazionalità” della scelta politica, organizzazione della rappresentanza, democrazia diretta o non diretta (e persino, come nel caso di Viktor Orban, espressamente illiberale!) tentando di superare schemi ritenuti “vecchi” e indebitamente sopravviventi come quelli legati ai concetti storico-politici di “destra” e “sinistra”. Non così – e meritoriamente, nell’opinione di chi scrive – fanno Gianluca Passarelli e Dario Tuorto, professore di Scienza politica l’uno, di Sociologia generale l’altro, che hanno di recente licenziato per il Mulino il volume in discussione, il cui sottotitolo conta tanto quanto il titolo: Estrema destra di governo.
“La lega di Salvini”, accessibile anche ai non specialisti, ma non per questo meno solido nelle sue analisi, costituisce il punto di snodo di studi più che decennali che i due Autori hanno svolto con costanza sul partito della Lega (nord); e basterebbe questo per sgombrare il campo da equivoci: il libro di Passarelli e Tuorto non è un pamphlet (non ne ha i tratti, né le movenze né le finalità) e neppure un Instant Book: non parla infatti di un successo elettorale in modo estemporaneo (e men che meno apologetico), è un serio studio politologico, pubblicato da un serissimo editore specializzato, e come tutti i seri studi politologici non si esaurisce nella presentazione di dati: piuttosto, sulla base di accurate rilevazioni empiriche si propone di dimostrare delle tesi e falsificarne (per conseguenza) altre.
Le tesi che Passarelli e Tuorto propongono (in sintesi) sono tre:
- la Lega di Salvini, a dispetto dei proclami del leader e a dispetto del fatto che non si chiami più Lega “nord” non per questo è diventato un partito “nazionale”, è bensì diventato un partito nazionalista, il che – evidentemente – non è affatto la stessa cosa;
- la lega – sotto le insegne incerte, indeterminate e strutturalmente retoriche del “buon senso” – ha compiuto una transizione che è in tutto e per tutto ideologica, il cui approdo è l’estrema destra;
- il volume osserva come la Lega (nord) nelle sue piattaforme programmatiche rappresenti gli interessi della parte di popolazione meglio tutelata.
La prima tesi è argomentata analizzando la piattaforma politica che la Lega (quella di Salvini come quella di Bossi) ha sostenuto e sostiene con costanza: scioglimento sino al sostanziale disfacimento dei vincoli di solidarietà fra il Nord e il Sud del paese – prova ne sia il tema recentemente riemerso della Autonomia differenziata. Per altro verso: la flat tax tende manifestamente ad avvantaggiare quei lavoratori autonomi con alti redditi, mentre “quota cento” si rivolge a quei lavoratori regolarmente contrattualizzati (sia nel pubblico che nel privato) in giovane età, i quali si collocano principalmente nelle regioni settentrionali del paese; inoltre: l’insistenza sullo sviluppo delle infrastrutture è pressoché unidirezionalmente rivolta alle infrastrutture “del Nord”.
In questo senso – più che segnare una discontinuità – emerge una sostanziale continuità con obiettivi storici della Lega di Bossi. Ciò smentisce una fra le più consuete vulgate ripetute acriticamente a proposito del successo elettorale della lega: la lega non intercetta quote consistenti di elettorato nelle fasce deboli – i così detti “ultimi” -: ha un elettorato (vedi infra) che si caratterizza in modo differente rispetto al mitico “operaio che prima votava PCI ed oggi vota Lega”, come acriticamente si sente da più parti e da qualche tempo ripetere.
Si accennava al tema delle affinità e divergenze fra la Lega bossiana e quella salviniana; ebbene, la prima essenziale differenza consiste nell’organizzazione del partito: mentre le Lega nord era organizzata come un partito novecentesco, con una notevole partecipazione “dal basso” la Lega salviniana, in netta contrapposizione a quel modello, adotta una struttura fortemente verticistica (tabella 2.3, p. 45), nella quale il ruolo del leader è non solo preminente, ma si sarebbe tentati di dire esclusivo e intimamente plebiscitario, articolato attraverso l’impiego tattico di dicotomie tipiche dei populismi di destra (élite/popolo; noi/loro ecc.) rifiuta ogni possibile intermediazione fra “base” e “vertice”. Da ciò deriva che, mentre la Lega Nord era un partito che ammetteva una pluralità di anime al suo interno, sia pure con – meglio: sotto – la preminente e carismatica figura di Umberto Bossi, la Lega di Salvini è sempre più un partito “personale”, che riduce in maniera drastica gli spazi di dialettica interna sostituendoli con il piglio decisionista ed autoritario-burocratico del leader (pp. 38-39).
Alle modalità sostanzialmente verticistiche si accompagna una modalità comunicativa articolata intorno al concetto – strutturalmente e tatticamente indeterminato – di “buon senso”: «il buon senso non è una categoria politica. […] la storia delle dottrine politiche non avvera testi sul buon senso» (p. 47), il che significa che esso non è un contenuto né un indirizzo programmatico sia pure di massima, per così dire, piuttosto costituisce un éscamotage retorico, un frame narrativo, per ammantare di presunto “pragmatismo” e “realismo” posizioni che non di rado hanno un contenuto sostanzialmente ideologico, nel caso in discussione orientato marcatamente a destra.
Ciò introduce quello che pare a chi scrive essere il contenuto politicamente più saliente del volume: la Lega è un partito sempre più di estrema destra, avvezzo al governo (nazionale e locale) ma non per questo sprovvisto di una carica ideologica che ne determina la chiara collocazione, riscontrabile in maniera palmare nelle posizioni assunte su immigrazione (con toni talvolta apertamente segregazionisti); cooperazione internazionale – non di rado in spregio ai trattati internazionali che l’Italia ha sottoscritto, se non addirittura promosso –; collocazione sulla scena politica internazionale (la vicinanza recentemente ribadita ad un personaggio come Viktor Orban e a Vladimir Putin), e da ultimo richiami simbolici al periodo fascista, con l’aperto disprezzo per le cerimonie del 25 Aprile (ulteriore elemento di distanza dalla Lega bossiana, che invece rivendicava l’eredità resistenziale) e discorsi tenuti da famigerati balconi.
Ulteriore spia del ricollocamento ideologico decisamente a destra del partito salviniano è il rapporto con la religione: la Lega salviniana si fa costantemente promotrice di una visione fortemente tradizionale improntata alla triade “Dio, patria, famiglia” e a un persistente richiamo ad una interpretazione largamente unilaterale e – di nuovo – tradizionalista del patrimonio culturale e politico dell’Occidente – la questione delle “radici cristiane” -, ricalcando in ciò alcuni dei tratti più discutibili di recenti discorsi orbaniani. Per cogliere ove risieda l’interpretazione unilaterale (e strumentale) delle radici cristiane d’Europa ci si dovrebbero porre alcune semplici domande, quali ad esempio: come negare che l’Illuminismo sia un frutto della cultura occidentale, e che al tempo stesso l’Illuminismo si sia sviluppato entro la radice ecumenica, che risale alla polemica anti-schiavista e anti-segregazionista di Bartolomé de la Casas? e come negare che la Dichiarazione universale dei diritti umani lo sia allo stesso modo? E come negare che il cosmopolitismo politico e la tolleranza religiosa siano tratti distintivi della Weltanschauung europea, elementi – questi – costantemente oscurati, nell’atto di elencare – e di occultare – le “fonti” della cultura occidentale?
Quanto al terzo punto d’analisi, il volume esibisce dati, rilevazioni empiriche dalle quali si evince l’identikit dell’elettorato leghista nella sua più consistente porzione: maschile, tendenzialmente poco istruito, superiore ai quarant’anni di età, con una posizione sociale ed economica sufficientemente solida (pp. 83 ss.): non – quindi – i «diseredati delle periferie», bensì attori sociali e politici sostanzialmente garantiti.
Non manca – naturalmente – una analisi politologica diretta a spiegare l’evidente incremento di consenso che il partito salviniano sta ottenendo: da un lato si riconosce – con acume – che è in atto un tentativo su scala internazionale (USA, Brasile, vari paesi europei) di egemonia sulla cultura del quale si fa interprete, in Italia, soprattutto la Lega: questione che viene da lontano e che ha la sua germinazione nella crisi, crisi economica e crisi della democrazia rappresentativa; dall’altro si sottolineano fattori più legati al contesto italiano, principalmente da rintracciarsi nell’implosione di Forza Italia e dell’ex centro destra, il cui elettorato e i cui gruppi dirigenti sono in buona parte transitati sotto le insegne di Alberto da Giussano, senza per questo poter (almeno sino ad oggi) concorrere a ridefinire l’agenda politica del partito, che rimane sostanzialmente in capo al leader e che rimane sostanzialmente declinata in una visione parziale (filo-nordista) dell’interesse nazionale.
Questi ed altri i temi affrontati dal volume di Passarelli e Tuorto, che non ha mancato di suscitare consistenti dibattiti dentro e fuori del perimetro accademico e dentro e fuori del quadro italiano, prova ne siano le presentazioni tenute in qualificate sedi in Belgio (Bruxelles), in Finlandia e Francia.
VALERIO MORI
“La Lega di Salvini” sarà presentato e discusso con uno degli Autori – Gianluca Passarelli – anche a Civitavecchia, martedì 7 maggio, dalle ore 17.00 presso il Think Tank Co-Working: con Passarelli lo discuteranno, oltre a chi scrive, Dario Quattromani (Link Campus University – Roma).