Il Sessantotto ed i sogni perduti.

di ROBERTO FIORENTINI ♦

Venerdì 19 ottobre è andato in scena al Teatro Nuovo Sala Gassman uno spettacolo intitolato “ 1968. Formidabili quegli anni ? “.

Si tratta di un lavoro, presentato nell’ambito della rassegna Il Pensiero e la Scena, ideata e organizzata da Ettore Falzetti, scritto ed interpretato da me e dal mio socio in scorribande teatrali Gino Saladini e dal gruppo dell’amico Ettore.

Lo spettacolo ha provato a raccontare , in un mix di linguaggi teatrali, la portata di quegli anni, nel bene e nel male indimenticabili, come dice una battuta dello spettacolo. Ed ha provato a farlo in modo laico e non ideologico, con lo sguardo attento a ciò che accadeva in tutto il Mondo e in ambiti diversissimi.

Si è parlato dell’Italia, della politica e dei famosi scontri di Valle Giulia, ma anche delle Olimpiadi di Città del Messico e delle battaglie dei neri d’America. Uno sguardo a volo d’uccello, dall’alto, uno sguardo attento ed affettuoso ma certamente anche ironico e disincantato. Aver lavorato con ragazzi di vent’anni, o poco più, mi ha permesso una riflessione ulteriore, che vorrei condividere con gli amici lettori di SpazioLibero Blog.

Non starò a parlare ulteriormente dell’importanza del ’68 nella storia contemporanea e di quanto le spinte e gli avvenimenti di quel periodo, abbiano contribuito a trasformare i costumi ed il modo di pensare di tutti – o quasi – gli abitanti del Pianeta. Mi interessa, invece, provare a capire quanto ancora ci sia , nelle coscienze dei giovani del Nuovo Millennio, che possa esser considerato frutto od eredità delle battaglie di quegli anni. Dopo cinquant’anni.

Per farlo, ritengo sia necessario partire da una premessa. L’idea che mi sono fatto , parlando con i ragazzi ma anche con persone di varie età, è che la società attuale è certamente anche il risultato degli sconvolgimenti culturali, figli di quei tempi. Ma se lo è, lo è in modo inconsapevole. Mi spiego: se oggi, ad esempio, ragazzi e ragazze neppure si pongano l’interrogativo se è giusto che uomini o donne siano uguali è certamente grazie a decenni di lotte femministe, avviate proprio alla fine degli anni ’60. Ma quei ragazzi e quelle ragazze non lo sanno.

Per loro è normale che la mamma lavori ed il papà vada qualche volta a fare la spesa e passi l’aspirapolvere. E’ normale che li abbia portati a spasso in passeggino, gli abbia cambiato il pannolino e che la mamma, ogni tanto, esca con le amiche a prendere un aperitivo. E’ normale, è così da sempre, da quando sono nati. Per loro è sempre stato così. Ma voi sapete che cinquanta anni fa non lo era. Ed anche un quasi sessantenne come me, che nel Sessantotto era ancora un bambino, talvolta dimentica quanto i costumi siano cambiati negli anni. Uno della mia età dovrebbe avere chiaro in testa il cambiamento cui ha assistito. Quando ho iniziato ad uscire con le ragazze, ad esempio, era abbastanza raro trovarne qualcuna cui i genitori permettessero di ritornare a casa a tarda notte. Oggi, i pub sotto casa mia, in una delle vie della movida civitavecchiese, prima delle 23,30 sono praticamente deserti. Insomma i costumi e le abitudini personali sono irreversibilmente cambiati ed è praticamente impossibile pensare che ritorni la società patriarcale e misogina degli anni ’60, con il padre padrone, la moglie sottomessa ed i figli ubbidienti e mansueti.

Un ragazzo di vent’anni di oggi non riesce neppure a concepire che il padre possa, ad esempio, decidere cosa tutta la famiglia debba guardare in TV. Lui se ne va in camera sua e si guarda le sue serie preferite su Netflix con la sua Playstation. E’ facile capire che per un millenial, in famiglia, non ci siano affatto gerarchie rigide e prestabilite. Insomma la ventata di libertà, nell’ambito dei rapporti personali, famigliari e tra i sessi – compresi i costumi sessuali – è ormai il mainstream della società occidentale. In quest’ambito il lascito del ’68 è vivo e vegeto ma, proprio perché inestricabilmente assorbito dalla società non è più percepito come tale. Non è più il frutto di un cambiamento ma è la normalità, è il presente, la consuetudine. Mi pare di poter dire che non è così , invece, per la politica. Od almeno, molte delle conquiste di quegli anni, frutto di durissime battaglie, di scontri persino sanguinosi, di scioperi interminabili, si stanno, via via , disgregando. Insomma, stiamo assistendo a fenomeni, per me preoccupanti, di regressione e di restaurazione. Del pacifismo si sono perse , praticamente, le tracce. Un approccio come quello di Gandhi o di Martin Luther King, nella gestione dei conflitti sociali, è sostanzialmente impensabile.

Anche nei rapporti tra le Nazioni si sta tornando allo sdoganamento di ideologie che sembravano svanite. Si parla di nuovo di Nazionalismo, solo che oggi si chiama sovranismo. Anche l’Europa Unita, figlia dei migliori sogni degli anni ’60 e che ha assicurato decenni di pace nel nostro Continente, martoriato da due terribili conflitti, nella prima metà del secolo scorso, viene, oggi, ri-messa in discussione. Il razzismo è ancora ben presente nella nostra società, però declinato come lotta all’immigrazione clandestina. Il sindacato, che ha avuto un ruolo fondamentale nelle conquiste salariali, pensionistiche e di tutela del lavoro, è sempre più marginalizzato. Lo stesso rapporto tra lavoratori e datori di lavoro sembra regredito alle dinamiche degli anni ’50, con fenomeni macroscopici di sfruttamento, di precariato, di sopraffazione. Del resto ciò che davvero si è persa, in modo drammatico, rispetto agli anni di cui parliamo, è proprio la dimensione collettiva. Ed oggi, per moltissimi, risulta davvero difficile ricordare quanto le persone abbiano ottenuto, in termini di diritti e di equità, proprio grazie alla forza di movimenti collettivi, di partiti e di sindacati. Ed altri proprio non lo sanno, perché non li hanno mai neppure visti. Oggi ciascuno è solo. Dietro i suoi schermi tv, i suoi monitor del pc, dietro il suo smartphone.

Forse, dopo cinquant’anni, è tempo di un bel revival.

ROBERTO FIORENTINI