ALIEN E OMERO: COMPETENZE, RUOLI E RESPONSABILITÀ Parte 1
di FEDERICO DE FAZI ♦
Benvenuti al nostro nuovo incontro dove ci muoviamo tra le tematiche della prima opera di narrativa occidentale mai scritta, vale a dire il Ciclo omerico, la cui bellezza artistica resta ancora fonte di ispirazione, e l’ultima fatica di Ridley Scott, Alien Covenant, che purtroppo fallisce miseramente nel suo intento, nonostante le portentose tecniche di narrazione cinematografica e l’eccellente materiale di base.
Nelle nostre tappe precedenti abbiamo parlato di come possiamo affrontare le tematiche della Fede e della dualità tra razionalità e irrazionalità. Questa volta parleremo di un’altra tematica importante per costruire le relazioni tra i personaggi della storia e l’ambiente che li circonda: le competenze.
Per competenza intendo il misto tra la possibilità effettiva di fare qualcosa, il saper fare quella cosa e tutto quell’insieme di nozioni teoriche e pratiche che accompagnano quella cosa. Senza queste tre componenti una persona non può definirsi competente, offrendo alla trama risvolti interessanti.
La competenza di un individuo dovrebbe determinare saldamente il suo ruolo nella gerarchia sociale. Un capo ha una determinata competenza, un ingegnere ne ha un’altra e un soldato un’altra ancora. Tutti loro hanno un posto e, dove finisce la competenza dell’uno, inizia quella dell’altro.

Utopia, l’isola ideale creata da Thomas More
Questa prospettiva, degna di un’utopia cinquecentesca o dell’ideale Repubblica di Platone, è realisticamente irrealizzabile. A memoria d’uomo e di scrittura le società umane sono da sempre piene di individui incompetenti che occupano ruoli che non gli spetterebbero, così come individui competenti che invece si trovano degradati a ruoli che non permettono alle loro competenze di essere messe in atto.
Altre situazioni possono essere quelle di individui con capacità innate che non hanno modo di acquisire le nozioni o gli strumenti per consolidare la loro competenza o di qualcuno dotato di strumenti e mezzi non ha le capacità di farli fruttare.
Tutte queste situazioni sono possibili spunti per una storia. Una storia infatti, nel rispetto della trilogia aristotelica, si basa su una situazione da cui emergono tensioni, le quali si esplicano nella parte centrale e si risolvono nella conclusione.
Un potenziale o un’ambizione inespressi sono ottimi spunti per creare la tensione nella nostra storia.
Ma teniamoci nel campo delle tematiche e parliamo di un uomo che di competenze ne ha forse troppe: Odisseo.
Odisseo ha così tante competenze che in certi momenti preferisce fare a meno di alcune per sembrare più umano.
Egli infatti è un grande navigatore, un eccellente condottiero, un fine stratega, un esperto combattente, un conoscitore sopraffino di inganni e sotterfugi, capace di rapportarsi senza alcuna difficoltà con uomini e déi. Odisseo è un uomo a cui è il caso di affidarsi in ogni circostanza se gli si è amico e dal quale è meglio fuggire lontano se gli si è nemico. Addirittura, di fronte ai Proci che insidiano il letto di sua moglie e profanano la sua casa, Odisseo tira fuori una competenza che fino a quel momento ci era ignota: egli è anche un arciere formidabile!
Un uomo perfetto che forse sarebbe il caso tenere da parte se si volesse raccontare una storia, perché Odisseo non ha limiti. Non c’è nulla che l’eroe non possa fare con il suo ingegno multiforme e la sua prestanza fisica.
Lo stesso nome di Odisseo ci viene a dire che qualcosa non va: esso è infatti troppo affine al verbo greco odyssomai, che significa “sono odiato” e alla parola oudeis, che significa “nessuno”, per non destare sospetti sulla credibilità e la spendibilità di un personaggio simile in una narrazione godibile.
Se pensiamo poi che Odisseo potrebbe aver avuto venticinque anni quando è partito per Troia e che, tra guerra e peripezie, ne sono passati altri venti, alla fine delle sue avventure ha superato di almeno dieci anni l’aspettativa di vita media di un uomo dell’Età del bronzo (mantenendo tra l’altro la prestanza fisica di un giovinetto), potremmo sospettare che, anche all’epoca in cui gli aedi cantavano le sue gesta, già qualcuno storcesse il naso, pensando che quel personaggio non fosse poi così credibile.
Qual è la tensione di Odisseo? Il genio aedico ci viene di nuovo incontro e ci dice questo: egli è simile a un dio. Ha le competenze di un dio, ma resta un uomo.
A Odisseo spetterebbe di piegare il mondo alla sua volontà, ma non può farlo. Potrebbe passare l’eternità a guardare le formiche umane affannarsi per portare un chicco di grano dentro il formicaio, ma è lui una di quelle formiche.
L’unica vera aspirazione di Odisseo è di essere felice. Lui vorrebbe passare la sua vita libero di sapere e conoscere, per poi spegnersi di serena vecchiaia circondato dall’affetto dei suoi cari e dalla stima dei suoi vicini. Per fare ciò egli è disposto a spendere ogni fibra del suo magnifico cervello e spingersi al di là di ogni limite, morale e fisico, pur di tornare infine ai lidi di casa.
Ma gli déi, forse invidiosi perché lui è in grado di arrivare col suo genio dove loro, nella loro ottusa natura bidimensionale, non possono, lo costringono a vagare per mare, finché un giorno non troverà un luogo dove gli uomini non conoscono il remo e allora, finalmente, il nostro eroe potrà tornare a casa e riposare felice.
Sentite la forza di tutto ciò? La ribellione e la lotta di un uomo per una vita degna di essere vissuta? Come può una storia simile non sopravvivere in eterno?
Competenza e ruolo sono invece coerenti in Achille. Egli è il condottiero dei Mirmidoni, le Formiche, chiamati così per le loro armature nere. Achille occupa il suo posto con grazia ed eleganza e guai a chi osa tentare di usurparlo.
Agamennone ci proverà, privandolo della sua schiava, ed ecco che Achille priverà il re miceneo della sua insuperabile competenza guerriera, al punto che la sua assenza equivarrà quasi alla sconfitta dell’esercito degli Achei.
Il ruolo di Achille è dato dalla sua panoplia, la sua armatura. Quasi una maschera in grado di infondere coraggio nei suoi alleati e terrore nei nemici. Ed è proprio nel momento in cui questa maschera viene dismessa che nascono i nodi legati alla tematica che stiamo affrontando.
Achille non è più il primo dei guerrieri di Agamennone ed ecco che l’esercito acheo si incammina verso la disfatta; Patroclo ruba la sua armatura, infondendo coraggio nei suoi uomini ma, non in possesso delle competenze richieste dal ruolo, viene ucciso da Ettore; l’eroe troiano si impossessa a sua volta dell’armatura di Achille, esibendola come trofeo di guerra e fregiandosi quindi del ruolo del proprietario, vale a dire del più forte guerriero vivente.
Ecco allora che il nodo viene improvvisamente sciolto. Achille viene dotato di una nuova panoplia di forgiatura divina. Questa nuova, stupenda, armatura, forgiata con tecniche che potrebbero far pensare alla fantascienza dell’epoca, è il simbolo di una “promozione” per Achille.
Achille nella panoplia di Efesto non è più il primo dei guerrieri achei, ma è il primo dei guerrieri in assoluto. Araldo della gloria marziale, esempio per le generazioni a venire, spada di vendetta e mano del destino che vuole gli Achei trionfanti su Troia.
Interessante quanto gli aedi omerici siano colmi di ironia, sapendo che Achille verrà ucciso dal vigliacco Paride e che la guerra di Troia finirà grazie all’astuto inganno di Odisseo, al quale il ruolo dell’eroe guerriero sta troppo stretto e aspirerebbe di più a quello del padre, del marito o al più del navigatore.
Ma presto dovremmo lasciare la fantastica ispirazione dell’opera omerica per avventurarci in un mare insidioso di opere ben più recenti. Vi do appuntamento alla prossima settimana con l’ultimo capitolo di questa serie.
FEDERICO DE FAZI