AAA CERCASI SINISTRA
di TULLIO NUNZI ♦
E’ ormai una abitudine consolidata, da parte di partiti e movimenti parlare a nome del popolo, della gente, dei cittadini. Mi chiedo se esistono ancora meccanismi democratici che permettano ad un cittadino di partecipare alla elaborazione di un progetto, di un programma politico.
A mio avviso siamo di fronte a forme di apatia politica, a una politica ridotta all’amministrazione tecnica dell’esistente. Tutti intervengono esponendo le proprie ragioni ma non basta avere ragione. La supponenza dei partiti e in particolare di quelli di sinistra, inoltre, è rilevante; quella sinistra dal pensiero infallibile, insindacabile, culturalmente superiore, con il complesso dei migliori, con verità inscalfibili. Ma dovrebbero essere gli altri, popolo e cittadini a riconoscere semmai queste virtù. Purtroppo cosi non è stato, almeno nelle ultime elezioni.
Si perdono nella notte dei tempi, al di fuori di rarissimi casi, assemblee, incontri per la elaborazione di un progetto. Al di là di affollate riunioni per l’elezione di qualcuno, nessuno dei partiti ha avviato percorsi per dare risposte alla complessità del nuovo contesto sociale, ha elaborare un nuovo modello sostenibile, a fronte di risorse inferiori rispetto al passato.
Venuto meno l’involucro partito che per due secoli ha caratterizzato il nostro sistema democratico, i rapporti tra popolo e politica si sono assai raffreddati.
La rete ha soltanto in parte risolto i problemi. Per quanto mi riguarda credo ormai in forme di cittadinanza attiva, come possono essere movimenti politici culturali o questo stesso blog.
In sintesi un cittadino che voglia esternare, avanzare proposte, di quali circuiti democratici si può avvalere? Voglio quindi utilizzare questo spazio per evidenziare alcune problematiche e sviluppare alcune riflessioni che spero possano dare vita a discussioni e confronti.
Spero che questo mio contributo, come altri che mi auguro verranno, possa essere spunto per eliminare quel rapporto di impotenza con la realtà, assai comune a tutti i partiti.
Mi si potrà chiedere “gaberianamente” se a destra o a sinistra. Francamente non so dare una colorazione.
Mi riconosco in coloro ai quali pesa la sofferenza, che praticano il dubbio in luogo delle certezze assolute, e ai quali piacerebbe una politica antipolitica. Una politica intesa non come tecnologia del potere, molto spesso arte dell’inutile, ma intesa come moralità concreta, rispetto della verità profonda, lealtà e chiarezza nei confronti degli elettori. Credere in alcuni valori sapendo che ce ne sono altri altrettanto rispettabili; aderire a idee senza restarne succubi, e grande indipendenza critica: questo è l’approccio deiderabile.
Poiché ho fondato un circolo, che ha il compito di sgominare retorica e luoghi comuni, di cui si abbonda a sinistra, poiché sto sfiorando il vacuo, entro nel pratico.
Cominciamo con quello che sembra il problema principe, quello della immigrazione.
Non condivido quasi tutte le posizioni della lega, però credo che un problema per un cittadino che si sente minacciato nella propria identità globalizzata, esista.
La caduta delle frontiere fisiche e culturali creano disagi rilevanti a gran parte del popolo; si può non condividere questa opinione, posso anche combatterla, nel nome di ideali diversi. Di una cosa però sono certo, non si può irregimentarla né ignorarla, inserendola nelle vecchie classificazioni di fascismo o estremismo.
Frontiere aperte per tutti, o accogliamoli tutti, significa non affrontare il problema.
Il mantra dell’apertura e integrazione indiscriminata, senza porsi il problema delle tensioni che suscita, significa lasciare territori di conquista ai nuovi razzisti.
Credo che bisogna dare risposte. A mio avviso qualcosa si era iniziato con Minniti, affondato come al solito dal fuoco amico della sinistra.
La nostra città sta vivendo tragici momenti per una disoccupazione dilagante.
Ovvia la necessità della difesa dei posti di lavoro. La sensazione è che esistano purtroppo lavoratori di serie a e di serie b.
Per alcuni tutti sono disposti a scendere in campo, per altri un assordante silenzio.
Vicinanza e solidarietà per tutti i lavoratori, ma è necessario pensare alle aziende che creano i posti di lavoro.
Se una azienda in questa città è sottoposta a obblighi fiscali superiori al 60% (dato CNA)
ovviamente significa impedirle di crescere.
Deve essere chiaro che il lavoro non esiste indipendentemente dall’impresa e dai consumatori.
Pertanto vanno tutelate le famiglie e le imprese, in particolare le piccole imprese che a Civitavecchia garantiscono il 70% dell’occupazione.
Tralascio che sulla proposta di creazione dell’outlet a Fiumaretta, esclusi rari casi, nessun partito ha preso una posizione chiara.
Singoli esponenti, comunicati stampa. Si vorrebbe conoscere, per rispetto delle 5000 imprese presenti a Civitavecchia, la posizione dei diversi partiti ed aggiungo delle varie associazioni, sul progetto dell’amministrazione comunale, che nonostante l’opposizione delle categorie continua ad essere portato avanti.
L’outlet oltre ad essere deleterio per tutte le aziende commerciali, metterebbe in crisi quel primo accenno di rapporto e sinergia tra porto e città; i croceristi, nonostante la scarsa attenzione, portano in città 90 milioni di euro l’anno e l’outlet metterebbe fine a questo primo accenno di sviluppo commerciale.
L’opposizione all’outlet significherebbe dare un cenno di attenzione a quegli imprenditori, anch’essi un patrimonio da tutelare, ma molto spesso ignorati o visti con occhi sospetti.
Civitavecchia avrebbe bisogno di investimenti, ma tra imposizioni fiscali alle stelle e servizi inadeguati e inefficienti, si trova a vivere un profondo disagio economico e sociale.
Ho guardato con grande attenzione alla volontà di affidare lo Stadio Fattori, per anni gestito male dal pubblico, ad imprenditori privati seri, che non hanno la propria sede presso le isole Cayman.
Poiché le municipalizzate di questa città, cosi come in gran parte d’Italia, sono sottoposte a sprechi che hanno lasciato traccia nelle bollette pagate da cittadini e imprese; sprechi che sono la ragione della quintuplicazione delle tasse negli ultimi 20 anni, io chiedo se non sia possibile avviare una riflessione pacata, non ideologica, non su servizi essenziali come l’acqua, per una possibile limitata attività del privato, in servizi pubblici che sono allo sfascio completo.
Merito e competenze sono due parole rivoluzionarie: poco utilizzate e ancor meno praticate da gran parte della politica.
A competenze e meriti, sono stati preferiti fedeltà ed accondiscendenza. Nella trentennale esperienza che ho nei settori del commercio turismo e trasporto, ho sentito, da parte dei vari assessori, affermazioni da sentenze penali.
Ma l’assessore è un ruolo politico, è giusto che venga scelto dalla politica: difficilmente ho visto comunque assessori riconfermati, e bisogna chiedersi il perché.
Per quanto riguarda organismi e ruoli tecnici, che necessitano di grande competenza, la politica ha fatto opera di invadenza assurda nelle nomine dei cda. In ruoli dove le competenze tecniche erano imprescindibili sono stati preferiti inetti o incompetenti, ma fedeli. In molti hanno anche avuto problemi con la giustizia.
Scegliendo mediocri in ruoli determinanti per lo sviluppo della città, la città stessa è diventata una città mediocre, perché non rispondeva ai cittadini, al popolo, ma al potente di turno, senza ambizioni per il futuro.
Si prenda l’impegno di riavviare una stagione fatta di merito, curricula, conoscenze, competenze, anche per dare un speranza ai giovani e per riavviare l’ascensore sociale.
Poiché non ho problemi di popolarità né ambisco ad essere popolare, mi rivolgo alla sinistra ed ai sindacati, per la proposta del vice presidente del consiglio sulla regolamentazione della chiusura dei centri commerciali, tema fondamentale per aspetti economici e sociali, che io ovviamente condivido.
La questione è creare un equilibrio dopo il disastro delle liberalizzazioni. Non hanno creato più lavoro come si pensava; i consumi sono calati ed è aumentata la crisi nel retail, con un impatto pesante sulle periferie del nostro Paese, che con queste aperture si sono svuotate e non vengono più vissute dalla comunità.
Si immagini che in GB si fa l’inverso, si permette ai piccoli di stare aperti ma non ai grandi. Credo che questa fosse una battaglia per la sinistra, troppo attenta alle grandi aziende, alle banche e a quei poteri forti sempre tirati in ballo, ma spesso presenti a sinistra.
I problemi della sinistra non vengono da complotti o congiure; se li è creati lei stessa e lei deve risolverli.
Certo è che nonostante ci si appelli al popolo esiste un vero baratro tra sinistra e popolo.
Carenze e spietatezza da parte dell’élite eurocratica (vedi Grecia e non solo) puntellata dalla sinistra.
La gente pensa che l’immigrazione possa diventare, a lungo andare un pericolo? La sinistra afferma che la diversità è un valore.
La globalizzazione è un problema che tocca le classi più povere? Per la sinistra è una opportunità che va colta.
Ha ragione Ricolfi quando dice che manca una etica delle responsabilità, e a sinistra si rifanno invece all’etica dei principi. La sinistra non è un’autorità spirituale, come il Papa. Non è ecumenica, e deve, o meglio dovrebbe, pensare a diventare maggioranza.
Ma cosi continuando si sta candidando alla irrilevanza.
TULLIO NUNZI
Intanto dobbiamo distinguere di quale sinistra parliamo: del PD? o delle piccole galassie che insieme al PD hanno determinato la sconfitta epocale del 4 marzo 2018? Credo che la riflessione vada estesa al livello nazionale ma anche europeo e gli approfondimenti riportati su questo blog da Nicola Porro possano aiutare a comprendere.
Penso però che la sinistra abbia davanti una occasione storica: cambiare radicalmente l’atteggiamento , le azioni, i comportamenti , ampliare le proprie analisi o come dice il nostro amico ” candidarsi all’irrilevanza”.
Qualcuno afferma: “basta con le formule astratte, tipo “centro sinistra allargato, fronte repubblicano etc. etc.. il futuro non nascerà dall’attuale classe dirigente nei palazzi della Capitale”. E’ vero, condivido, bisogna invertire la logica delle riforme dall’alto, che non ha tenuto conto della disoccupazione giovanile, l’immigrazione, creando un distacco profondo tra il popolo e l’élite. Ritorniamo nelle periferie delle città dove le contraddizioni sono evidente, ma non facendo semplici operazioni di Marketing, come l’ ultima segreteria del PD “delocalizzata” a Tor Bella Monaca. C’è un sociale che vive ancora in questa Italia rabbiosa e demoralizzata, piccole realtà ben amministrate, organizzazioni di volontariato che aiutano gli immigrati nel processo di integrazione, realtà economiche che vivono e convivono con la grande distribuzione o gli outolet. Per fare questo, nelle amministrazioni locali c’è bisogno di menti aperte, preparate, non inserite in logiche di difesa delle correnti o di guerre di posizione all’interno dei partiti, c’è bisogno di una visione che vada oltre le attuali socialdemocrazie ormai al tramonto. Bene, allora partiamo da noi stessi, come ho sempre affermato, dalla nostra quotidianità, nel mutare i rapporti sociali, nella condivisione, ricostruiamo una comunità attraverso il confronto, l’elaborazione di idee , progetti e programmi, e il presente blog potrebbe essere, localmente un buon inizio.
Grazie
Marina Marucci
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Letto tutto d’un fiato col cellulare, condivido totalmente, e mi piacerebbe dare il mio contributo. Credo con Tullio che proprio la negazione delle criticità sia una delle cause maggiori di questo distacco, assieme alle altre citate da Tullio. La speranza è che quelka che chiamiamo “società civile” riesca a trovsre un ruolo da protagonista e ad influenzare fortemente l’aziine e l’essere dei partiti. Chissà.
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Anonimo sono io Luciano Damiani
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Condivido nella sostanza gli argomenti di Tullio e ringrazio Marina del riferimento al mio lavoro. Posso solo aggiungere che, riguardo ai problemi lucidamente esposti nell’articolo, non vedo alternative a una mobilitazione della società civile, dentro e fuori le forme tradizionali della politica. Credo sia finita la stagione del collateralismo, per cui la “politica” costruiva sottosistemi organizzativi e di consenso modellati sugli interessi diffusi e funzionali al consenso elettorale (le organizzazioni di area dei partiti di massa sono storia ancora recente). Insieme, mi rendo conto che un appello così generico alla società civile serve a poco in assenza di un progetto e di un programma. Per questo abbiamo bisogno di una ripartenza della sinistra. L’alternativa rischia di essere non tanto l’indebolimento della società civile bensì l’affermarsi di una società incivile. Purtroppo i sintomi non mancano.
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