LO SPORT ED I SUOI CONTENUTI EDUCATIVI

di STEFANO CERVARELLI ♦

motivare: lavoro difficile ma bello

Nel rapporto tra istruttore (ma vale per qualsiasi figura di educatore) e giovane, un fattore importante è la ricerca continua di motivazioni che infonda negli atleti la giusta carica e li porti ad impegnarsi con costanza nella loro attività.

Quando una persona, di qualunque età, ha una ragione, un motivo, per fare una certa cosa, si può essere sicuri che il suo impegno sarà totale e pieno di entusiasmo. Una motivazione che, senza dubbio, risulterà fondamentale specialmente, quando, passato il primo periodo di entusiasmo, arriveranno i momenti di “stanca”.

Ma come motivare? Quali sono le leve sulle quali agire?

Dato che motivare significa far scattare stimoli interni, è necessario, per prima cosa che l’insegnante, l’istruttore si adoperi per ascoltare i ragazzi, raccogliere le istanze, capire le loro esigenze.

Negli Stati Uniti, a tal proposito, c’è uno slogan che dice pressappoco così: ”Non vendere quello che hai, ma cerca di sapere cosa vuole l’acquirente e vendi quello”.

Dunque la motivazione è il risultato di un contatto continuo, di un dialogo, di un progetto che, come dicevo la scorsa volta, deve vedere attive tutte le parti in causa.

Da qui scaturisce netta l’idea che la motivazione non è qualcosa di neutro, asettico, una regola quasi matematica da applicare sempre ugual in ogni caso; le motivazioni variano con l’età di chi deve essere motivato, variano a seconda del tessuto sociale nel quale si opera, variano con gli scopi da raggiungere ed anche in base alle strutture e ambienti nei quali si lavora e, per ultimo, variano anche in base all’identità ed alla personalità sia dei singoli che del gruppo.

A questo proposito può essere utile un cenno alla mia esperienza personale di quando allenavo squadre giovanili di basket.

In questo caso faccio riferimento al gruppo per il quale uno dei maggiori problemi era proprio quello di trovare sempre motivazioni differenti, proprio perché differenti erano le situazioni che si venivano a creare, sia a vero e proprio livello agonistico, sia perché nei giovani atleti sbalzi di umore, di entusiasmo, non sono rari, creando problemi di equilibrio anche in seno al gruppo. Questo anche perché a differenza di quanto si possa pensare i giovani, quando scendono in campo fanno fatica a liberarsi dei loro problemi, di ogni tipo. Purtroppo episodi di questo genere mi hanno provocato delle tristi esperienze.

Nel mio lavoro comunque proprio i gruppi mi sono stati di grande aiuto, nel senso che questi erano formati da giocatori e giocatrici che oltre a ritrovarsi sul campo negli orari di allenamento, erano anche amici fuori, nella vita di ogni giorno; questo contribuiva molto al formarsi della dialettica nella quale si svisceravano le problematiche di squadra, diventando poi più facile parlarne insieme.

In questo si è rivelato molto utile anche il fatto di avere in gestione un proprio impianto sportivo sempre in piena attività, che diventava punto di ritrovo un po’ per tutti: giocatori, giocatrici, allenatori, dirigenti; insomma c’era sempre modo e tempo per affrontare le esigenze ed i problemi che nascevano di volta in volta, parlandone senza formalismi.

Oggi non è più così. L’istruttore, in molti casi, lavora “compresso” tra orari rigorosi e ragazzi, diciamo, sfuggevoli. Sapete che succede? I giovani arrivano in palestra all’ultimo minuto, accompagnati dai genitori in macchina che li depositano davanti, a tre metri dall’ingresso, provenienti da mondi e interessi diversi. Entrano nell’impianto, non vanno neanche più negli spogliatoi perché giungono già pronti, salutano l’allenatore ed iniziano l’allenamento. Al termine se ne vanno frettolosamente perché sono già attesi dai genitori in macchina, verso altri impegni. Si rivedranno ala volta successiva. L’allenamento non è più un momento di socialità, di incontro personale, ma diventa una lezione d’inglese, di musica, etc..

Ad onor del vero ci sono ancora sport che fortunatamente fuggono a questa regola: uno ad esempio è l’atletica che, pur essendo attività individuale, offre ampi momenti di socialità. Nel riscaldamento dove si corre tutti insieme, nelle pause e nei recuperi tra una prova e l’altra dove a volte i minuti a disposizione non sono pochi e dove non c’ è l’esigenza di non perdere tempo per lasciare il campo ad un’altra squadra.

Se fin qui ho parlato di motivazione di gruppo, ci sono poi le motivazioni personali.

 Il discorso diventa più delicato in quanto, ancor di più che nella gestione di un gruppo in questo caso non esistono assolutamente, aldilà di elementari codici di comportamento, regole preconfezionate. Tutto si svolge nel microcosmo istruttore-atleta.

Un rapporto che, ovviamente, non può essere uguale con tutti, ma investe elementi costitutivi del giovane come il carattere, la sensibilità, il suo amor proprio, le motivazioni per cui fa sport.

Va da sè che l’educatore non può limitarsi a svolgere con diligenza il proprio lavoro” di istruttore tecnico”, ma deve riuscire ad entrare in comunicazione con il ragazzo -ragazza sapere di lui, del suo mondo, per quanto, beninteso, il ragazzo o la ragazza ti permetta di “avvicinarti”. A questo proposito voglio raccontare un episodio. Un anno allenavo a Tarquinia e durante la preparazione precampionato non ero proprio contento di come si impegnasse un giocatore. Ebbi anche modo di dirglielo, ma lui non mi disse niente. Poi venne a sapere che prima di venire all’allenamento stava tutto il giorno in campagna ad aiutare il padre a ripulire i campi dalle pietre per prepararli alla mietitura! Ore ed ore sotto il sole in piedi e piegato. Aveva ragione di essere stanco! Poi ci siamo parlati e il rapporto è cambiato.

Per tornare al nostro discorso è facilmente comprensibile che usando la stessa leva motivazionale con soggetti differenti non si ottengono gli stessi risultati.

Una situazione questa non facile da gestire in quanto l’atleta è portato a vedere in questa diversificazione, spesso, un trattamento diseguale.

Questo è senz’altro uno dei compiti più difficili per chi è posto alla guida di un gruppo: far sentire tutti uguali e tutti diversi; una diversificazione che comunque deve essere intesa come un arricchimento educativo da parte del giovane tendente a tirar fuori il meglio di sé, della sua potenzialità.

 Voglio concludere con gli istruttori. La motivazione più profonda la devono trovare soprattutto nel fine educativo del loro lavoro: promuovere l’attività sportiva come mezzo di crescita dei giovani a loro affidati dove la lealtà, l’onestà, il rispetto per l’avversario, il saper perdere, come il saper vincere, devono essere pilastri difficili da buttare giù, anche nei momenti non facili della vita che dovranno affrontare.

STEFANO CERVARELLI