GUARDARE IL MONDO CON OCCHI NUOVI
di ASIA RETICO ♦
Sono una donna, me lo hanno insegnato quando ero piccola.
Mi compravano così tante bambole, perché potessi pettinarle o vestirle da principesse, o bambolotti, perché potessi imparare a fare la mamma, o pentole e carrelli della spesa, una bella cucina tutta rosa, perché potessi preparare quei profumati caffè immaginari che sapevano d’aria.
C’erano volte in cui invece di giocare decidevo di vedere la tv.
E vedevo Barbie ovviamente. La giovane bella e perfetta, fastidiosamente bionda, che in realtà non ho mai invidiato se non per la molteplicità di lavori che lei e solo lei poteva fare, ora una modella, ora un surfista, ora un’attrice.
Se disgraziatamente non trovano nessuna Barbie in tv, mi rifugiavo in uno di quei cartoni pieni d’amore. La sfortunata, bellissima principessa che deve essere salvata dall’affascinante principe azzurro in sella ad un meraviglioso cavallo bianco. Quanto mi piaceva vedere quell’ “e vissero per sempre felici e contenti”, mentre andavano al galoppo verso l’orizzonte, con dietro uno di quei tramonti mozzafiato a coronare il sogno d’amore più classico che esiste.
Ricordo, in un giorno dimenticato della mia infanzia tutta rosa, di essere cambiata.
Ero davanti alla tv con mio nonno, il fuoco che come sempre scoppiettava nel camino, la quarta tazza di tè fumante in mano. Niente di romantico o nostalgico in questo quadretto, solo una scena di vita quotidiana alquanto classica. C’era uno di quei programmi politici che quando sei piccola ti fanno venire un sonno tremendo, e infatti sonnecchiavo respirando rumorosamente sul petto di mio nonno. Era un’intervista ad una giovane donna, non ricordo quale fosse la sua professione, ma sembrava molto contenta dei suoi successi. Un uomo, forse uno degli altri ospiti, le disse “e con i figli? Tuo marito è contento che tu abbia tutti questi impegni? Se avessi una moglie sarebbe a casa a cucinare per me”.
Non mi ricordo il resto della conversazione, solo l’agitazione e le urla di disapprovazione dell’intera platea. Non riuscivo a sentire una parola di quelle che dicevano perché parlavano tutti insieme, ricordo di aver pensato che sarebbe stato meglio se uno alla volta avessero alzato la mano e parlato con calma. Meravigliose maestre, le mie.
Ero curiosa di capire. Pensavo a mia madre e mi dicevo “lei lavora e papà è contento. Mangia anche se mamma lavora”. Un ragionamento da bambina, sì, ma che ancora oggi mi passa per la testa ogni volta che sento questi discorsi in tv.
Sono uscita dalla porta e sono andata dalla mia bisnonna, che abitava nella stessa palazzina dei miei nonni. Al tempo aveva circa 90 anni, e di cose me ne aveva dette nei pomeriggi che passavo con lei. Le raccontai cosa avevo visto e sentito, le chiesi perché quell’uomo avesse detto così. Lei mi portò in cucina, iniziò a preparare un dolce. Intanto parlava, rigorosamente in roccheggiano (il dialetto del mio paese), ma per facilitare la lettura scriverò in italiano quello che mi ha detto.
“Quello che hai visto oggi è un fuoco. Quando ero giovane noi donne eravamo vicine a spegnerlo del tutto. Ma sembra che le nuove donne non vogliano fermare tutto questo. Paura, dolore, forse anche compassione, le spingono a non cercare più acqua. Tu fallo, sempre, o dovrò morire col pensiero di aver puntato la mia vita sul niente.”
Nonostante fosse una donna di paese, mia nonna sapeva parlare come poche persone ho mai sentito in vita mia. Come chiunque ha vissuto una guerra tendeva ad essere molto drammatica, ma chi non lo sarebbe davanti a una bambina che con domande come queste?
Parlammo ancora un po’ e, tiratala fuori dal forno, mi diede la crostata che aveva preparato.
Tante domande mi ronzavano ancora in testa, e ad alcune non ho ancora trovato una risposta. Gli uomini sono tutti così? E le donne, perché non fanno qualcosa? Se io sono una donna, non devo lavorare? Tanti ragionamenti che, oggi, mi portano a pensare che quel giorno abbia segnato una svolta nella mia vita, il giorno in cui ho iniziato ad essere “consapevole”, e piano piano la mia consapevolezza è diventata grande con me.
Crescendo ancora qualche cosa l’ho capita, e tante cose me le sono sentite dire. “Sei femmina, non puoi andare in giro da sola. Sei femmina, copriti, succedono cose brutte. Sei femmina, che vuoi farci, il mondo ce l’ha con voi. Sei femmina, i capelli li dovete portare lunghi.”
“Sei femmina”.
Quando parlo con la gente di questo genere di cose non vengo sempre presa sul serio. Hai quasi sedici anni, dici di credere nell’ ”uguaglianza” e non sai che vuol dire, mi dicono. Allora ho provato a dare un significato tutto mio a questa parola.
Non lascio che un ragazzo paghi la mia parte del conto, perché dovrei?
Raramente permetto che mi aprano la porta o lo sportello della macchina e, anche se so che potrebbe risultare sgarbato, lascio passare il ragazzo che l’ha aperta e dico “prima le donne”.
La violenza per me non ha genere, se non “umano”.
Il rispetto della donna equivale a quello dell’uomo, lo vedo come cosa reciproca e assoluta, senza contraddizioni o eccezioni.
Libertà è una bella parola, spesso usata impropriamente. Per me, semplicemente, la libertà di un individuo dovrebbe fermarsi dove ostacola quella del prossimo. Sappiamo tutti che non è mai così.
Ho preso tutti i miei vecchi giocattoli e mi sono sentita presa in giro. Ho acceso la tv e ho visto un film d’amore strappalacrime, non l’ho capito. Ho pensato alla mia bisnonna, che ora ne ha 98 di anni, e dopo una vita di lotte non ce la fa più a vedere il mondo che va sempre più giù.
E ho deciso.
Sono entrata in un supermercato qui vicino e ho comprato una piccola macchina da corsa, di quelle che trovi anche negli ovetti Kinder. L’ho regalata ad una bambina che ho incontrato tornando a casa. Poi ho acceso la tv e ho visto un film poliziesco, di quelli “da maschi”, ho risolto il caso prima del detective. Non per qualche strana abilità di cui vantarmi, solo perché forse l’ho seguito meglio di quanto segua un film tutto baci e pianti. Mi sono tagliata i capelli, non cortissimi e non perché volessi dimostrare chissà cosa a chissà chi, solo per la voglia di vedermi diversa.
E ho capito molte cose. Se ci metti volontà, forza, energia necessaria, al cambiamento ci si arriva. Insieme si può, e non è una frase fatta messa in questo articolo per fare scena. Forse non sono solo un’adolescente che si sente potente davanti al potere come tante, ho consapevolezza di me stessa, delle mie capacità e so quanto posso contare per il mondo. Forse se le ”tante” diventassero “Una” potrebbero fare qualcosa.
Possiamo ancora cambiare, forse.
Ma forse, sono solo una donna.
ASIA RETICO
Che dirti: io ho parecchi anni più di te e pensavo che certe conquiste le si dovessero considerare ormai acquisite, poi mi sono accorta che non è così;io vengo da una famiglia matriarcale quasi tutte donne, i mariti erano considerati un accessorio di comodo, tutte professioniste compreso mia nonna che giovanissima appena laureata, smentendo una immagine della Sicilia così come viene ancora tramandata, andò ad insegnare a Firenze da sola; un poco il tuo articolo mi sorprende anche se mi sono accorta che le nuove generazioni hanno fatto passi indietro e non avanti e forse questo rimarcare con forza una parità di genere attraverso certi simboli, ( il taglio dei capelli, il pagare alla romana al ristorante ecc) è proprio della giovane età…. poi si cresce e si diventa più sagge e si impara che la parità si conquista e si costruisce nel mondo occidentale insieme all’altro sesso per infrangere ” il tetto di cristallo “: He for she
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