Al centro dell’Amazzonia, tra i mille affluenti del Rio .. (prima parte)

Al centro dell’Amazzonia, tra i mille affluenti del Rio delle Amazzoni, per scoprire i segreti del villaggio Xixuau.

di GIANCARLO LUPO ♦

L’arrivo al villaggio.

Ci vuole un giorno per arrivare da Manaus al villaggio Xixuau. Il viaggio può sembrare faticoso, ma è indispensabile procedere con tempi lenti per entrare nella dimensione senza tempo dell’Amazzonia. Partiamo dal porto fluviale di Manaus, su un recreio che ha imbarcato soprattutto casse di birra Skoll. Il Vencedor ha una pancia larga, è in legno, dipinto di bianco e blu, sembra il tipico battello che nei film risale il Mississipi. Per dormire stendiamo le nostre amache sotto una tettoia. I pasti principali all’interno del battello sono garantiti, per altri sfizi c’è il bar. Il recreio parte puntuale alle cinque di pomeriggio. Sostiamo nel bar del battello bevendo birra, osservando il panorama e giocando a scacchi. Dopo una notte di sonno, arriviamo a Moura a 400 km da Manaus, alle nove di mattina.

Moura è un villaggio minuscolo con strade in terra battuta, capanne di legno e qualche edificio in muratura. Al porticciolo di legno, che poggia su due grandi tronchi di albero di caucciù, ci aspetta Manuel, il pilota del fuoribordo che ci porterà al villaggio Xixuau, lungo il fiume Jauaperi. Saranno ancora 100 km da Moura. Siamo nel pieno della foresta allagata, o igàpo, territorio soggetto a inondazione, costellata di isole dai mutevoli contorni, tra bracci di fiume e acquitrini. Il verde si fa più vicino, gli alberi che sembravano bassi saranno almeno 10 o 15 m. Affondano le radici nell’acqua. Dei ragazzini su una canoa mimano gesti verso di noi. Stanno pescando e il chiasso del motore fa scappare i pesci. Il pilota del fuoribordo rallenta.

Arriviamo al villaggio e veniamo accolti da Emanuela, una biologa venuta in questa regione circa quindici anni fa per studiare le lontre giganti. Ora è Presidente dell’associazione Amazzonia Onlus e vive allo Xixuau in pianta stabile da due anni, da quando si è sposata con Francisco, nativo di qui. Emanuela ci presenta le guide locali e ci porta nella nostra maloca, una capanna di legno, rialzata su palafitte. Alcuni uomini ci aiutano a portare gli zaini. Emanuela dice che stanno svolgendo alcuni lavori, rimodernando tutto. Per terra ci sono tegole di terracotta. Le foglie di palma, con cui sono costruiti i tetti delle maloche, richiedono continua manutenzione e dopo due anni vanno cambiate. Le sostituiranno con le tegole. Al momento le spese più importanti del villaggio sono per la cura dei pannelli solari. Una guida ci aiuta a montare l’amaca sul portico della maloca.

Nel villaggio vivono circa settanta persone. All’uscita del paese c’è una chiesa protestante, ma è sempre chiusa. Per le dieci del mattino i bambini rientrano a scuola. La classe è piena di disegni alle pareti. Una buona lavagna con pennarelli a spirito, una libreria colma di libri: ci sono quelli di scuola elementare, i libri di lettura e quelli di scuola superiore. Ci sono anche giochi da tavolo. I banchetti sono minuscoli, ma le sedie robuste. Francilane, il maestro, è un omone con la faccia seria e i baffetti. Insegna storia, geografia, matematica, portoghese. Dice che insegna soprattutto storia del luogo, del territorio. “È inutile conoscere la capitale della Germania quando non conosci la capitale del tuo stato, Roraima” (per la cronaca: è Boa Vista). Ci sono dodici studenti, dalla prima alla quinta classe elementare. Dopo le elementari i ragazzi volenterosi continuano gli studi in altri villaggi o a Novo Airao. Osservo il maestro che scrive esercizi differenziati su varie colonne della lavagna per assegnare i compiti in base ai differenti livelli: addizioni per i più piccoli, moltiplicazioni per gli altri. I bimbi giocano a dama. Un bambino sorridente chiede di giocare con me. Si chiama Everton. Il fratello si chiama Aquiles. Sono figli del Presidente della Comunità. Per ora il Presidente della Comunità e la moglie sono a Boa Vista per avviare un progetto di ricerca in accordo con il governo di Roraima e l’Università. Purtroppo va tutto a rilento sia per le lunghezze burocratiche, sia perché nei vari uffici non rispondono alle mail e alle telefonate. Il lavoro si riduce a due incontri all’anno. Però fortunatamente da un po’ di anni a questa parte le cose vanno meglio, c’è più sensibilità verso le tematiche ambientali. A lato della unica classe c’è la cucina e la mensa scolastica. Emanuela dice che spesso i bambini mangiano qui l’unico pasto della giornata, perché i loro genitori sono spesso fuori; il padre è a caccia o a pesca, e torna solo verso sera.

Il governo paga quattro stipendi: il maestro, la cuoca, un aiuto per il maestro che si occupa dei bambini in età prescolare, infine l’infermiera. Emanuela dice che qualche anno fa, una bambina di nome Talia è stata morsa da uno scorpione mentre giocava con gli altri bambini. In meno di mezz’ora ha avuto uno shock anafilattico ed è morta. Dopo questa tragedia, alcuni fotografi, invitati dal GRIN (Gruppo Redattori Iconografici Nazionale) hanno indetto un’asta di foto, raccogliendo trentamila euro. Con il denaro è stato finanziato il Progetto Talia: pagare gli studi a un’infermiera del villaggio che poi è ritornata a prestare il suo lavoro nella comunità.

Sul retro della nostra maloca c’è un campo di calcio. Domenica, tutti gli uomini del villaggio (e qualche donna), se non hanno lavori da sbrigare, giocano a calcio. Come in tutto il Brasile giocano a piedi scalzi, con scatti veloci. Nilte, una ragazza dal bel sorriso, manovra una pertica vicino a un palmizio. Riesce a far cadere un frutto che mi offre. Il frutto, delle dimensioni di un limone, con una buccia verde e carnosa e una polpa biancolatte. È l’abiù. Emanuela dice che è strano che Nilte sia riuscito a offrirmene uno perché i frutti del villaggio sono appannaggio dei bambini. Vedo bambini di quattro o cinque anni arrampicarsi su palme di 15 o 20 m con una naturalezza incredibile, non aspettano neppure che i frutti siano arrivati a maturazione prima di coglierli.

…….   continua ……..

GIANCARLO LUPO