La decisione di spegnere la luce.
di PIERO ALESSI ♦
Il dibattito sul “fine vita” nel nostro Paese – così spero- sembra vicino a produrre esiti legislativi.
Ciò avviene comunque con grande ritardo. Mentre il tempo trascorre, in assenza di decisioni utili, vi sono esseri umani che, incolpevoli e afflitti da gravi malattie, contano i minuti che mancano alla loro morte. Si vorrebbero talvolta utilizzare dei sinonimi o lunghe e tortuose perifrasi ma, volendo evitare consolatorie ipocrisie linguistiche, definiamola per ciò che è: morte! Talvolta si attende quel momento con impazienza; talvolta lo si desidera, quasi come una liberazione. E tale è lo stato d’animo dei familiari e dei più cari.
Il mio punto di vista sulla questione è, ne sono consapevole, piuttosto radicale ma anche, nella sua semplicità, assai comprensibile. Intendo esprimere alcuni concetti persino in forma superficiale e di ciò mi scuso, considerata la profondità e la delicatezza dell’argomento.
La domanda di fondo è: a chi appartiene la nostra vita?
Da un punto di vista di più religioni, non quindi solo per i cattolici, la nostra vita è un dono di Dio e lui, e lui solo, ne può disporre. Diversamente si commetterebbe un gravissimo peccato. In qualche modo, infatti, si avrebbe l’impudenza di volersi sostituire a lui.
Da un altro punto di vista, diciamo laico, si sostiene da alcuni che la nostra vita appartiene alla collettività. E’ da considerarsi un patrimonio “statale” e quindi è lo Stato a poterne disporre.
Dal mio più modesto e umile punto di vista la vita appartiene per intero alla persona che deve poter decidere di interromperla nel momento in cui essa perde per lui ogni significato e portarla avanti è solo fonte di indicibili sofferenze.
Sono consapevole che, a condurre il ragionamento sino alle sue estreme conseguenze, si può sconfinare su di un territorio accidentato. Si potrebbe dire che così si finisce per considerare legittimo anche il suicidio. Sarò sincero. Per quel che mi riguarda penso che niente e nessuno possa impedire una decisone di questa natura. Proprio perché la scelta è terribile si dovrebbe averne il massimo rispetto. Certo, nessuno incoraggerebbe un altro essere umano a porre fine alla sua vita. Evidentemente ciascuno proverebbe, con i mezzi a propria disposizione, a scoraggiarne la esecuzione ma non ritengo che, a fronte di determinate condizioni, si possa impedirla. Per inciso vorrei ricordare che in tutti i paesi occidentali, almeno a partire dall’ultimo secolo, il suicidio non è ritenuto un crimine.
Inoltre, e solo al fine di alimentare riflessioni, forse sarà utile ricordare che nella storia delle diverse civiltà non sempre alla morte si è guardato con la stessa angoscia e lo stesso sgomento che caratterizza la nostra epoca e l’angolo di pianeta che abitiamo.
Avevo premesso che sarei stato radicale ma vorrei anche aggiungere, per amore di verità, che non è di questo che si discuterà in Parlamento. La scelta a cui è chiamato il legislatore è fondamentalmente diversa e molto più moderata. Si tratta di capire se, e fino a che punto, lo Stato debba ignorare le grida di chi è costretto dalla malattia in una condizione di insopportabile dolore oppure se debba pietosamente accompagnarlo, dietro una sua esplicita, informata e consapevole richiesta, verso una fine dignitosa dei suoi giorni. La dignità di un essere umano dovrebbe essere salvaguardata in ogni fase della sua vita.
Abbiamo pena per i nostri amici animali quando giungono al termine biologico della loro vita e chiediamo di intervenire per porre fine allo strazio. Lo stesso riguardo neghiamo a noi stessi e ai nostri cari. Ciò è assurdo. Tanto più quando questo si consuma al riparo di argomentazioni di tipo religioso e ideologico o peggio quando è oggetto di contrattazione politica ed obbedisce agli opportunismi del momento.
Io voglio rivendicare a voce alta il mio diritto a decidere quando morire ed ho la pretesa di voler disporre del mio corpo nel modo in cui ritengo più opportuno e non permetto ad alcun potere, laico o religioso che sia, di interferire nelle mie scelte. Ciò che chiedo allo Stato è di prendere atto della mia volontà, che deve potersi esercitare nel massimo della libertà e in piena coscienza, e quindi favorire, o quantomeno non ostacolare con cure non richieste, questo mio desiderio. L’ho definito desiderio ma vorrei dire disposizione. Un semplice desiderio infatti si può decidere di esaudirlo oppure no. Nel caso specifico non vorrei lasciare spazio ad alcuna forma di arbitrio. Vorrei inoltre, qualora non fossi nelle condizioni di esprimere compiutamente le mie espresse volontà, che queste possano essere esercitate da persone da me delegate e delle quali ho assoluta fiducia; tanta da mettere la mia vita nelle loro mani.
Dare al paese una legge che affermi un tale principio di civiltà è urgente.
Ulteriori rinvii sarebbero un atto di crudeltà verso quei corpi e quelle coscienze che trovano nel continuare a vivere, contro la propria volontà, quotidiane ragioni di mortificazione.
Se è forse ancora prematuro che si affermi la ragione, il diritto e il buon senso che almeno prevalga la umana pietà.
PIERO ALESSI
Sono d’accordo. Credo sia terribile che ci sia qualcuno che vuole decidere della vita altrui in base alle proprie convinzioni o al proprio credo religioso.
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La strada per la libertà è ancora lunga, e passa per il testamento biologico. Sembrerebbe tanto semplice e di difficile comprensione ogni ostacolo sul suo cammino, eppure fa fatica. Credo sia giunta l’ora che io lo faccia, non perchè pensi alla mia ora… se permettete mi tiocco, ma come segno di civiltà per dire: l’ho fatto anche se la legge non c’è.
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