IL POPOLO NON E’ PIU’ COMUNISTA (ANZI E’ UN FILINO FASCISTA)
di ROBERTO FIORENTINI ♦
L’esame dei dati del voto alle Elezioni Presidenziali francesi del 23 Aprile ha confermato una tendenza che si era già palesata in altri paesi europei, Italia compresa. Il popolo, intendendo con questa parola le classi sociali più deboli , gli operai dei distretti industriali, i contadini delle zone rurali e persino gli impiegati ( ormai non diversi per cultura e reddito dagli operai ) sceglie candidati e partiti di destra, meglio se populisti, come Marine Le Pen in Francia. Ha da tempo abbandonato i partiti di sinistra, anche quella moderata, e privilegia chi porta messaggi semplici, rivolti alla difesa della nazione, contrari all’immigrazione e all’integrazione degli stranieri, spesso fascistoidi od almeno anti-politici. O come sarebbe più giusto dire pre-politici.
In Italia fece scandalo il fatto che a Roma, alle ultime elezioni comunali, il candidato del Pd Roberto Giachetti prevalse su Virginia Raggi del Movimento Cinque Stelle solamente in due quartieri tradizionalmente borghesi ( Parioli e Centro Storico). Le periferie e le borgate, soprattutto quelle più disagiate, al ballottaggio, votarono in massa per la proposta populista dei Cinque Stelle, mentre al primo turno avevano diviso il voto tra grillini e candidati della destra più estrema, compreso quello di Casa Pound. Ma è da tempo che le cose in Italia vanno in questo modo. Non possiamo dimenticare che la discesa in campo del primo populista della politica italiana,il miliardario Silvio Berlusconi, fu sospinta da milioni di voti, tutti o quasi ascrivibili allo stesso tipo di elettorato che Oltralpe ha portato Le Pen al ballottaggio o Trump alla Presidenza USA. Come è impossibile non segnalare il costante consenso della Lega , sia quella secessionista di Bossi che quella sovranista di Salvini, tra gli operai del Nord e del Nord-Est.
Questa connotazione geografica ci spinge a fare una ulteriore riflessione. Non può essere casuale che il consenso di Marin Le Pen è maggiore nel Nord Est della Francia, così come il consenso di Berlusconi prima e di Grillo poi, è maggiore nel nostro Sud, cioè nelle zone meno sviluppate , dal punto vista sociale ed economico, di entrambi i Paesi. Come non è casuale che il voto per la candidata della estrema destra francese, pari al 21,3% a livello nazionale, con punte anche del 35% nell’estremo Nord delle Ardenne, arrivi a stento al 5% nella ricca, colta e cosmopolita Parigi. Fenomeno analogo alla nostra Lombardia che elegge da anni governatori di destra e della Lega e che, invece, nella ricca, colta e cosmopolita Milano , per due volte consecutive, sceglie sindaci di centro-sinistra.
Vale la pena tentare una riflessione che parta da questi due elementi. Da un lato una connotazione geografica , con le zone più povere, operaie e contadine che scelgono la destra populista e quelle ricche, istruite , prevalentemente urbane che scelgono le proposte di sinistra. Dall’altra l’aspetto squisitamente socio-economico, dal cui esame risulta inequivocabilmente che i ceti più poveri votano per Le Pen in Francia, Trump negli States e in Italia per Grillo e Salvini. Premetto che si tratta di una riflessione piuttosto complessa e che potrò affrontare con modalità sicuramente parziali e discutibili, in quanto frutto esclusivamente di una visione personale.
Partirei da un ragionamento sui valori. Io, che sono un uomo di sinistra, mi sono formato con alcuni punti di riferimento, che erano quelli della mia generazione, quella cresciuta negli anni ’60 e ‘70. Era giusto e positivo studiare e formarsi, allargare il proprio modo di pensare all’altro e al diverso da sé. Bisognava cercare di eliminare le disparità sociali e culturali, rispettare le visioni altrui e i diritti delle minoranze, ricercare la parità dei sessi e la tolleranza per le diversità. Il denaro , la fama e il successo NON erano valori positivi, anzi. La ricerca del dialogo con gli altri avveniva nelle strade, nelle piazze, uscendo fuori dalle case. Al netto delle disuguaglianze, che andavano abbattute od almeno ridotte, pensavamo che il futuro ci avrebbe portato maggiore equità, giustizia sociale e libertà personale.
Poi sono arrivati gli anni ’80, la caduta del Muro di Berlino, le televisioni commerciali, l’edonismo reaganiano, i vestiti griffati , i cellulari ed internet. Infine i social network e il fenomeno migratorio in Europa. Oggi il denaro, la fama ed il successo sono i soli valori ammissibili, per qualsiasi classe sociale. Assieme alla famiglia, rimasta l’unica forma di difesa del calore umano, sono le cose ritenute più importanti. La casa è un fortino da difendere. I confini richiedono muri da erigere per tenere fuori gli invasori. Il futuro è un buco nero di cui aver paura.
Se vivi in un bel quartiere, di una bella città, con tanti libri alle pareti, frequenti ristoranti eleganti, vai al cinema e a teatro, hai un buon lavoro, magari hai studiato all’università , riesci, probabilmente, a capire che , oltre ai soldi a al successo, ci sono altre cose importanti nella vita. Anche perché gli immigrati (poverini) sono lontani dalla tua porta di casa. Potrai permetterti il lusso di votare per chi dice di occuparsi di giustizia sociale, diritti civili, tolleranza e pace.
Se la tua finestra sul Mondo, invece, è costituita solamente dalla tv commerciale ( cioè tutta la tv, in pratica) , dal calcio e dai social network e vivi in periferia, con gli immigrati ( brutti, sporchi e cattivi) vicini di casa, senza un lavoro o con un lavoretto in nero o precario, perché mai dovresti preoccuparti di diritti civili, di solidarietà e di impegno sociale? L’unica cosa che vuoi è non avere gente che ti ostacola nella tua improbabile ( se non impossibile) ascesa sociale verso l’unico futuro immaginabile, quello raccontato dalla tv e dai selfie delle star del web: un futuro di successo personale, fatto di belle donne, belle macchine e feste in discoteca. E chi sono costoro che non ti fanno ascendere nella scala sociale? I tuoi vicini, specie quelli diversi da te, che competono con te per la conquista dei gradini superiori. E poi coloro che già li occupano quei gradini. Professionisti, giornalisti, star della tv, professori universitari, manager, politici. L’establishment, come si usa dire oggi. E quindi voterai per chi dice di difenderti dai primi, costruendo muri e affondando barconi. E dai secondi , additandoli come nemici da abbattere, dimenticando di dirti che anche lui fa parte di quel mondo che dice di voler cancellare e di cui tu, invece, non sei parte e mai lo sarai.
Mi accorgo di non aver ancora concluso il mio ragionamento. Manca l’esame di cosa significhi oggi essere di sinistra, in un mondo come quello appena descritto. Sempre che ancora significhi qualcosa. Ma di questo mi occuperò la prossima volta.
ROBERTO FIORENTINI
Non so se il titolo sia volutamente provocatorio o cosa, comunque, attendendo la discussione sull’odierno concetto di difesa, vorrei far presente che di questi tempi i desideri del “popolo” non sono la bella pupa sul sedile del passeggero della cabrio ed altri status simbol, bensì il “popolo” ha desideri piuttosto “primari”: lavoro possibilmente stabile, sicurezza sociale e qualcuno che lo rappresenti. Successo e danaro sono i sogni di sempre, lo erano anche quando ero piccolo io. Ricordo ancora la profonda invidia che provai ad un compleanno di un compagno un ricco buffet e il gelato nella coppa d’acciai lucida e splendente, mentre il mio si limitò ad un pollo al girarrosto senza alcun invitato. Belle macchine e belle donne, danaro ed importanza sociale erano i desideri del popolo anche quando Berlusconi non c’era. Chi sogna sa bene che i sogni sono tali e più i bisogni primari premono, tanto più i sogni di successo ecc.. acquisiscono la caratteristica tipica del sogno, cioè di qualcosa di irraggiungibile. Il “popolo” di questi tempi non è fascista, il popolo ha paura, ha bisogni primari da soddisfare, non sa se troverà un lavoro, o se lo conserverà per un mese ancora. non sa se si potrà difendere dai ladri, non sa se riuscirà a pagare l’affitto, non fa figli perchè non può assicurare loro un futuro. Se il PD raccoglie consensi da chi è inserito in questa società, da chi cioè ha sicurezza sociale e prospettive di futuro e perde consenso da chi non ha sicurezza sociale, non ha un futuro cui guardare con speranza, non si sente tutelato dalla giustizia, allora dovrebbe essere naturale e logico pensare che quel partito rappresenti altri, non il cosiddetto “popolo”. Forse non è il popolo che sta diventando fascista.
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A parte la risibile affermazione che a Milano le elezioni le ha vinte uno di centro-sinistra,uno indagato per mille raggiri ed altro,di quelli che sono padroni del mondo,se uno era un poco svelto di cervello,ci voleva poco a capire che dopo la fine del comunismo in Russia e l’invasione dei mussulmani a decine e poi a centinaia di milioni per adesso,l’Europa tornava un Continente fascistizzato.
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Uno svelto di cervello saprebbe come si scrive ” mussulmani” .
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Per Luciano una domanda : ma tu hai letto solo il titolo ? Perchè mi pare evidente che l’articolo tenta, con tutta la modesta capacità di riflessione del sottoscritto, una lettura della questione dal punto di vista ” culturale ” e non economico. Mi rendo conto che , per tutto il secolo scorso, quella economica , è stata l’unica chiave utilizzata per interpretare i cambiamenti della società, da Marx in poi. Personalmente – e non sono certo l’unico – credo che la sola economia non basti a spiegare la complessità dei conflitti sociali. Ed ho provato a proporre una diversa visione . Magari non ci sono riuscito.
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Ho letto attentamente, Roberto, ho parlato di questioni economiche primo perchè, rispetto alle scelte politiche, non si può parlare di cultura prescindendo dallo stato delle cose e delle persone. Secondo, economia, lavoro, stato sociale ecc.. sono anch’essi cultura, basta pensare ai tanti fenomeni negativi e positivi derivanti dalla globalizzazione economica. Terzo, la cultura costa oltre che in termini di impiego del pensiero anche in termini di risorse economiche e di tempo.
Se parli di “popolo”, di sinistra e di fascismo, come si fa a non considerare ‘aspetto socioeconomico delle cose? Come si può affrontare il tema proposto dal titolo con un tema culturale senza considerare la cultura intrinseca del lavoro e dello stato sociale? Che senso ha?
Comunque, visto che hai la capacità di stimolare i miei ragionamenti, avviso che mi è venuta la voglia di scrivere un articolo che potrebbe avere un titolo del genere: Il fascismo della globalizzazione e la politica.
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Il popolo non sarà fascista – e probabilmente non lo è – ma vota per Le Pen, Trump , Salvini e Grillo che invece…
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…a parole,ma solo a parole,combattono i banchieri,Soros,i mussulmani e i preti.
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LA CLASSE OPERAIA di BERLINO HA TRADITO LA FIDUCIA CHE IL PARTITO GLI AVEVA RIPOSTO,ORA DOVRA’ LAVORARE DURO PER RIGUADAGNARSELA.
IL COMITATO CENTRALEHA DECISO,POICHè IL POPOLO NON E’D ACCORDO BISOGNA NOMINARE UN NUOVO POPOLO
tullio
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Il “popolo” (una volta si parlava di proletariato, perché popolo era troppo interclassista e, appunto, populista) risponde al vuoto politico lasciato da chi dovrebbe rappresentare le classi lavoratrici. Un vuoto politico che i furbacchiaoni della destra (sedicente) “sociale” e dei partiti qualunquisti, hanno scelto di occupare con facili promesse poi puntualmente disattese.
“Se il popolo sbaglia ci toccherà inventare un altro popolo” diceva ironicamente Brecht, criticando l’incapacità della sinistra di fare autocritica e lo sdegno classista con cui rispondeva al popolo che “non capisce”.
Forse, con tutto il rispetto, è il caso di interrogarsi sul perché non capisce…
Possiamo reinterpretare Marx o Gramsci quanto vogliamo, ma la società è ancora dominata da un conflitto fra classi. Possiamo parlare di fratellanza multiculturale, di eguaglianza sociale o di genere e concetti etici (e in molti casi meramente cattocomunisti) quanto vogliamo, ma sappiamo bene che non c’è uguaglianza sociale senza giustizia sociale e che tutte quelle bellissime e giustissime rivendicazioni libertarie soccomberanno al primato dell’economia sulla politica, primato ormai in larga parte accettato dalle sinistre.
Astrarre noi stessi dalla precisa condizione che vede poveri e ricchi nettamente contrapposti è un errore. Coniugare il marxismo e l’anticapitalismo (concetti chiave dell’ideologia di sinistra) col liberismo economico è impossibile, sbagliato e immorale.
porta alla morte della “sinistra” , qualsiasi cosa essa sia diventata.
Il proletariato (a cui molti guardano solo come elettorato) se n’è accorto e tra la destra vera e l’imitazione della destra, sceglie l’originale.
Un saluto.
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Certe volte sono pienamente d’accordo con Enrico e, leggendo il so commento, mi viene alla mente l’allarme che ogni tanto si sente, ovvero quello che parla di un sempre più ampio solco far i sempre più ricchi ricchi e i sempre più poveri poveri, più poveri non solo a significare una riduzione del reddito, ma, che è peggio, un aumento numerico di coloro che si trovano in difficoltà economica. Una volta la “proprietà” dei mezzi di produzione, distingueva l’essere “proletario” dall’essere “padrone” (nel caso Enrico mi corregga la semplificazione). Nel mondo moderno invece si potrebbe tranquillamente dire che il discrimine non è nella proprietà dei mezzi di produzione, ma del suppporto finanziario. Non c’è attività produttiva che non sia dipesa e governata dal “finanziamento”. Allo stesso modo quando si compra casa si accende un mutuo e ci si crede proprietari di questa, ma in realtà non lo si è sino a che non si sarà completamente estinto il mutuo stesso. Da questo punto di vista il “credito islamico” ( per quello che ne ho letto) mi pare decisamente più etico. Dunque, allo stesso modo i “mezzi di produzione” in molti casi sono di proprietà di chi detiene il capitale finanziario, ovvero di chi “finanzia”. Così capita che anche l’imprenditore, a volte, è più somigliante al proletario che al capitalista. Se ben guardiamo il proletariato è rimasto tale, possiamo dire che si sta semmai ingrandendo perchè sta comprendendo anche la piccola borghesia formata da impiegati e piccoli professionisti. Ciò detto potrebbe essere, per il popolo, consigliabile affidarsi alla politica sociale della destra piuttosto che alla non politica sociale del liberismo, non saprei come chiamarla diversamente una politica con la quale la tutela del lavoro, della dignità del lavoratore diviene qualcosa che si può “pagare”, come se l’uomo “lavoratore” sia un oggetto di mercato. Ecco quindi che il liberismo, o come lo vogliamo chiamare, non cancella dal vocabolario il termine “classe sociale” poichè per sua natura tende a radicalizzare, nella misura in cui la ricchezza si concentra anzichè distribuirsi. Solo una politica sociale importante e virtuosa può mettere una toppa a questa deriva e di certo non pare essere nelle corde di questo nostrano finto centrosinistra.
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Luciano, sono contento che sei d’accordo con la lotta di classe. 🙂
A parte gli scherzi, la “classe” oggi non sono più (solo) le tutte blu, e l’Istat lo rivela proprio in questi giorni. Questo ci obbliga a esercitare una seria riflessione sui nuovi comportamenti dei nuovi soggetti politici che intervengono nelle lotte: oggi esiste un nuovo mondo di sfruttati, un magma costituito da moltitudini di precari, disoccupati, lavoratori flessibili, a tempo determinato, pronto a esplodere. Oggi esiste una classe operaia in senso largo, composta magari da chi è costretto a farsi la partita IVA per poi lavorare davanti a un computer nei call center, che è un lavoratore esattamente come il bracciante dei campi o l’operaio della FIAT.
Il fatto, Luciano, è che hai centrato il punto del mio ragionamento: la nuova classe operaia, il conflitto capitale-lavoro e la proprietà dei mezzi di produzione. Questioni salienti che devono essere la pietra angolare, l’orizzonte. Che l’egemonia di classe gramsciana sia la bussola da seguire, la rivoluzione, intesa come cambiamento totale, dev’essere la stella polare. Quando la sinistra diventa amministrazione del quotidiano e dello status quo, perde la propria alterità, dismette la propria ambizione di voler cambiare il mondo, smarrisce la via della trasformazione dal basso, del cambiamento e della giustizia sociale. Insomma perde il contatto con la base, non esiste più la connessione col suo popolo e non fa più palpitare i cuori. Non ci si può rassegnare all'”inevitabile”, al T.I.N.A., a quel “There Is No Alternative” di tatcheriana memoria, meglio noto come “pensiero unico”, che impone universalmente le leggi del mercato come fossero leggi della fisica.
Dobbiamo dotarci, come diceva Gramsci, dell’ottimismo della volontà e del pessimismo della ragione. Il grande Thomas Sankara diceva che “non è possibile un cambiamento senza una certa dose di follia. Il coraggio di voltare le spalle alle vecchie formule, il coraggio di inventare il futuro. Ci sono voluti i pazzi di ieri per permetterci di agire con estrema chiarezza oggi. Voglio essere uno di quei pazzi. Dobbiamo avere il coraggio di inventare il futuro.”
Scendendo dai massimi sistemi e tornando all’articolo (e ricollegandomi al mio commento precedente), oggi stesso Pisapia alla convention di MdP ha illustrato la sua idea per riunire la sinistra. Dall’altro lato Salvini, al congresso federale della Lega, ha semplicemente dichiarato: “se vado al Governo la prima cosa che faccio è abolire la Fornero”.
Populismo? Chiaro che si. Furbo? Molto. Sincero? La storia dimostra di no.
Occorre un “populismo di sinistra”, che non si metta alla coda del popolo, ma alla testa, che ne sia l’ avanguardia e che sappia ricostruire una grammatica politica capace di decolonizzare le coscienze, come avveniva un tempo. Una sinistra ribelle, non mainstream. Anti-sistema, non di sistema. Perfino Trump e i neocon hanno capito che l’anti-sistema fa più figo.
Per questo ho trovato interessante l’articolo e l’ho commentato: perché almeno c’è chi si chiede cos’è che non va, facendo autocritica e senza guardare il popolo con sprezzo un po’ (troppo) classista, da sopra un piedistallo. Come se il popolo fosse diventato fascista così, per colpa del clima o dei troppi carboidrati nella dieta… o per “ignoranza” (Lenin, Castro o Mao guidarono moltitudini di analfabeti, ma gli diedero la dialettica e la coscienza di classe).
Rileggere certe parole d’ordine fa ben sperare.
Ciao
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Bravo, Enrico, vale la pena di rileggere i tuoi commenti, così pieni di acute e critiche considerazioni e non solo, con felici espressioni che fanno parte della nostra cultura politica. Con te io mi sento a casa, con il populismo della sinistra. ” Guidarono moltitudini di analfabeti” è la ” vera epopea ” di chi ha creduto nell’autentico ruolo dell’insegnamento.
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Grazie Paola. Ad avercela una “casa”… 😀
Però abbiamo le fondamenta e sono anche abbastanza solide.
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E la cultura politica della Sinistra deve rivendicare il primato dell’economia sulla politica. Malthus, Ricardo, Marx hanno dato esemplari analisi economiche,ma diffidavano di un puro determinismo economico. L’economia ha un substrato storico profondamente politico, che non si esaurisce nei meccanismi puramente economici. Il dato che oggi sembra cambiare lo scenario è il processo di diffusione delle conoscenze e la condivisione del sapere, bene pubblico per eccellenza, come in piccola parte dimostrano i commenti all’articolo di Fiorentini.
Quindi, concordo con Enrico. Permane una ” lotta di classe” seppur diversa nei soggetti politici, non accontentiamoci del facile ottimismo delle analisi sulla crescita del capitale umano, analisi culturali, ma prive del sostrato economico, la base che genera conflitti.
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