La qualità del progetto architettonico: il bello ed il brutto
di ROSAMARIA SORGE ♦
Vorrei ritornare su un argomento già da me affrontato nell’articolo pubblicato alcuni mesi fa su questo blog dal titolo “ Il momento del fare”
Sperare che l’attuale compagine politica che governa questa città possa mettere in cantiere almeno uno dei punti proposti in quell’articolo dove riassumevo i risultati di un workshop da me organizzato e consegnato all’attuale sindaco , appare ormai impossibile e non solo perché mancano le risorse economiche ma per ragioni ben diverse; nessuno più crede che possa realmente cambiare qualcosa in città mentre la maggiore preoccupazione di chi ci governa è stata quella di inasprire al limite estremo la produzione di scartoffie, di regole, di lacci, di limitazioni.
Incidere sulla città con il costruito ha vari aspetti di cui tenere conto; in realtà l’opera compiuta è come un libro dove anche una trama interessante diventa secondaria se è scritto male mentre diventa accattivante, intrigante , coinvolgente anche leggere 100 pagine sulla descrizione di una sedia se è scritto bene; con questo voglio dire che il più delle volte è il controllo della qualità del progetto quello che andrebbe considerato e non la quantità di vincoli soddisfatti.
Ma il controllo della qualità del progetto diventa cosa difficile. Io ho avuto parecchi anni fa una esperienza triennale in Commissione Edilizia e ricordo quante discussioni su questo argomento furono fatte senza che mai , tranne una sola volta, si sia respinto un progetto perché brutto. E quella unica volta in cui proprio non riuscimmo a farne a meno, il professionista, firmatario del progetto, chiese di essere ascoltato dalla Commissione e in quella occasione inveì contro di noi chiedendo che titolo avevamo per stabilire ciò che poteva considerarsi bello e ciò che poteva considerarsi brutto.
Io tentai di spiegare che i gusti sono personali che forse del bello e del brutto, come categoria dello spirito, esiste un concetto che deve tenere conto del momento storico, ma che in architettura il problema è più complesso perché non si tratta di decidere se un progetto è bello o brutto ma se soddisfa una serie di parametri e aspettative e tra questi parametri c’è anche l’articolazione formale che nel caso specifico lasciava molto a desiderare avendo il progettista fatto man bassa di tutto il dizionario architettonico inserendo triangoli, tondi, quadrati , archi acuti , archi a tutto sesto, lesene, pilastri, colonne in un insieme privo di qualsiasi necessità. Alla fine ottenemmo una revisione che non si poteva proprio definire accettabile ma che fummo costretti ad accettare.
Bisogna tenere presente che alcuni dei parametri di valutazione possono considerarsi oggettivi ma altri sono legati ad un certo grado di relatività e la formulazione di un giudizio comporta livelli di esperienza e cultura che spesso sono assenti sia in chi deve giudicare sia in chi dovrà fruire dell’opera; tra questi parametri oltre all’articolazione formale e a quella funzionale ha un suo peso calibrare la necessità dell’intervento.
Oggi sulla necessità bisogna fare grande attenzione e qui ritorno su precedenti valutazioni che coinvolgono in pieno Civitavecchia. Ogni tanto ci si chiede quale futuro immaginiamo per questa città?Possiamo discutere a lungo ma pensare che il motore di una ripresa economica possa essere legata a nuove edificazioni e al consumo di territorio è sintomo di una cultura retriva che non appartiene più al nostro tempo e al nostro sentire dove la qualità estetica di un intervento si coniuga con la qualità etica e funzionale e svolge un ruolo attivo nel migliorare la vita di una comunità
Inoltre va sottolineato che tra progetto e realizzazione corre un rapporto strettissimo in quanto la qualità architettonica e urbanistica altri non è che l’esito di un coerente sviluppo progettuale che recepisca le esigenze di carattere funzionale, sociale e formale poste a base della ideazione e della realizzazione dell’opera e che garantisca il suo armonico inserimento nell’ambiente circostante, nonché il rispetto di una serie di parametri che fanno riferimento alla qualità dei materiali impiegati e alla loro posa in opera.
Purtroppo il controllo a monte del progetto spesso è mancato a Civitavecchia e di conseguenza anche il costruito risente di questa carenza per altro raddoppiata da un uso non corretto dei materiali impiegati per altro non sempre messi in opera a regola d’arte e che hanno ulteriormente aggravato la situazione facendo precipitare in breve tempo un edificio nello squallore più totale.
Ma il discorso è molto complesso e sarebbe opportuno dibatterlo in un vero e proprio convegno sulla città e in particolare sul futuro di questa , mettendo insieme più voci e più proposte e allora in attesa di organizzarlo vorrei concludere queste brevi note con le parole dell’architetto Alberto Sartoris:
Bella é la casa che corrisponde ai sentimenti della nostra vita. Occorre perciò: luce, aria, movimento, aperture.
Bella é la casa che riposa leggermente, potendosi perciò adattare a tutte le condizioni del terreno.
Bella é la casa che consente il contatto con il cielo e le corone di alberi.
Bella é la casa che sostituisce l’ombra (spalle delle finestre) con la luce (pareti di intere finestre)
Bella é la casa nella quale gli spazi abitabili non danno l’impressione di “esservi asserragliati”.
Bella é la casa le cui attrattive risiedono nell’effetto d’insieme delle sue funzioni compiute perfettamente.
Definire la qualità di “bello” come anche quella di “buono” non è certo cosa semplice. Non mi intendo di architettura, anche se è un mondo che mi interessa non ho mai approfondito più di tanto, mentre ho la presunzione di intendermi di cucina. La costruzione di un piatto “bello e buono” inizia dalla conoscenza della materia prima, dalle sue prerogative alle sue stagioni. Il piatto si forma nella mente avendo il traguardo del piatto finito di come deve essere e nella economia dell’intero menu. Rosamaria potrà convenire che il “bello”, ed “aggiungerei” il buono, dell’architettura si definisce all’interno di un progetto futuro e di un insieme, idee che non si può fare a meno di considerare, così come un primo piatto non può prescindere dal considerare il secondo, la stagione attuale e tantomeno le esigenze di chi il piatto mangerà.
Certo c’è bisogno che ci sia una idea del futuro e la consapevolezza del presente, di questi tempi pare che l’idea del futuro sia proprio assente.
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Io credo che non sia necessario organizzare convegni intergalattici chiamando a discutere Le Corbusier, Giovanni Michelucci e Ludovico Quaroni (tanto per citare tre persone a me care che comunque non potrebbero intervenire). Avrei piacere, come facevamo un tempo con un gruppo di amici e colleghi, ritrovarsi e scambiare impressioni in pochi e senza necessità di un “uditorio”. Il tema del buon gusto e del buon senso è sempre attuale e sempre difficile. Ho vari esempi da proporre. Anche esperienze “di vita”.
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E magari produrre un progetto di città futura da proporre alla cittadinanza ed alla politica, se fossi architetto o urbanista l’idea mi piacerebbe tantissimo, una sorta di regalo alla città da parte di un gruppo di persone intelligenti che sanno cosa vuol dire progettare il futuro.
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