RIGENERAZIONE URBANA TRA PROPRIETA’ COLLETTIVA E INTERESSI PRIVATI
di ROSAMARIA SORGE ♦
La città, è ormai diventata un collage di frammenti, una sovrapposizione di strati, è un campo di energie, di flussi, di dinamiche da utilizzare e rafforzare e, facendo un paragone comprensibile a molti, paragonabile ad una funzione digitale e non analogica in quanto i suoi elementi non sono più in un rapporto di continuità. All’interno di questa superficie fatta di diversità, le differenti parti appartengono ad un ordine complesso, soggetto a un equilibrio che evolve in virtù delle mutazioni, delle forze politiche, economiche, sociali, storiche, culturali del territorio.
In campo urbanistico ed architettonico, questo fenomeno ha fortemente inciso sul panorama delle città, che appare sempre meno coerente ed uniforme. Ridare continuità a tutto questo sarebbe nell’animo di molti e sembra essere l’unica possibile aspirazione, mentre convivere con questa eterogeneità di stati sembra insopportabile. Ma indietro non si torna, anche perché la città così come si è venuta a configurare oggi, è il frutto di scelte errate fatte proprio nel passato, scelte che bisogna cercare di correggere imparando a vivere nella complessità .
In concreto bisogna ripensare alle città avendo chiaro che queste appartengono al territorio che è patrimonio di tutti e che questo patrimonio ha la precedenza sugli interessi privati e sui fini speculativi.
Riprogettare e reinventare le preesistenze, senza ulteriore consumo del territorio, è non solo imperativo ma è anche una assunzione di responsabilità nei confronti delle future generazioni; per fare questo è necessario modificare l’idea che si è fatta avanti negli ultimi decenni di liberismo sui rapporti tra proprietà privata e interesse pubblico. L’idea che gli interventi di riqualificazione urbana debbano essere supportati da meccanismi di mercato, così da promuovere la produzione di beni e servizi di elevata qualità ed allo stesso tempo innescare la valorizzazione economica degli ambiti urbani, è stata per anni prevalente ma il risultato è stato abbastanza deludente. Gli esempi non mancano sia nel panorama italiano che internazionale: i Docks di Londra e il quartiere popolare di Heygate , il quartier Sant’Elia a Cagliari e gli stessi interventi alla Giudecca a Venezia non sempre vissuti in positivo dagli abitanti tanto per citarne alcuni.
I motivi del fallimento possono ricondursi prevalentemente alla mancata o superficiale analisi delle istanze sociali, economiche e territoriali espresse dal contesto urbano e alla prevalenza dei fini speculativi delle proprietà immobiliari rispetto al progetto.
Per affrontare correttamente un intervento di rigenerazione urbana è importante consultarsi non solo con gli enti locali ma anche con gli utenti delle aree soggette a rigenerazione e agli operatori che su queste aree gravitano (progettazione partecipata)
Fatto ciò, valutati i bisogni e le aspettative degli utenti, le potenzialità di un luogo e la capacità di adattamento di un ambito su cui operare, si passa a individuare gli strumenti urbanistico/edilizi di programmazione economica e sociale, utili a procedere alle analisi e quindi alla progettazione. Ma per garantire il risultato va riequilibrato il rapporto tra proprietà privata e proprietà comune e collettiva. Questo è il problema fondamentale.
Ma questo è un argomento che oggi è difficile affrontare perché ai tecnici della progettazione ambientale ( architetti, ingegneri) si chiedono soluzioni ma non critiche sul modello di sviluppo specialmente quanto la critica tocca ambiti politico sociali come la scelta “ borghese” di eliminare il concetto di “proprietà collettiva” per fare spazio alla proprietà individuale ritenuta inviolabile e oggi fortemente sostenuta dal neoliberismo imperante.
Il fatto è che la soluzione sta probabilmente nel riportare ad un nuovo equilibrio questo rapporto, con una maggiore prevalenza rispetto ad ora del valore da attribuire al bene comune e alla proprietà collettiva, in modo che siano possibili una serie di interventi di rigenerazione urbana sostenibili ma con controllati ritorni speculativi.
Detto questo, occorre ridare senso alla metodologia progettuale nell’ambito della rigenerazione urbana con interventi mirati non solo al miglioramento qualitativo del contesto fisico ed ambientale, ma anche allo sviluppo sociale ed economico, per garantire il benessere della popolazione, che comprende sia bisogni connessi ai benefici economici e materiali, che bisogni di crescita culturale e professionale, di identità connessa ai luoghi, di accessibilità ai valori ambientali e culturali della città; appare quindi evidente come per fare tutto questo sia necessario riappropriarsi della prevalenza giuridica della proprietà collettiva per altro sancita dalla nostra Costituzione.
Infatti le iniziative di rigenerazione urbana, con particolare riguardo a quelle che mirano alla demolizione e alla sostituzione degli edifici e al ridisegno di parti urbane di ampia dimensione, aprono una serie di contraddizioni e conflitti tra l’amministrazione pubblica (o le molteplici amministrazioni), i cittadini e gli imprenditori per cui diventa fondamentale sciogliere questo nodo e stabilire un ripensamento del sistema delle tutele e delle modalità concrete di erogazione del welfare urbano.
Un lungo e difficile cammino ci aspetta per mettere in atto inversioni di tendenza che riportino le nostre città ad essere la continuazione fisica della nostra identità, ma questo cammino non è scevro di insidie e mai come in questo momento coinvolge un ritorno ad un pensiero che smetta di essere liquido e si riappropri di tutti quei valori che con troppa facilità abbiamo riposto nella soffitta della nostra anima per fare spazio ad un sentire che ignorando il valore della proprietà collettiva, ha fondato lo sviluppo delle città sul tabù della prevalenza della proprietà privata che tanto danno ha portato al nostro territorio, per altro fra i più ricchi di storia arte e cultura del mondo.
ROSAMARIA SORGE
Assolutamente d’accordo, più di un passo vorrei sottolineare. Le politiche del territorio sono sempre troppo spesso soggette a logiche di mercato. Gli interventi sul tessuto urbano in senso lato appaiono troppo spesso condizionati da considerazioni di mera speculazione, o, quando va bene, da considerazioni di “mercato”. Le pubbliche amministrazioni si dichiarano incapaci di progettare e realizzare interventi in autonomia, senza cioè il condizionamento di un “guadagno per qualcuno”. L’idea di “giusta mercede” è stata da tempo sostituita dal “massimo guadagno”. E’ forse questa l’idea portante del liberismo? Insomma bisogna che i modelli di sviluppo si svincolino da questa “necessità”. Ma per far ciò è necessario che la politica in senso quanto più vasto si possa immaginare, cambi verso magari cominciando a dare un senso compiuto a molte di quelle parti della Costituzione rimaste disattese. Ma, posto che abbiamo le idee abbastanza chiare su tutto ciò, il problema da risolvere è: come avviare il cambio di rotta?
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La capacità di una qualsiasi amministrazione dev’essere nel pianificare l’uso del suolo e quindi la rigenerazione urbana armonizzando gli interessi privati (che non devono essere necessariamente quelli delle grandi immobiliari) con gli interessi collettivi.
mi è capitato di vedere piani capaci di disegnare la città pubblica attraverso l’edificazione privata. stabilendo in dettaglio, lotto per lotto, le sagome edilizie, le opere pubbliche da fare e gli spazi pubblici da realizzare, senza un soldo di spesa pubblica.
questa è la chiave di volta. il Piano prima, poi il progetto.
il dibattito in città e’ vivo su questi temi. l’amministrazione però tace e non ha neanche nominato un assessore all’urbanistica, ( o forse è ancora quello che si sarebbe dovuto dimettere che agisce all’ombra del sindaco ombra?).
anche le forze politiche d’altronde non sembrano voler affrontare il tema, forse spaventate dal pensiero d’essere accusate di voler cementificare il territorio.
Un panorama desolato.
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