C’ERA UNA VOLTA LA PRIVILEGE
di LUCIANO DAMIANI ♦
Chi si trovasse a passare per il porto di Civitavecchia o per l’Aurelia, venendo da nord, difficilmente potrebbe fare a meno di notare una grande barca, con impalcature e teli strappati dal tempo. La “barca”, sta li immobile da qualche anno ormai, si chiama P430. Che strano nome, più adatto ad una unità robotica come il droide C3PO di Guerre stellari, ma la P340 è invece una piccola nave, o se preferite un supermega yacht. In realtà toccherebbe usare una forma verbale come: “avrebbe dovuto essere”. Infatti il cantiere è abbandonato, all’inaugurazione in pompa più che magna, con tanto di ministri, cardinali, uomini di spettacolo e fuochi d’artificio, non è seguita la costruzione della “Ferrari dei mari”, come venne definita, ma, dopo qualche anno di lavoro, dopo qualche sussulto, tutto si è fermato.
Il meccanismo dei finanziamenti s’è inceppato, lavori bloccati e maestranze senza stipendio. Imprese nate specificatamente per questa avventura, impossibilitate a lavorare altrove, pur avendo commesse a portata di mano, per non aver potuto pagare i contributi delle maestranze, triturate da un meccanismo perverso che impedisce ad una azienda di lavorare, avendone la possibilità, essendo creditrice. Al limite dell’assurdo.
Insomma, per farla breve, fu deciso di occupare il cantiere. I mariti dentro, e le mogli fuori, oltre il cancello.




La vicinanza dei volontari diviene sempre più forte, sarà perché il senso d’abbandono è “tanto”. Si litiga anche, chi vorrebbe mollare e chi invece vorrebbe perseguire l’inasprimento della lotta. La società cerca di dividere offrendo qualche spicciolo a qualcuno perché si disgreghi la compagnia. Dagli altri lavoratori portuali nessun segno.
Ad un certo punto pare prevalere la parte più “decisa”, si decide di uscire dal cantiere e bloccare per qualche ora il porto, qualcuno ha promesso l’appoggio dei lavoratori portuali, “un centinaio di operai lasceranno il proprio lavoro e verranno a dar man forte ai manifestanti.
Si parte, tutti innanzi l’autorità portuale con striscioni e fischietti, ci si guarda intorno in cerca dei “cento aiuti”, niente, non ci sono, pare che qualcuno abbia detto che “non è il caso” o “non è il momento”. Qualche ora solo, giusto per farsi fare qualche fotografia, ma evidentemente sono pochi coloro che vogliono davvero lo scontro ed alla fine, siamo gente di pace, tutto si scioglie e si rientra, tra rabbia e la delusione di essere stati lasciati ancora una volta soli.
La stampa ha fatto parlare tutti, tutti sono andati in TV, tutti hanno raccontato la loro versione, tutti meno i protagonisti veri. Si sono raccontate le “storie” dei cantastorie, ma la storia vera è rimasta sepolta li dietro i cancelli del cantiere e nell’animo degli uomini che hanno occupato il cantiere e delle loro donne. La stampa nostrana ha fatto il suo, come sempre, consiste nel pubblicare i comunicati e nel fare articoli ad uso e consumo dello sponsor. Un giorno qualcuno mi disse: “dobbiamo dar conto a chi ci finanzia”. Non che non lo sapessi, si sa che funziona così, vista dalla parte dei più deboli, però, fa un poco rabbia. Fa anche rabbia sentirsi dire: “non mi riprendere che se mi vedono non mi fanno lavorare più”.
Al cantiere sono tutti stanchi, qualcuno si defila, e l’occupazione termina. Qualche operaio entra nel cantiere per fare delle manutenzioni, ma non sono quelli che ne sono usciti, pare siano maestranze straniere venuta da chissà dove.
Il resto è storia recente, sa di Banca Etruria, sa di Cardinale, sa di politica. Come spesso accade, troppo spesso, i finanziamenti prendono strade tortuose e solo una parte finisce dove deve forse solo per far finta.
Lo studio tecnico di cui io faccio parte ebbe dalla Privilege l’incarico per la sicurezza: impiegammo meno di due mesi per renderci conto che era una truffa e demmo le dimissioni. Pur dicendolo a tutti ci sono voluti anni perchè la cittá se ne rendesse conto.Questa è Civitavecchia.
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Questa è l’Italia…. direi pensando alle banche da un po’ sulle prime pagine dei giornali. E in queste vicende si sente la mancanza di una stampa che svolga il suo ruolo di garante. Ma come ho detto, in questa vicenda ha fatto solo da megafono a politica e sindacato, ma s’è guardata bene dall’infilare il naso oltre il cancello.
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