La riforma e il “bivio”
di BENEDETTO SALERNI ♦
Se la mettiamo sul piano empirico, non possiamo non vedere che la propaganda referendaria inerente al dibattito in corso sui vari e rilevanti aspetti del referendum costituzionale confermativo ha contrapposto, e sta contrapponendo, vasti settori della società civile mettendo a dura prova la resistenza razionale dei cittadini chiamati al loro giudizio e regalato alla complessiva e variegata opinione pubblica una difficile lettura dell’attuale fase politica nazionale e non solo.
Se la mettiamo sul piano della prospettiva del cambiamento referendario, non possiamo non tener presente che, nel nostro Paese, il punto d’avvio della fase riformista costituzionale è stata essenzialmente spinta dalla perdita di fiducia della stragrande maggioranza del popolo italiano nel rapporto tra la politica e le istituzioni del Paese. Se la mettiamo con il continuo discendi dei votanti negli appuntamenti elettorali che accompagna il diffuso malcontento dei cittadini, non possiamo tener presente delle motivazioni come: il perdurare delle condizioni materiali di crisi economica, gli evidenti effetti amministrativi e legislativi derivanti dall’attuale assetto istituzionale ed infine, il nodo tutto politico della democrazia consociativa racchiusa a quel pluralismo fisiologico intrinseco al mondo politico per i vantaggi differiti opportuni. Possiamo dire che sono solamente alcuni aspetti di un lungo elenco che implicano una vera e propria “rivoluzione culturale” nelle pratiche del nostro Paese.
Nonostante la travagliata approvazione parlamentare dell’adeguamento delle regole della nostra Repubblica e nonostante l’indubitabile degenerazione degli aspetti etici e morali della vita politica, il tutto sommato alle ultime dirompenti dinamiche conservatrici nei sistemi politici europei e internazionali, stiamo ancora assistendo a delle esibizioni di alcune forze politiche che antepongono il loro rendiconto partitico agli interessi del Paese. La radicalità del dibattito di questa importantissima tornata referendaria sta mettendo ulteriormente in evidenza la particolarità dell’attuale consenso popolare il quale necessita di alzare il tono del contenuto strategico dell’azione riformatrice. Nello stesso contesto occorre tenere ben presente che l’Italia è stabilmente integrata nelle democrazie occidentali con varie e palesi contraddizioni del potere decisionale nell’attuale complesso sistema del bicameralismo paritario e di quello regionale-territoriale. L’azione riformatrice è, a sua volta, indirizzata non solo ai non più tollerabili ritardi o rimpalli legislativi nelle scelte socio-economiche del Paese, ma anche in Europa e nel complicatissimo mercato globalizzato.
Le performance di taluni “attori” di maggiore rappresentatività del fallace contesto dell’innaturale “insieme” elettorale contrario alla riforma – e sostenuto da troppi nostalgici del consociativismo corporativo – presentano delle forme di “comunicazione di massa” nettamente lontane dalla sinistra o centrosinistra e tentano di convincere il popolo per arrivare al “potere sovrano” sbrigativamente promettendo elementi “populisti” in divenire con una retorica infarcita negli anfratti più reconditi e confacente alla creazione di un nuovo scenario politico impensabile fino a pochissimo tempo addietro.
Le ultime elezioni americane hanno portato nel nostro campo politico una diversa e inaspettata consapevolezza dell’importanza dell’appuntamento referendario: il collasso e la frattura con il proprio elettorato del sistema partitico negli Stati Uniti e la vittoria di una nuova e sperimentale “forza reazionaria” con delle marcate e notevoli similitudini del popolo conservatore italiano.
E’ stato eletto democraticamente un modello politico antisistema con profonde radici nella destra razzista che parla il “politicamente scorretto” alle classe sociali sui temi dell’immigrazione, dell’ambiente e alle diseguaglianze della globalizzazione con vecchie e superate logiche politiche.
Abbiamo già in parte conosciuto nel recente passato nel nostro Paese tale sconsiderata politica demagoga e populista e che oggi vengono riproposte trovando un’inaspettata trasversalità d’opinione all’interno dell’insieme elettorale contrario alla riforma. In rapida sintesi, le loro alternative alle riforme sono: la suggestiva legge elettorale proporzionale, degli aggiustamenti alla carta costituente concedendo più poteri all’elezione diretta del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio.
Insomma, il popolo progressista si trova e si troverà al momento del voto nel suo ennesimo storico bivio: sostenere il referendum costituzionale con l’impegno correttivo del collegato disposto oppure far parte di un movimento contrario alla riforma accrescendo una innaturale visibilità mediatica alle forze politiche razziste e xenofobe.
Si dovrà scegliere senza ricorrere ad alcun alibi poiché la riforma risponde con elementi positivi al processo di modernizzazione del Paese e del suo sviluppo sociale-economico. Il voto positivo alla riforma sarà la giusta risposta a respingere il protagonismo di coloro che cercano oltremodo una effettiva interruzione storica della nostra carta costituente e una ridefinizione dei confini “sociali” diffondendo altresì la convinzione che tutti i politici sono uguali (e di natura corrotta) e senza tener presente le molteplicità culturali, l’integrazione di origini e destini, di stili di vita della popolazione in generale.
Le modifiche del fallimentare Titolo V – il quale credo abbia tanto penalizzato il nostro territorio almeno negli aspetti energetici – nella direzione di un nuovo senso federale dandogli una diversa ripartizione delle funzioni legislative tra Stato e Regioni con il collegato disposto, hanno monopolizzato l’ultimo periodo del dibattimento politico. Le linee guida del nuovo consenso elettorale vanno nella direzione della riduzione dei costi della politica e nella giusta e regolata democrazia competitiva: indicando un orizzonte del tutto nuovo con l’elezione diretta dei senatori, il superamento del ballottaggio con premio di maggioranza legato alla governabilità e collegi elettorali per riavvicinare gli eletti ai cittadini, trovano una condivisibile soluzione al superamento dell’attuale e superato sistema politico.
L’agenda politica, dall’apertura della fase riformatrice, è densa di appuntamenti di fondamentale importanza per il centrosinistra in cui la vede impegnata non soltanto nel compito di curare gli interessi generali del Paese. Il ruolo dell’Italia nelle scelte europee, l’accordo climatico di Parigi, il referendum promosso dalla Cgil sul nuovo statuto dei lavoratori e la correzione del decreto scuola sono esempi di alcune materie scottanti che ci vedranno ancora impegnati in lunghi ed estenuanti dibattiti nell’imminente futuro. Con la possibile approvazione del referendum costituzionale confermativo è auspicabile che non si tramuti con il solito “prezzo politico” da pagare per il centrosinistra se vuole ambire a governare al cambiamento di una concezione della società italiana fragile, irrimediabilmente divisa, democraticamente instabile e complessa.

Ciò che non mi piace, anzi che mi piace affatto, di questa campagna referendaria, è che di tutto si parla tranne che dei contenuti veri. Anche quando si parla dei contenuti lo si fa in modo spesso disonesto. Ma la cosa più disgustosa, scusate il termine, è l’uso terroristico delle “previsioni del dopo voto”. Renzi conquistò il 40% grazie alla campagna di terrore che “finiremo come la grecia” questa volta ancora, “usciremo dall’europa”, “i mercati finanziari faranno sfracelli”, “finiremo nelle mani di grillo e casapound”, “per 30 anni non cambierà più nulla” ecc.. ecc.. Il paese non ha bisogno di cambiare la costituzione ha bisogno di persone che la interpretino in modo corretto ed onesto. Questa riforma che riporta al governo tutta una serie di competenze, che ne rafforza la “potenza”, in realtà già solo per questo si configura come qualcosa di antidemocratico, e non potrebbe definirsi diversamente una operazione che sottrae potere alla periferia per riportarlo al centro, lo stesso dicasi quando si riduce la espressione popolare. Certo se il governo può realizzare i suoi piani senza la legge che lo costringe a relazionarsi con le realtà locali ovvero libero da opposizioni, per altro democratiche, certamente le cose funzionano meglio, ma siamo sicuri che vogliamo un potere “potente”?
Per dirne una sola, siamo sicuri che grazie allo sblocca italia, all’italicum, ed alla clausola di supremazia vogliamo nuovi inceneritori sparsi per la nostra penisola? Giusto per dirne una.
Un’ultima cosa e poi mi taccio. Ma davvero possiamo credere che “non ci saranno cittadini di serie B” perchè abbiamo messo in capo allo stato: “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare;”?
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Luciano, innanzitutto permettimi di dirti che non sono riuscito a capire per bene la tua risposta-domanda e, pertanto, auspico di essere abbastanza sintetico e “chiaro” in pochissime parole. Il Paese necessita di cambiare al più presto le sue “pratiche” e la riforma costituzionale è il primo ed importante passo verso una direzione di una democrazia competitiva. La modifica del Titolo V, è un aspetto di primaria e fondamentale svolta verso gli innumerevoli problemi territoriali – tra i quali il ns territorio sta tutt’oggi pagando un prezzo salatissimo in termini di salute e di impatto visivo – e sugli interessi collettivi delle popolazioni. Infine, lasciami fare una semplice battuta neanche tanto “spiritosa”. Non penso di passare per un Renziano poiché sostengo la riforma costituzione, ma nelle scelte politiche, ho sempre preferito usare la testa e non la “pancia”
.
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Infatti non hai capito il mio commento, per lo meno in gran parte. Cerco di essere più chiaro esponendolo per punti, ho detto cioè:
1)
Secondo me il problema non è negli articoli della costituzione ma sta nelle persone che non ne interpretano correttamente ed onestamente lo spirito. Vale sia per gli uni che per gli altri ma ovviamente chi ha responsabilità di governo è maggiormente responsabile, evidentemente.
2)
La campagna referendaria fatta a colpi di spot catastrofici mi pare assolutamente inaccettabile e scorretta. Anche questo vale sia per gli uni che per gli altri, stamattina ci s’è messa anche l’OSCE
3)
Il fatto che il governo abbia più potere ed il paese acquisti stabilità non vuol dire di per se che sia “meglio”, non vedo ad esempio come possano migliorare i problemi sanitari del territorio, considerando che proprio per l’interesse “nazionale” è stata derogata la legge ambientale regionale che fissava il tenore di zolfo del carbone in uso a TVN ad un valore più basso di quello attuale. Ricordo anche i termovalorizzatori previsti nello sblocca Italia. Certamente i consessi democratici locali perdono potere e questo è indubbiamente una riduzione del livello democratico nella gestione del paese. Sicuramente prenderanno respiro le “grandi opere” e tutto quanto frenato fin’ora dagli interessi dei “territori”. E’ un bene se si è convinti che le grandi opere servano al paese, personalmente penso che al paese servano le innumerevoli piccole e diffuse opere di cui la gente e l’economia sente la mancanza.
4)
Non sono affatto convinto che riportare competenze allo stato riduca le differenze sociali, ho idea che i cittadini di serie B rimarranno tali anche con la riforma.
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Luciano, dovremmo essere oramai abituati alle campagne elettorali o referendarie fatte attraverso i nuovi mezzi di propaganda… o addirittura di “reclutamento” politico attraverso i social per tutti i livelli delle ns istituzioni… personalmente non mi meraviglio e ritengo che vanno almeno regolamentate con nuove forme elettive all’insegna di una democrazia competitiva. Ritengo altresì che materie che interessano la collettività debbono essere coordinate dalle Stato per uno sviluppo complessivo del Paese proprio per non fare cittadini di serie A e di serie B oltremodo a quelle differenze sociale ed economiche tra il Nord e il Sud. A riagurdo a dei temi specifici come la ns realtà regionale e territoriale dalla prima riforma del 2001 del Titolo V ad oggi, sono state tante le rimostranze del ns territorio nei confronti della Regione Lazio nella materia energetica, portuale – ed altro – legate anche agli aspetti sanitari……… La Regione proponeva nuovi insediamenti giustificandoli indistintamente come possibile “volano” dello sviluppo imprenditoriale, occupazionale etc.etc e poi? Luciano, mentre ti scrivo, sto leggendo su “Wiki” i Presidenti della Regione Lazio dal 2000 ad oggi…. e quale uso hanno fatto… . Ciao e alla prossima
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