Immigrazione? Non solo profughi
di CORRADO BONIFAZI ♦
Il 29 settembre l’Istat ha pubblicato il report annuale sui cittadini non comunitari. I dati dell’Istituto di Statistica permettono di fare il punto sulla componente largamente maggioritaria del fenomeno, pari infatti a circa il 70% di tutta l’immigrazione presente in Italia. Consentono inoltre, in tempi di emergenza, di considerare non solo i nuovi arrivi ma anche la situazione complessiva di chi è già nel nostro paese.
Nel 2015 si è arrestata la crescita del fenomeno
Il primo gennaio 2016 gli stranieri non comunitari regolarmente presenti nel paese, in possesso quindi di un permesso di soggiorno, erano 3.932.000, appena 1200 in più dell’anno precedente. Nel 2015 si è quindi interrotta la tendenza alla crescita del fenomeno, che ha caratterizzato tutto il decennio in corso nonostante la perdurante crisi economica.
In particolare, tra il 2010 e il 2013 l’aumento di questa componente dell’immigrazione ha sempre superato le 100 mila unità, è sceso a 55 mila nel 2014 ed ora si è praticamente azzerato. Difficile dire se l’andamento degli ultimi due anni segni una stabile inversione di tendenza o se si sia in presenza di una semplice battuta d’arresto legata a fattori contingenti. D’altra parte, l’insieme rappresentato dall’immigrazione non comunitaria è costituito da decine di comunità, provenienti da una miriade di paesi di ogni parte del mondo, ognuna con una propria storia migratoria e con progetti fortemente differenziati. Le variazioni delle dimensioni complessive di tale aggregato sono quindi il risultato di una molteplicità di processi e non solo dei fattori congiunturali che ogni anno contribuiscono a determinarne gli andamenti.
Scendendo nel dettaglio, i dati dell’Istat mostrano come, in un quadro di stabilità del numero complessivo di permessi, si sia registrato un aumento di 90 mila unità dei soggiornanti di lungo periodo e sia continuata la diminuzione dei nuovi permessi, con una flessione di circa 10 mila unità rispetto al 2014.
A inizio anno i permessi di lungo periodo erano 2.338.000 e rappresentavano il 60% del totale. Un segno inequivocabile della stabilizzazione di una parte maggioritaria dell’immigrazione da paesi terzi, con un valore che tra l’altro è ben superiore alla media europea che si ferma al 40%. Opportunamente però viene evidenziato nel rapporto come, per questo tipo di titolo di soggiorno, “l’individuazione delle eventuali persone che hanno lasciato il nostro Paese” sia meno tempestiva di quanto non avvenga per i titolari di permesso con scadenza, determinandone di fatto una sovrastima al momento difficilmente quantificabile e sulla quale sarebbe opportuno intervenire.
I nuovi permessi concessi nel 2015 sono stati 239 mila, confermando una tendenza alla diminuzione che caratterizza tutto il decennio in corso e che ha visto progressivamente scendere il valore dalle 362 mila unità del 2011. Su questo andamento non può non scorgersi l’effetto della crisi economica, anche perché la quota dei permessi per lavoro sulle nuove concessioni è passata dal 34,4% del 2011 al 9% del 2015. È un tassello della più generale riarticolazione del sistema migratorio italiano, che vede una sensibile contrazione degli arrivi dei lavoratori stranieri, una tenuta dei flussi per motivi familiari e un sostanzioso aumento delle partenze dei giovani italiani, che stanno riscoprendo le vie dell’emigrazione. Una dinamica che viene a realizzarsi in un quadro internazionale segnato dall’intensa crescita delle migrazioni forzate dirette verso l’Europa, che vede l’Italia in prima fila.
Nuovi italiani crescono e cresceranno
Questo quadro generale va a influenzare i comportamenti e le scelte di tutte le collettività immigrate presenti in Italia, che però si trovano ad affrontarlo in fasi differenti della loro storia migratoria avendo iniziato il loro percorso nel nostro paese in momenti diversi. Così, ad esempio, nel 2015 si è avuta una diminuzione delle dimensioni della comunità albanese e di quella marocchina, con una perdita di 15 mila persone per la prima e di 8 mila per la seconda. Al contrario, collettività di più recente immigrazione, e più rappresentate negli sbarchi di questi ultimi due anni, hanno visto aumentare i loro effettivi, come è avvenuto per i pakistani (+ 7 mila unità), per i nigeriani (+ 10 mila) e per i cittadini del Gambia (+4.600).
Il calo di presenze per le due principali collettività non comunitarie presenti in Italia è sicuramente legato all’elevato numero di acquisizioni di cittadinanza registrato lo scorso anno, con 35 mila albanesi e 32 mila marocchini che sono diventati italiani. La crescita delle naturalizzazioni è un altro aspetto importante evidenziato dal rapporto Istat: nel 2015 le acquisizioni sono state in totale 159 mila contro le 50 mila del 2011.
Nonostante la normativa continui a non agevolare l’ottenimento della cittadinanza italiana, la progressiva stabilizzazione di buona parte dell’immigrazione sta determinando un sostanzioso aumento dei valori.
Non solo si è in presenza di una crescita delle naturalizzazioni, ma si sta realizzando un cambiamento di fondo nelle modalità di acquisizione. Come evidenzia il rapporto Istat, le acquisizioni per matrimonio, via principale per diventare italiano fino a qualche anno fa, sono ormai scese al 9% del totale, mentre quelle per residenza sono ormai prossime al 50%. In particolare, nel 2015, 66 mila giovani sono stati naturalizzati per trasmissione dai genitori o al compimento dei 18 anni. Un dato che fa vedere sotto una luce diversa i 950 mila minori stranieri che stanno attualmente crescendo in Italia e che potrebbero, fra qualche anno, diventare italiani a tutti gli effetti. Il nostro riluttante paese d’immigrazione sta sempre più diventando un maturo paese d’arrivo, che dovrebbe avere tutto l’interesse a sfruttare al meglio le potenzialità, anche di rinnovamento demografico e culturale, offerte dal fenomeno.
CORRADO BONIFAZI
Invito a una lettura non distratta di questo articolo. Contiene informazioni e analisi di prospettiva che hanno grande rilevanza politica e smontano con serietà scientifica la manipolazione propagandistica della questione migratoria da parte delle forze xenofobe e populistiche. Bisogna impedire che anche da noi si formi un senso comune ostile all’accoglienza e ispirato a falsificazioni della realtà sociale.
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Vero Nicola, ma è pur vero che sebbene la realtà sia quella restituita dai numeri statistici, non è falso dire che gli stessi non sono universalmente validi ne che la realtà percepita sia un qualcosa di falso. Ovvero il dato statistico non ha lo stesso valore in ogni angolo del paese, idem le manifestazioni di un fenomeno. Le differenze ci sono, innegabilmente, da regione e regione ed anche da città e città. L’immigrazione al di la dei numeri si manifesta ed è percepita in modo assai differente anche riguardo allo stato sociale cui si appartiene. Chi abita nei pressi della stazione Termini avrà una percezione di un tipo, chi abita al Flaminio ne avrà un’altra. Chi è altamente specializzato non sentirà la pressione della immigrazione come la sentirà chi non lo è.
La politica poi, come sempre, si affida alle percezioni per i suoi slogan e per le sue campagne. Insomma le percezioni sono spesso e volentieri il cavallo di Troia per far passare, in buona sostanza, politiche che perseguono in realtà interessi altri.
Ciò non di meno, discutendo di queste cose, dobbiamo tener en presente che la “percezione” è anch’essa qualcosa di reale e tangibile, forse più della realtà statistica, poichè fa i conti, appunto, con la pancia delle persone, e la pancia non è una astrazione, lo è per colui che non ha “fame”. Bisogna quindi essere saggi e tenerlo ben presente. Sappiamo tutti che la frase: “gli italiani mangiano un quintale di carne all’anno a testa” mistifica la realtà poichè c’è chi non arriva a mangiarne 10 kili e chi ne mangia dieci quintali, allo stesso modo il fenomeno della immigrazione, compresi gli sviluppi citati nell’articolo, è rappresntato dalla statistica, ma la rappresentazione è spesso insufficiente per essere considerata “vera”. non perchè non lo sia, ma in quanto inadeguata a rappresentare correttamente la realtà.
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I dati statistici non sono la verità, sono però uno strumento utile a comprendere la realtà che ci circonda. Non c’è dubbio che il peso dell’immigrazione sia diverso nelle varie zone del paese, ma questo aspetto è chiaramente evidenziato proprio dai dati statistici disponibili (si può vedere il sito dell’Istat).I dati riportati dall’articolo dovrebbero comunque tranquillizzare la “pancia” del paese visto che il numero di stranieri non comunitari ha cessato di crescere e che sta invece crescendo il numero di chi sta diventando italiano a tutti gli effetti. D’altra parte, un paese dalla demografia debole come il nostro, difficilmente può e potrà fare a meno dell’immigrazione. E di questo, nei fatti, mi pare se ne siano accorte sia la pancia che la testa, visto che in poco più di vent’anni il numero di stranieri regolarmente residenti è passato da 300 mila a oltre 5 milioni senza scatenare grandi sconquassi. L’immigrazione resta comunque un fenomeno complesso, che apre contrasti e conflitti che compete alla politica risolvere (possibilmente con la testa). Su questi temi mi permetto di segnalarvi il sito http://www.neodemos.it, dedicato ai temi demografici e su cui è stato anche pubblicato il mio articolo.
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Scusate per errore il commento è uscito anonimo, sono Corrado Bonifazi
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Comprendo le ragioni di Luciano e apprezzo la puntuale replica di Corrado. Per quanto mi riguarda intendevo soprattutto denunciare l’operazione ricorrente di manipolare le informazioni per alimentare una rappresentazione apocalittica del fenomeno. Operazione utile solo a nutrire i populismi ma che rischia di rendere più difficili risposte razionali e civili al problema.
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Si è vero, compete alla politica affrontare seriamente questi problemi, lo deve fare con grande intelligenza cercando coesione sociale e collaborazione. Alzare muri o scavare fossati non fa che aumentare le differenze e le diffidenze, in un paese che certo non ne ha bisogno.
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