Riforma della Giustizia
di TERESA CALBI ♦
Sono anni, forse decenni, che tutte le correnti politiche e culturali auspicano una “riforma della giustizia”.
Il panorama che oggi si presenta nel settore della Giustizia (in primis quella civile attualmente al collasso) è veramente desolante: migliaia di processi in attesa di essere definiti, rinvii di anni, adempimenti farraginosi ed inutili che costringono avvocati, giudici e personale amministrativo a fare ogni giorno i conti con carenze di organico, assenza di strutture efficienti (a volte manca persino la carta per fare le fotocopie!), assenteismo, burocrazia e quant’altro fa ormai parte integrante dell’assetto organizzativo del nostro paese.
A fronte di tale situazione, che negli ultimi anni ha portato al “fallimento” della giustizia italiana, i nostri governi sono “latitanti” e quando intervengono, anziché snellire le procedure e decongestionare il contenzioso, si limitano ad adottare provvedimenti estemporanei e settoriali, spesso utilizzando lo strumento della decretazione d’urgenza, che non solo non consente il recupero dell’efficienza, ma è in grado di arrecare, se possibile, ulteriori danni.
L’ultima “perla” di questo governo è di appena tre giorni fa.
Con Decreto Legge recante “Misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di Cassazione, per garantire la ragionevole durata del processo e l’efficienza degli uffici giudiziari” del 30/08/16 pubblicato in G.U. del 31/08/16 (è tipico dei nostri governi legiferare ad agosto per propinare riforme inutili ed impopolari approfittando del “caldo estivo” per farle passare inosservate) si è aggiunto un ulteriore, pericoloso, tassello, per arrivare alla paralisi della giustizia italiana, in specie quella civile.
Mi chiedo dove sono finiti i grandi giuristi di una volta, quelli che con lucidità, competenza e coerenza partecipavano alla redazione di testi legislativi caratterizzati dalla sistematicità e coerenza, impregnati di principi giuridici di alto livello che solo la nostra cultura, patria del diritto, ha saputo esprimere.
Leggo con sconcerto il testo del Decreto Legge e, senza entrare in disquisizioni tecniche, posso sinceramente definirlo un autentico “pastrocchio” che accomuna, in un disegno privo di organicità e sistematicità, svariati e non omogenei settori: riforma del processo civile, criteri di nomina per giudici ausiliari di Cassazione, misure sull’accesso alla magistratura ordinaria, legge Pinto e così via. Non posso certo condividere il parziale immobilismo dei precedenti governi, ma la “schizofrenia” legislativa di quello attuale mi disorienta. Sono mesi che si va avanti attraverso l’utilizzo dei Decreti Legge, con interventi settoriali e addirittura in alcuni casi con la modifica di singole disposizioni che costringono gli operatori a fare un lavoro certosino di raccordo tra le norme che ancora sono in vigore e quelle abrogate o semplicemente modificate con il rischio, concreto, di non garantire giustizia al cittadino.
L’introduzione del processo telematico in un paese connotato da scarsa informatizzazione (per inciso in Germania è stato abolito) ha intasato ancora di più, se possibile, gli uffici giudiziari i quali, per mancanza di personale e di mezzi, non sono più in grado, neanche in minima parte, di sostenere e gestire l’attuale contenzioso.
Attualmente, nel settore giustizia, è difficile seguire tutte le riforme che sono state adottate: mediazione obbligatoria, negoziazione assistita, stravolgimento delle procedure esecutive (per chi non conosce la materia posso dire che attualmente recuperare un credito è divenuto quasi impossibile), e così via in un crescendo di interventi parziali, inutili, complicati ed assolutamente inidonei a risolvere, sia pure in parte, i mali cronici della giustizia.
Sarebbe questo “il governo del fare”, degli interventi risolutivi per rimettere in moto la “macchina della giustizia”?
La propaganda loda queste riforme come strumento per garantire la ragionevole durata dei processi e stimolare l’efficienza degli uffici giudiziari; l’applicazione pratica di queste riforme ha decretato il fallimento di interventi parziali e farraginosi senza risolvere in alcun modo i problemi che solo una totale ed organica riforma affidata al POTERE LEGISLATIVO e non all’esecutivo potrebbe garantire.
Prendendo in prestito una celebre frase si può dire che il motto dei nostri governanti è attualmente “Facciamo che tutto cambi affinché tutto peggiori”.
TERESA CALBI
Dall’alto della mia ignoranza dell’argomento mi vengono spontanee un paio di osservazioni o forse tre.
1) Mi hanno sempre insegnato che il potere esecutivo mette in atto le leggi prodotte dal Parlamento, da un po’ di tempo pare che il Parlamento serva ad approvare leggi scritte dal governo.
2) Ho idea che norme aggiunte ad altre norme non facciano che complicare sempre più la vita di giudici ed avvocati, specie quando si mescolano norme che appaiono estranee al “titolo”, come mi pare spesso accada.
3) L’esperienza mi fa dire che non è raro assistere alla inefficacia della norma poichè ne mancano i supporti che la rendono praticabile. Essere digitale senza computer risulta piuttosto difficile.
A volte si ha l’impressione che si facciano leggi per poter dire che si sono fatte, spero sia solo una impressione.
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Come CTU del tribunale mi sono spesso trovata in situazioni allucinanti che evito di descrivere; penso che a conti fatti non ci sia la volontà politica di migliorare la situazione.Ho trovato la procedura telematica,almeno per la parte che mi riguarda, facile e di grande comodità ma le carenze sono di altra natura, e molte di queste carenze potrebero essere risolte con l’assunzione di un congruo numero di personale. Nessuno pensa di farlo senza concorso ma il cambiamento e la velocizzazione dei tempi della giustizia passa anche da li.
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